Recentemente, il farmaco aducanumab è salito alla ribalta sulle principali testate nazionali e d’oltreoceano come potenziale cura per l’Alzheimer

Placche beta amiloidi

ADUCANUMAB: ABBIAMO DAVVERO SCONFITTO L’ALZHEIMER?


Approvato da pochi mesi dalla U.S. Food & Drug Administration [eng]
Recentemente, il farmaco aducanumab è salito alla ribalta sulle principali testate nazionali e d’oltreoceano come potenziale cura per l’Alzheimer.

Il farmaco, infatti, che è stato approvato da pochi mesi dalla U.S. Food & Drug Administration [eng] (l’equivalente statunitense di AIFA ed EMA), sembrerebbe aver dato riscontro positivo nei primi test in fase III, ossia la sperimentazione umana su larga scala.

La comunità scientifica sembra tuttavia scettica verso questa soluzione: quanto c’è di vero dietro questo traguardo? Quali sono i costi nascosti?

Cos’è l’Alzheimer?

L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che colpisce sino al 5% delle persone con più di 60 anni in Italia. Ad oggi, si stimano oltre 500.000 persone affette (fonte: Istituto Superiore di Sanità) rendendola la forma più comune di demenza senile. Sebbene sia legato all’anzianità, il Morbo di Alzheimer può essere sporadicamente diagnosticato anche in pazienti con appena 50 anni d’età.

Ciò che rende l’Alzheimer una malattia estremamente subdola è proprio il decorso: i sintomi, spesso ignorati o sminuiti, coinvolgono una lenta ma progressiva perdita della memoria insieme a tutte quelle facoltà cerebrali fondamentali nella vita di tutti i giorni. Nelle fasi terminali, i pazienti risultano del tutto incapaci di formulare pensieri sensati, parlare o compiere azioni semplici come bere un bicchiere d’acqua.

I pazienti possono vivere dai 3 ai 10 anni dalla diagnosi della malattia, che si realizza attraverso l’identificazione delle placche amiloidi nel tessuto cerebrale.

Anziano affetto da alzheimer © Fonte: National Institute on Aging/National Institutes of Health

La malattia al microscopio

Nel cervello di un paziente sano, vi sono numerosi complessi che collaborano nella proliferazione e mantenimento cellulare di tutte le strutture. Tra tutti, possiamo individuare la proteina APP e la proteina tau.

Ruolo della proteina Tau nella coesione dei microtubuli
Struttura della proteina APP

APP, proteina amiloide-precursore, è incaricata di promuovere la crescita cellulare ed è talmente importante da essere presente non solo nel cervello, ma anche nel cuore, nei reni e in altri organi del nostro corpo. Alle volte, può succedere che questa proteina venga tagliata per errore in un sottoprodotto altamente appiccicoso: la proteina beta-amiloide.

A differenza del suo precursore, questo prodotto è estremamente dannoso e col tempo si aggrega a formare delle placche (dette amiloidi) che “soffocano” le cellule adiacenti portandole alla morte. È proprio l’identificazione di queste placche nella materia cerebrale che permette il riconoscimento della malattia.

Il secondo fattore determinante nell’insorgenza dell’Alzheimer è la proteina tau: in condizioni fisiologiche, questa promuove la formazione di microtubuli impiegati dall’organismo per veicolare sostanze nutritive e segnali. Nei pazienti affetti, la proteina tau collassa su sé stessa a formare “viluppi”, ossia regioni con microtubuli densamente aggrovigliati.

In queste aree il trasporto di nutrienti è inibito, pertanto tutte le cellule cerebrali colpite sono destinate a morire.

L’azione combinata di questi due elementi conduce a una vasta e progressiva degenerazione delle cellule cerebrali. Il cervello di un paziente in fase terminale risulta vistosamente atrofizzato.

Come funziona l’aducanumab?

L’aducanumab è un farmaco ad anticorpi monoclonali (che hanno un interessante legame con gli alpaca e il COVID-19!): significa che ciascun anticorpo possiede un’affinità altamente specifica verso un antigene, un bersaglio, e si lega a esso stimolando una reazione immunitaria (proprio come gli anticorpi “convenzionali” del nostro organismo).

Nel caso dell’aducanumab, l’antigene sono le placche amiloidi e una volta entratone a contatto ne induce la degradazione. È proprio questo tratto a distinguerlo dai farmaci giunti finora che invece si limitavano ad alleviare i sintomi come il disorientamento o i cambiamenti d’umore.

Il farmaco viene somministrato per via endovenosa, e a oltre 78 settimane dall’inizio del trattamento (in fase III di sperimentazione), si è registrato un calo del 30% di placche amiloidi [eng] nei pazienti affetti rispetto al gruppo di controllo.

“Aduhelm” è il nome commerciale dell’aducanumab © Fonte: Biogen

Luci e ombre sull’aducanumab

Purtroppo, anche questo trattamento non è privo di limitazioni e di forti, fortissime, controindicazioni.

Il farmaco si prefigge di trattare solo i pazienti negli stadi iniziali della malattia, dunque, dove la quantità di placche amiloidi è ancora ridotta. Tuttavia, abbiamo ben compreso come la diagnosi precoce non sia facile, né largamente diffusa, il che riduce fortemente il bacino di pazienti a cui il farmaco può essere somministrato.

Il secondo punto dolente riguarda gli effetti collaterali [eng]: circa un quinto dei pazienti lamentava nausea, vomito, mal di testa, disorientamento.

Indagini approfondite attraverso risonanza magnetica hanno rivelato la presenza di edema cerebrali, definiti ARIA (ossia l’accumulo di liquido nel tessuto del cervello, che può bloccare il trasferimento di ossigeno e sangue e condurre alla morte delle aree coinvolte) in almeno il 35% dei soggetti.

Fenomeni di ipersensibilità (come angioedema, orticaria) si sono manifestati solo a livello sporadico e, altrettanto raramente (nello 0.6% dei casi), si sono manifestati pazienti con anticorpi contro l’aducanumab.

La cura per l’Alzheimer è ancora lontana?

Sicuramente la cura definitiva per questa malattia non è dietro l’angolo, ma ciò non significa che dobbiamo smettere di camminare.

L’aducanumab fa ciò che nessun farmaco ha realizzato prima d’ora: ha colpito le cause dirette della patologia, piuttosto che fermarsi a lenirne gli effetti; ha aperto le porte a una serie di trattamenti farmacologici finora inesplorati.

È attraverso il duro lavoro, l’assidua sperimentazione, il sacrificio di molti, che si giunge a solide scoperte, a cure efficaci. Sicuramente l’aducanumab non “curerà l’Alzheimer” come scritto da molti, ma ci mostra che una cura per l’Alzheimer è possibile: è abbastanza.

Michael Di Maio

 

 

 

 

Michael Di Maio laureato in Scienze Biologiche presso l’Università degli Studi di Ferrara e studente magistrale in Molecular and Cell Biology presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna. Profondamente innamorato della Scienza in tutte le sue diramazioni, di musica elettronica e cyberpunk.

 

 

22 Febbraio 2022

 

 

 

 

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