[…] i cattivi maestri sono stati gli intellettuali della generazione di Camilla Paglia, attiva da mezzo secolo. Il danno fatto è terrificante, l’eclissi del maschile, la scomparsa di qualunque elemento virile nel carattere degli uomini della società occidentale è talmente grave da destare l’attenzione di studiosi niente affatto conservatori, come lo psicanalista Massimo Recalcati.
A di là del severo giudizio di merito, spicca la natura eminentemente borghese e neoliberale di tutte le ideologie – chiamiamole francamente panzane – che hanno prima infettato e poi distrutto lo spirito europeo e occidentale, dalla psicanalisi al neoilluminismo francofortese, le teorie della liberazione sessuale di Wilhelm Reich(1) e autentici folli come Georges Bataille(2) sino a parte importante del pensiero femminista, come testimonia la stessa Paglia. L’esito è quello che osserviamo nell’esplosiva miscela di ipotesi balzane diventate senso comune fino ad imporsi nella legislazione.
Ciò che rimane dell’opera di Camille Paglia è la scelta di una libertà responsabile, lontana dalle astrazioni e dalle ideologizzazioni. Spiega la scrittrice che al suo college le ragazze dovevano rientrare alle 11, mentre gli studenti maschi non avevano alcuna limitazione. Alle proteste da lei guidate, il rettore rispose che non si trattava di una vergogna, ma della presa d’atto dei pericoli del mondo. Le studentesse decisero di correre il rischio, e ce la fecero perché accettarono di guardare in faccia la realtà. La conclusione della Paglia è interessante: «Il fatto è che la mia generazione è stata educata da gente che aveva fatto la seconda guerra mondiale e vissuto la Grande Depressione. I nostri genitori capivano la realtà e ci avvertivano dei rischi. Questo sviluppava una personalità in grado di affrontare le controindicazioni della libertà. Oggi, due generazioni dopo, i giovani della classe media sono fragili e incapaci di sopravvivere. Vivono in un ambiente iperprotettivo, educati per non essere feriti. Non viene più insegnata la successione di orrori che è stata la storia. Si parla solo di questa spazzatura del vittimismo e delle minoranze oppresse.»
Sante parole, ma, dice un proverbio, chi va per certi mari, trova certi pesci: se il cattivo maestro è Sigmund Freud, se la prospettiva resta materialista, è difficile arrestare la decadenza. Più condivisibile è la polemica contro la deriva antimaschile che il neo femminismo sta trasmettendo all’intera società, anche attraverso movimenti come Me Too(3), la cui battaglia contro i ricatti sessuali ha un evidentissimo retrogusto di demonizzazione del maschio in quanto tale.
Le ragazze, ammette Paglia, credono di potersi vestire come Madonna negli anni ‘80, girare per una via oscura in piena notte senza che non capiti nulla. Hanno diritto di pensarlo, ma bisogna avvertirle dei pericoli, tra i quali ci sono alcuni uomini, pochi, psicotici e tendenti all’abuso sessuale. Invece, insegnano ai ragazzi che tutto il mondo è buono e si diventa cattivi a causa delle ingiustizie sociali. Qui è sfiorato un punto decisivo delle false narrazioni progressiste, ma anche liberali, ovvero la riduzione dell’uomo alla sfera economico sociale. L’attacco all’universo maschile di movimenti come Me Too diventa una conseguenza della rivoluzione sessuale, di cui l’autrice rivendica la bontà, che ha spinto a rapporti sempre più precoci e banalizzati.
La postmodernità sta facendo perdere alle donne dignità e status, sostiene la Paglia, con un giudizio dal quale dissentiamo, ossia che «per gli uomini è fantastico, perché hanno un accesso al sesso inimmaginabile». Non è vero, riteniamo anzi che sia un attacco indiretto alla personalità maschile, considerata solo sotto l’aspetto pulsionale. Inoltre, ignora, da promotrice della libertà sessuale e forse anche da lesbica, l’enorme ruolo giocato dai sentimenti. Il sesso, piaccia o meno agli adepti di Freud e Marcuse, ha una relazione profonda con l’amore, in assenza del quale diventa atto di puro istinto.
Pur condannando “tutti quegli appuntamenti presi per telefono” o via internet, e riconoscendo la banalizzazione del sesso, nessuna autocritica. E’ invece significativo che chieda di ridare valore ai codici del corteggiamento e, soprattutto, prenda atto che “uomini e donne vedono il sesso in maniera differente. Questo è un altro errore del femminismo. Ha abbandonato la biologia e dice che non esistono distinzioni di sesso.”
