Il termine Soft Power è stato coniato per la prima volta sul finire degli anni ’80 del XX secolo dal professore statunitense Joseph Nye

ADDIO AL SOFT POWER?


Joseph Nye non ha inventato il Soft Power. (1)Ne ha solo coniato il nome moderno, la definizione oggi in uso. Riflettendo sulla storia e le storie del passato.

Perché il Soft Power, un insieme d’influenza culturale, simpatia (nel senso etimologico), suggestioni, immaginario, linguaggio e interessi economici, è sempre esistito. Era con il Soft Power che Atene tentava di estendere la sua egemonia su tutto il mondo greco. E l’impero di Roma si fondò a lungo su uno straordinario equilibrio tra influenza culturale e forza militare. Tra Soft Power ed Hard Power.

Sembra quasi inutile, addirittura tautologico, dire che oggi il Soft Power parla inglese. O meglio, americano. Tutte le analisi degli scorsi decenni hanno evidenziato come Washington, e il blocco occidentale che le fa da corollario, abbia nel campo del Soft Power un vantaggio siderale sui suoi contendenti e avversari.

La Cina può insidiare il primato industriale americano. La Russia può, sotto certi aspetti, avere una potenza militare maggiore. Ma il Soft Power resta in mano del, cosiddetto, Occidente. Che esporta modelli culturali. E forgia, così, la forma mentis delle élite di gran parte, se non proprio di tutto, il mondo.

Semplificando. Pechino può avere conseguito un primato nella presenza economica in paesi africani emergenti, come la Nigeria. Vi può avere portato industrie, lavoro, infrastrutture. Ma le locali classi dirigenti parlano inglese. Mandano i loro figli a studiare in Gran Bretagna o negli States. Il ceto medio guarda programmi televisivi americani… il modello sociale, lo stile di vita cui aspira è quello di Los Angeles. Non quello di Shangai.

Questo lo stato dell’arte. Ma chi studia la geopolitica senza paraocchi ideologici, e senza pigri schematismi, sa bene che certi aspetti della scena internazionale, del cosiddetto Grande Gioco, possono subire metamorfosi. E, talvolta, rapidi stravolgimenti.

E certi mutamenti di… umore, possono incidere più di un terremoto che sconvolga il quadro geografico.

Ed è proprio questa una delle, principali e prime, conseguenze della Guerra russo-ucraina. Della quale ritengo sinceramente ben difficile prevedere la durata e gli stessi esiti. Ma che sta profondamente mettendo in crisi il primato del Soft Power occidentale.

Quella del Soft Power è arte sottile. Richiede una ferrea retorica, una grande capacità di persuasione. Ma vanno dosate, con cautela. Altrimenti si rischia di gettare la maschera. E rivelare il vero intento, il dominio, dietro al volto benevolo e seducente. Come il Gerione di Dante, che ha volto d’uomo dabbene, ma corpo di Drago. E, soprattutto, coda di scorpione.

<<Ecco la fiera con la coda aguzza,
che passa i monti e rompe i muri e l’armi!
ecco colei che tutto ‘l mondo appuzza! >>
XVII Canto con le parole di Virgilio

Nell’insorgere della crisi Ucraina, l’Amministrazione Biden ha gettato la maschera. E cominciato ad agire come il classico elefante nel negozio di cristalli. Se in occasione dell’attacco all’Iraq Bush junior aveva cercato di salvare le apparenze, e lo stesso aveva fatto prima di lui Clinton attaccando Belgrado, in questo caso le intenzioni della Casa Bianca si sono immediatamente palesate nella loro realtà. Utilizzare l’Ucraina per distruggere le speranze di Mosca in un mondo multipolare. E di tornare, come sta facendo, ad essere un attore geopolitico globale. Costasse quel che costasse. Ovvero il massacro degli ucraini. E la sostanziale distruzione e impoverimento degli alleati, o meglio sudditi, europei

Ho qualche dubbio sulla efficacia a lungo termine di questa strategia. Ma potrei sbagliarmi. Di una cosa, però, sono certo. Le modalità adottate dalle ultime Amministrazioni statunitensi (con l’eccezione di Trump) e in particolare da questa che fa capo a Joe Biden, stanno seriamente erodendo l’appeal, ovvero l’attrattiva che ha, per molti decenni, esercitato il modello americano. Ovvero indebolendo il Soft Power di Washington.

I segnali sono abbastanza chiari. I Sauditi manifestano una crescente sfiducia in Washington. Ritengono che non possa più essere un alleato/protettore affidabile. E questo spiega il riavvicinamento con Teheran.

E un discorso analogo è possibile fare sia per la Turchia, sia per il resto del Mondo Arabo.

La crescita esponenziale delle simpatie per i BRICS è un altro elemento da tenere in debito conto. Sta coinvolgendo Asia, Africa ed America Latina. E potrebbe portare alla fine dell’era del dollaro come valuta degli scambi internazionali. Eventualità che, per gli States, peserebbe più di una guerra mondiale perduta.

Gli USA restano pur sempre una grandissima potenza. Ma in gran parte del mondo vengono sempre più visti come una potenza “normale”. Ovvero protesa a perseguire i propri interessi a spese altrui. Non più come l’alfiere di uno stile di vita, di un modello sociale e politico cui ambire.

1929 Recessione americana. Il cartello dice: WORLD’S HIGHEST STANDARD OF LIVING (IL PIU ALTO STANDARD DI VITA AL MONDO) THERE’S NO WAY LIKE THE AMERICAN WAY (NON C’È MONDO COME IL MONDO AMERICANO)

Certo, resta l’Europa. Le cui classi dirigenti si sono completamente appiattite sulla linea politica di Biden & co.

Con rare eccezioni.

Però anche nell’Europa occidentale si sta manifestando un profondo jato tra queste sempre meno rappresentative élite e i popoli che governano. Altra storia, questa. Che merita di venire approfondita.

Andrea Marcigliano

 

 

Approfondimenti del Blog

(1)

Che cos’è il Soft Power

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Controllate anche

«L’APPETITO DI TRUMP»

"Trump, un insaziabile appetito tra potere, polemiche e protagonismo." …