Non fu salvata da un principe né visse felice e contenta, ma la sua tragica storia ispirò una delle fiabe più famose dei fratelli Grimm

I sette nani si riuniscono intorno alla tavola in attesa della cena nel film animato disney “Biancaneve e i sette nani” (1937)

AMORE, PSICHE E I SETTE NANI

L’esoterismo all’interno della fiaba popolare di Biancaneve


Nel 1986 un ricercatore tedesco, Karl-Heinz Barthels scrisse un articolo in cui sosteneva di aver trovato le radici storiche di Biancaneve. La protagonista dalla fiaba raccontata dai fratelli Grimm e resa famosa in tutto il mondo da Walt Disney sarebbe stata in realtà Maria Sophia Margaretha Catharina von Erthal,(1) figlia di un magistrato di inizio Settecento che, scacciata dalla matrigna per questioni di eredità, sarebbe stata costretta a vivere nei boschi, ospitata da alcuni minatori. Dato che i cunicoli erano stretti, in queste miniere lavoravano bambini e nani. Ed ecco l’origine dei sette nani. La ragazza morì poco dopo di vaiolo. Abbiamo dunque trovato la Biancaneve storica?

La donna d’insolita bellezza proprio come il personaggio di fantasia avrebbe sofferto per mano di una matrigna cattiva e sarebbe morta, sola e cieca, nel 1796

Non esattamente. Andiamo a vedere cosa non torna partendo dal concetto di fiaba (da non confondere con la favola, che è un brevissimo racconto morale con protagonisti animali umanizzati, come quelle di Esopo e Fedro) La fiaba e il mito (che è una fiaba per aristocratici) sono simboli, con una differenza: il mito romanza le imprese di personaggi realmente esistiti come Orlando o Robin Hood, o eventi realmente accaduti come la guerra di Troia, introducendo un elemento favoloso sopra una base reale. La fiaba è puro simbolo, addirittura psicanalistico: i suoi protagonisti sono null’altro che simboli della vita e del cambiamento.

La fiaba di Biancaneve riprende, come la Bella Addormentata e Cenerentola (su quest’ultima bisognerebbe fare un discorso a parte essendo una fiaba antichissima, presente già nell’antico Egitto e nell’antica Cina), la simbologia di Amore e Psiche, la fiaba che Apuleio “inventa” all’interno dell’Asino d’oro.

Psiche non è una donna, ma l’anima, come indica il nome stesso in greco. L’anima deve affrontare una serie di prove per raggiungere Amore. Le supera quasi tutte, ma la sua forza non è sufficiente: alla fine è Amore stesso che la salva. Anche Psiche cade in un sonno profondo che simboleggia l’obnubilamento dell’anima, dal quale viene risvegliata da Amore. Biancaneve è Psiche. Biancaneve, più che la bianchezza della pelle, indica la purezza dell’anima. Nulla di storico, semplicemente una serie di simboli che indicano le prove della vita, quelle che lo studioso di fiabe russo Vladimir Propp chiamava “il viaggio dell’eroe”.

Il viaggio dell’eroe, gli archetipi e le fasi del viaggio

“Amore” non è l’amore nel suo senso banalizzato di oggi, ma il sentimento più elevato che possa esserci, sul quale filosofi, poeti e mistici hanno riflettuto. I nani sono l’aiutante: ricordiamo che i nani nei miti norreni sono i custodi delle ricchezze della terra: non minatori, ma custodi di tesori. E anche l’anima pura è un tesoro.

La favola di Amore e Psiche, concepita da un sacerdote di Iside, è iniziatica, e non è un caso che Apuleio poi diventi modello per uno dei più celebri ideatori di fiaba “d’autore” (quindi non proveniente da tradizioni popolari), ovvero Carlo Collodi che riempirà il suo Pinocchio di simbologie esoteriche di matrice apuleiana. Biancaneve è la versione “popolare” di questa iniziazione. A cosa sei iniziato? All’Amore. Tutti i grandi mistici identificano l’Amore con la Divinità.

Prima di arrivare all’amore Biancaneve si perde nel bosco. Il bosco è un simbolo antichissimo e potentissimo. È lo smarrirsi nei pericoli della vita, o dell’inconscio secondo più recenti interpretazioni junghiane. Perché per gli antichi il bosco era il luogo del pericolo. E l’uscire dal bosco significava affrontare le paure più profonde. Certo, un’altra celebre fiaba popolare ha come centro il bosco e i suoi pericoli: Cappuccetto Rosso. Ma è impossibile non pensare anche alla “selva oscura” dantesca o alla “Terra oltre i boschi”, la Transilvania dove Jonathan Harker affronta la sua zona oscura rappresentata da Dracula.

La strega cattiva porge la mela avvelenata a Biancaneve 1937

Come Psiche, Biancaneve deve cadere in un sonno simile alla morte. Biancaneve perché apre una boccetta proibita che l’invidiosa Venere (che nella fiaba di Apuleio recita il ruolo della “matrigna”) le dona. Biancaneve perché morde la mela, simbolo di morte nella tradizione cristiana derivata dal Genesi. Dal sonno-morte l’anima viene risvegliata dall’amore, che in Apuleio è proprio Amore. Interessante come Biancaneve si risveglia nella fiaba originale, elemento poi modificato da Disney: non grazie ad un bacio ma perché la bara trasportata dal principe inciampa in un sasso e questo fa uscire il pezzo di mela dalla bocca.

La pietra d’inciampo è un chiaro riferimento al Cristo che cancella la morte (“se mangerete del frutto morirete” Genesi 3,3), e quindi l’anima è pronta ad elevarsi. E proprio nella parte finale Walt Disney mostra di aver compreso il significato profondo della fiaba: il principe e Biancaneve vanno verso un castello in cielo. È Amore che rapisce Psiche e la porta verso il cielo. Oramai gli studiosi più seri sanno bene che ridurre le fiabe a raccontini per bambini significa banalizzare qualcosa di semplice ma profondissimo. Ma pure cercare degli appigli storici significa banalizzare dei racconti che sono frutto di visione “sciamanica”

Andrea Sartori

 

 

 

Approfondimenti del Blog

(1)

La lapide della vera Biancaneve è stata ritrovata in una cantina tedesca

Chi era la vera Biancaneve: una lapide ritrovata ne racconta la storia

Era Maria Sophia Margaretha Catherina von Erthal il vero nome di Biancaneve, eroina della celebre fiaba dei fratelli Grimm. In una cantina di Bamberga, nella Baviera, è stata scoperta una lapide in marmo che, secondo il direttore del Museo Diocesano di Hofburg, Holger Kempkens, apparteneva alla vera “Snow White”.
Molte sono infatti le affinità riconosciute tra Sophia e l’eroina. Contrariamente alla candida protagonista della favola, la vita della donna non ebbe però un lieto fine: divenuta cieca in gioventù, morì in un convento di Bamberga a 71 anni. Nessun principe azzurro e nessun bacio salvifico, dunque. La sua lapide è una scoperta dai risvolti importanti: poche donne del tempo potevano vantare una pietra tombale con sopra impressa un’iscrizione. A cura di Francesco Milo Cordeschi

 

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