Cosa resta di queste Olimpiadi?
ADDIO A OLYMPIA
A giochi conclusi. Dopo la fine di tutte le kermesse, le apologie più o meno centrate, le polemiche…
Cosa resta di queste Olimpiadi?
Ovvero cosa resta di…Olimpico, se questo è il termine cui vogliamo ancora ricorrere, dopo la fine di questi Giochi di Parigi?
Ben poco. E il giudizio, va detto, è quanto mai oggettivo. Scevro da ogni polemica o gusto per la stessa. Basato, più o meno freddamente, sui fatti.
Vediamo di scorrere i giorni trascorsi. E ormai conclusi.
Cosa è stato al centro dell’attenzione?
La nuova Francia di Macron. Che si è voluta, anche in questo distinguere da tutte le France che l’hanno preceduta nella storia recente. Marcando, in ogni modo, la propria differenza.
Legittimo? Certo, da un punto di vista prettamente politico, perfettamente legittimo.
Ma lo spirito Olimpico, se non ricordo male, dovrebbe essere al di là di questo. Dovrebbe affondare le sue radici in qualcosa che si trova “oltre” la linea di confine dell’ideologia che domina il paese ospitante. Un qualcosa che richiama lo spirito con cui De Coubertin volle riscoprire i Giochi di Olimpia. E che, per quanto decisamente utopistico, ha comunque sempre segnato lo svolgimento dei Giochi in età moderna.
Di fatto portando ad una loro sospensione durante i due conflitti mondiali.
In questo caso, invece, i Giochi sono stati palese strumento di conflitto. Con l’esclusione della Russia – e del satellite Bielorussia – perché coinvolte in una guerra. Solo che l’altra parte coinvolta, ufficialmente, ovvero l’Ucraina, era presente con bandiera e gagliardetti. Perché aggredita, ci dicono i cronisti disponibili, anche troppo, a divulgare la fola del paese aggressore e di quello sotto attacco. Fingendo di ignorare quanto accaduto in quelle terre (non poi molto) lontane a partire dal 2014.
E, per altro, Israele? Aggredita anch’essa? Con azioni, neppure tanto coperte, compiute in Siria, Libano e persino a Teheran? Vale, in questo caso, l’ipocrita finzione di “guerra preventiva”. Tuttavia, questa è una definizione, se vogliamo un modo, più o meno ipocrita, di chiamare uno stato di guerra. Di definire la politica, aggressiva, di uno Stato nei confronti dei suoi vicini.
Ma non può, certo, rispondere alle regole della Tregua Olimpica.
Regole che, palesemente, sono andate a farsi benedire.
E, preciso, che è lungi da me qualsiasi pretesa di giudizio morale – o peggio, moralistico – sui fatti in sé e per sé.
Solo la constatazione, oggettiva, di quanto avvenuto.
E quanto avvenuto è che una parte, o esattamente una frazione del mondo, del mondo Occidentale, ha celebrato se stessa, la propria (pretesa) grandeur con questi Giochi. Falsandone lo spirito originario. E, per molti versi, anche lo svolgimento.
Basti pensare alle, indegne, esibizioni di nuoto in quella autentica fogna a cielo aperto che è la Senna.
Per non parlare delle, assolutamente anacronistiche, presenze di atleti/atlete gender in competizioni dichiaratamente femminili.
Mai accaduto prima, ed oggi, invece, avvallato per compiacere i “gusti personali” di una pretesa élite francese. Che fin dalle manifestazioni di apertura, ha voluto trasformare questi Giochi nella propria auto-celebrazione.
Legittimo? Sinceramente avrei dei dubbi.
Ma anche accettando questo, resta indiscutibile il fatto – concreto ed indiscutibile – che tali Giochi, se ancora così vogliamo chiamarli, più niente hanno di olimpico.
Sono, ad essere generosi, altra cosa. Che con lo Spirito di Olimpia più nulla, o ben poco, ha a che spartire.
Addio ad Olimpia, dunque. Ed alla utopia di De Coubertin.
In mezzo a nuotatori intossicati dalla fogna, ad atleti (sic!) dall’indeterminato genere, a beate/beote celebrazioni di banchetti trans…abbiamo visto tramontare ciò che ancora restava dello Spirito Olimpico.
Che ha retto in un secolo difficile e tormentato come il ‘900. Ad Hitler e a Stalin, per semplificare.
Ma che non ha più senso davanti ai Macron ed ai loro, nuovi, padroni.