Il vero discrimine, il ritorno al reale è su questo punto di capitale importanza dopo le devastazione della teoria del gender, che riduce tutto alla soggettività, alla scelta, negando il dato di natura, la differenza biologica sintetizzata dal biblico “maschio e femmina li creò”. La Paglia segna un dissenso radicale dalle follie dell’ultimo decennio: «se si creano studi di genere, non si può che includervi lo studio della biologia, essenziale quando alcuni sostengono che il cosiddetto orientamento sessuale sia una mera costruzione sociale. E’ una menzogna che il genere sia una costruzione totalmente sociale, poiché si tratta piuttosto di una intersezione tra cultura e natura. Per questo affermo che gli studi sul gender sono semplice propaganda e non una disciplina accademica.» Probabilmente è il massimo dello sforzo, stante la storia personale dell’autrice, ma restiamo convinti che non ci sia alcuna interazione tra natura e cultura nell’appartenere a un sesso o all’altro. Altra cosa sono le conseguenze sociali, i riti, le coperture culturali, i significati che ogni civiltà ha attribuito al rapporto tra i sessi. Di grande interesse è l’analisi della crisi del sesso maschile, la stigmatizzazione profonda del suo universo in corso in vari modi, l’ultimo dei quali è la campagna di criminalizzazione attraverso il cosiddetto femminicidio e la demonizzazione di figure negative come il produttore cinematografico Harvey Weinstein.
La crisi della mascolinità è lo smarrimento di ruolo morale, civile e sociale, generata dal parricidio simbolico indicato da Freud come elemento di liberazione individuale, diventato rigetto delle tradizioni ricevute, dell’autorità e rimozione violenta della figura paterna. L’autocritica di promotrici della dissoluzione come Camille Paglia dovrebbe spingersi più a fondo. Accontentiamoci di registrare il ritorno al senso comune. «Il dibattito si è centrato unicamente sui bisogni delle donne. Intanto, gli uomini vengono dipinti come violentatori, criminali e tutto ciò che è maschile è diffamato, screditato. Arrivano a dire che gli uomini sono donne incomplete! Chiaro, i ragazzi vedono tutto questo come qualcosa di terribile e mi dispiace molto per loro. Attraversiamo un periodo di caos. Certo, abbiamo tanti privilegi e lussi, ma la gente è miserabile.»
Tutto sacrosanto, benvenuta tra noi, ma i cattivi maestri sono stati gli intellettuali della generazione di Camilla Paglia, attiva da mezzo secolo. Il danno fatto è terrificante, l’eclissi del maschile, la scomparsa di qualunque elemento virile nel carattere degli uomini della società occidentale è talmente grave da destare l’attenzione di studiosi niente affatto conservatori, come lo psicanalista Massimo Recalcati.
Un elemento deleterio, che né lo psicanalista milanese, né la Paglia tengono in considerazione è il diffuso senso di colpa instillato nei giovani maschi sin dall’età dello sviluppo e della formazione della personalità. Il nuovo femminismo, alleato con l’omosessualismo e con i cascami delle subculture ossessionate dall’uguaglianza sta istillando un vero e proprio odio di sé nei maschi, semina il dubbio che i loro istinti naturali, sentimenti, pulsioni, il loro specifico modo di vedere il mondo siano negativi in quanto pervasi da violenza, tendenza all’abuso. Ogni maschio, è l’allusione sempre meno scoperta, è un potenziale violentatore. Vengono estratte dai cassetti statistiche incredibili, distorte o inventate di sana pianta, secondo le quali sarebbero pochissime le donne a non aver subito violenza.
L’arroganza verbale, i toni isterici, apocalittici non solo di Me Too, ma di buona parte della cultura ufficiale, stanno portando a termine la destrutturazione e decostruzione dell’universo maschile. In questo senso è giusta l’ostilità di Camille Paglia nei confronti di Deleuze, Guattari, Foucault e Derrida, ma il danno – esistenziale e antropologico – è fatto. Intere generazioni di giovani uomini incerti, deboli, privi di punti di riferimento, impauriti dalle reazioni di un archetipo di donna aggressiva ma contemporaneamente pronta ad assumere il ruolo di vittima. Temiamo che la confusione porti acqua al mulino dell’omosessualità, maschile ma anche femminile, giacché non pochi adolescenti potrebbero considerarla la via d’uscita al conflitto tra i sessi alimentato con tanta irresponsabilità.
La risposta indiretta della Paglia alle obiezioni esposte è articolata e non priva di elementi interessanti, a comprova della sua preparazione culturale profonda, multidisciplinare, estranea a tanti maestrini e maestrine che vivono la deformazione dell’ideologia e il buio dell’ignoranza. Sostiene, da antropologa, che per millenni uomini e donne ebbero, in fondo, pochi contatti. Gli uni andavano a caccia, si dedicavano alla raccolta o alla difesa del territorio, le altre restavano a casa, dedicandosi alla prole.
Oggi, si lavora insieme, ma le donne affermano di essere discriminate e molestate. Le femministe, intima la Paglia, dovrebbero astenersi dal diffondere la retorica antimaschile soprattutto perché stanno impedendo ai loro figli di diventare adulti. La colpa dei mali denunciati dalle femministe, conclude, non è degli uomini, ma del sistema di relazioni sociali nel quale viviamo. Può essere, ma allora va contestato alla radice, ricordando che il mondo contemporaneo vive di competizione esasperata, nel culto del denaro e del successo, ove l’arma sessuale è impugnata per ottenere vantaggi o distruggere l’avversario. Forse andrebbe ripreso un vecchio concetto marxiano, secondo cui le donne sono state l’esercito industriale di riserva del primo capitalismo, l’elemento che ha permesso di abbattere il costo di produzione attraverso la massiccia concorrenza sul mercato del lavoro.
La marcia è continuata spedita, sino alla realtà attuale in cui l’educazione è saldamente in mani femminili, con l’ulteriore perdita – dopo i padri biologici – di altre figure di riferimento per i giovani maschi in formazione. Adesso qualcuno riscopre che la vita reale è anche la famiglia, né la carriera può essere l’unico elemento di costruzione dell’identità, il centro della realizzazione soggettiva. Le donne operaie, rileva Paglia, non danno tanta importanza al lavoro, per loro è unicamente il modo di guadagnare del denaro, la vera vita è in casa o durante le vacanze, in cui dimenticano il lavoro. Sono le classi medie e alte a pensare costantemente alla professione.
Non vi potrebbe essere denuncia più chiara del carattere strumentale, antipopolare dell’alleanza tra femminismo e struttura di potere, ma manca la pars construens, ovvero una proposta su come uscirne. Si continua a rimanere prigionieri del paradigma dominante, dal quale è accuratamente esclusa qualunque componente spirituale, non diciamo religiosa, in assenza della quale non avrà mai senso proporre una vita nella quale ci sia posto per gli altri, la famiglia, i figli, la libera donazione di sé, del proprio tempo, la dedizione a qualcosa che ecceda il denaro, il successo personale, la gratificazione sessuale che, secondo Freud, è l’unico movente delle nostre condotte.
Cerchiamo tuttavia di trarre dall’esperienza di Camille Paglia le giuste provocazioni, gli elementi che rimettono a posto gli spropositi del combinato disposto femminismo-ugualitarismo ideologico. L’affermazione più imperdonabile di Sexual Personae è la seguente: se la civiltà fosse stata in mano alle donne continueremmo a vivere nelle caverne. Fuori dagli eccessi, è vero che le grandi strutture culturali sono un prodotto maschile. La docente di arte non ha dubbi: sono stati gli uomini a rompere gli stili ed a creare la storia dell’arte, a partire dai grandi progetti di irrigazione in Mesopotamia e dalle piramidi egizie. Il motivo, secondo lei, è che «gli uomini sono capaci di uccidere se stessi e gli altri per portare avanti i loro progetti o esperimenti, e cercano di andare oltre il conformismo, oltre la caverna. In parte, forse, per sfuggire ad un luogo, la caverna, dove comandavano le donne!»
Se questo è vero, è giunto il momento di smetterla di non riconoscere i successi e la visione del mondo maschili, di vilipendere e svalutare l’ex sesso forte. L’accusa di etero patriarcato, ultimamente ripetuta all’eccesso, va respinta come una stupidaggine che squalifica ogni analisi seria. Nella società americana il voto femminile fu conquistato prima dalle donne della frontiera, dell’Ovest, rispetto alle beneducate, ma esangui signore della costa orientale. La ragione? Nelle società agrarie, più familiari, gli uomini guardavano alle donne come uguali poiché svolgevano molto lavoro fisico, a differenza delle damine con il bustino alle prese con il tè. Le loro discendenti sono le borghesi decadenti di oggi, ideologizzate, prigioniere dell’incultura dell’identico, sempre pronte, ironizza Camille Paglia, a rifugiarsi nelle leggi o nei comitati.
Insieme a indubbie conquiste civili, il fiume impetuoso del femminismo ha trascinato con sé errori, autentici spropositi ed ha collaborato a non poche follie. Dopo la demonizzazione del maschio, violentatore e assassino in servizio permanente effettivo, indigna il supporto fornito da Judith Butler(4)alla falsità più grande, l’idea che la differenza sessuale sia un costrutto sociale sconosciuto in natura, tanto che la scelta del genere, distinto dal sesso perché la neolingua prevede parole nuove per vecchi concetti, deve trasformarsi in diritto individuale. In questi giorni, a Torino si inaugura un asilo in cui i piccoli vengono trattati senza riferimento al sesso. Niente grembiulini di diverso colore, macchinine, soldatini o bambole, maschietti e femminucce.
La dittatura disumana dell’identico avanza. Il femminismo porta la sua parte di responsabilità nel degrado. Non resta che sperare che il ritorno al reale di una cattiva maestra del passato come Camille Paglia aiuti a invertire la rotta. Nel frattempo, resta la verità di due creature diverse e distinte, destinate a incontrarsi.
“E Dio creò l’Uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò.” (Genesi, 1-27).
Guido Bianchi
10 Maggio 2018 a 16:31
Interessante. Una cosa che non sopporto è quando una donna decisa si definisce o la si definisce “con le palle”. Non vedo perchè le donne debbano aspirare ad assomigliarci, se non nella parità di diritti a parità di condizioni.