Riflettiamo troppo poco sulla verità in un mondo nel quale un unico sistema di potere possiede le tecnologie informatiche e i mezzi di comunicazione; può dunque determinare tutti i fini ridotti a uno, il profitto unito al dominio.

   L’attivazione dei sensi da parte della pubblicità privilegia le sensazioni immediate, “facili”, l’immagine deve superare la parola e ancor più ciò che è scritto. Trionfa un voyeurismo di massa che si accontenta della superficie ma pretende immagini sempre più forti, colori più intensi, sensazioni istantanee. Tutto ciò allontana il pensiero, la critica, il giudizio, per i quali vengono abolite le parole, come disseccate, e i concetti relativi, chiusi nello sbadiglio museale dei dizionari. Il telefono cellulare prima, lo smartphone poi hanno aggravato l’afasia per impoverimento del vocabolario, attraverso l’uso di sigle, acronimi, pittogrammi come gli “emoticon”. Il nome emoticon richiama l’emozione. Sembra questa l’esigenza primaria dell’uomo contemporaneo. Non più sentimenti o stati d’animo, duraturi, forti, pensati, ma semplici emozioni, stati psichici affettivi momentanei consistenti nella reazione a percezioni o rappresentazioni. 

La sequenza delle emozioni forma il nuovo senso della vita, ma esse sono in gran parte provocate, indotte, eterodirette. Dunque, sono quelle e non altre in base agli scopi di chi le ha determinate. Nel caso della pubblicità, assistiamo alla caduta delle difese razionali, dei limiti e dei sentimenti morali, alla distruzione del Super Io. Le immagini sollecitano reazioni legate alla sfera del piacere, innanzitutto sessuale, le voci alternano toni euforici a accenti melliflui, intonazioni ipnotiche a espressioni soddisfatte; le frasi, elementari, hanno il compito di accompagnarci rapidamente nell’universo del desiderio anticamera della felicità. I panorami sono sempre belli, gradevoli, monumenti e opere d’arte diventano fondali, “location” per promuovere la forma merce, tutti sono felici, ben vestiti, sani, tranne gli esclusi, i paria, gli intoccabili, coloro che non seguono la giusta via acquistando quel prodotto, trascinando una vita non conforme. Costoro sono rappresentati come brutti, ingrugniti, infelici. È una sorta di realtà modificata, in cui vige l’adaequatio rei et publicitatis, una corrispondenza indotta tra realtà e pubblicità: bandito l’intelletto della formula di Tommaso d’Aquino. 

  Latto dell’acquisto è sempre positivo, il nuovo è migliore dell’ex nuovo di ieri, invecchiato per tacito consenso e screditato dall’emozione rinnovata, una scossa elettrica per milioni di servi volontari. Chi non ha denaro, pagherà, le rate sono sempre “comode”, differite nel futuro, gli importi piccolissimi. Degli interessi si tace, se non per singoli aspetti favorevoli. Un residuo moralismo ipocrita inibisce la pubblicità al fumo, ma non sfuggono alla reclame l’alcool, le scommesse, il gioco d’azzardo che rovina le famiglie, i profilattici. La pubblicità è l’anima del commercio, tutto è merce, uomini compresi, e deve essere compravenduto, non sono ammessi limiti o zone franche. La pubblicità è l’unica anima rimasta sul mercato. La menzogna non solo vi è consentita, ma raccomandata e premiata attraverso gli istogrammi delle vendite. 

Come i ciechi di Brueghel?

Riflettiamo troppo poco sulla verità in un mondo nel quale un unico sistema di potere possiede le tecnologie informatiche e i mezzi di comunicazione; può dunque determinare tutti i fini, ridotti a uno, il profitto unito al dominio per sé, il consumo per noi senza distinguere tra vero o falso, giusto sbagliato, bene o male. La verità prende la maiuscola e cala dall’alto. È vero, è bene ciò che lorsignori decidono che lo sia. Il resto è silenziato, ridicolizzato o bollato con il timbro della bugia propalata ad arte dai malvagi di turno. Fake news, il cattivo è immediatamente identificato e smascherato, espulso dal consorzio civile. Un altro aspetto dell’infantilizzazione della società: per il bimbo che non ubbidisce alla mamma, nei panni del Grande Fratello globale, è sempre in agguato il lupo o l’uomo nero.  

  Una volta colonizzato l’immaginario, far consumare merci, idee, comportamenti, con l’ausilio di alcune parole magiche, opportunità, libertà, scelta (!!!), è un gioco per i signori della pubblicità regresso. Ci hanno persuaso anche della gratuità di molti servizi, scacciando l’idea (altra fake news…) che se qualcosa è gratis, il prodotto venduto siamo noi. Goethe, che dal desiderio ha tratto un capolavoro universale, immaginò il suo deus ex machina negativo, Mefistofele, impegnato a comprare l’anima della vittima. Faust era assetato di piacere e di giovinezza, sì, ma anche di conoscenza. Non erano la libido, né il consumo a muovere la sua scelta. Azzerato ogni principio, obliterata ogni morale, messa da parte ogni utopia o ideologia, il Mefistofele mercatista riesce a farci pagare, indebitare, per realizzare i nostri sogni di consumo. 

Ha compiuto un’impresa ancora più ardua, convincendoci che siamo noi a scegliere tra idee, prospettive, modi di vita, sistemi politici diversi. I pochi dissidenti, quel due per cento di autentici ribelli secondo Junger, non infrangono il muro di chi non si accorge che mille sono le tonalità del colore, infinite le variazioni sul tema, ma la musica è unica, uno il quadro. È come tra gli scaffali del supermercato, dove tanti marchi diversi offrono nella sostanza il medesimo prodotto. L’inganno mefistofelico è giunto a farci preferire il contenitore, anzi il suo nome e il simbolo (marchio, griffe, brand) al contenuto. 

  Un regresso drammatico che non tocca solo l’aspetto commerciale, ma ha raggiunto la politica, la religione, l’etica, il senso dell’esistenza. Non viviamo più nemmeno in un mercato, ma in un gigantesco trust, un cartello globale. I suoi signori sanno tutto di noi, attraverso l’uso e l’incrocio dei dati che forniamo attraverso i nostri comportamenti e il traffico degli apparati tecnologici di uso quotidiano, tanto che ormai la pubblicità ci perviene personalizzata. Esattamente come basta assistere a un paio di blocchi pubblicitari di una trasmissione televisiva per capire a quale pubblico è destinata, sul nostro smartphone compaiono “consigli” indirizzati proprio a noi, esclusivamente a noi. Eppure, tutto ciò non ci atterrisce né ci indigna. 

Mefistofele è stato astutissimo e ha prodotto un regresso delle nostre facoltà in cambio di un pizzico di comodità. La libertà vera, del resto, è un’idea aristocratica. In compenso, i desideri sono per tutti, e indurli, crearli, costruirli non è mai stato tanto facile, per gli iperpadroni. Si è passati dal feticismo della merce alla sua industria, abbattendo il senso morale, la coscienza infelice di Hegel. Ha vinto con altri mezzi la “furia del dileguare” nella forma dell’abolizione di ogni remora, limite e tabù. La società pubblicitaria vincente ha bisogno di eliminare ogni residuo, qualunque passato o remora che ostacoli la marcia inarrestabile del Nuovo, del Progresso, del Consumo. 

Riflettiamo troppo poco sulla verità in un mondo nel quale un unico sistema di potere possiede le tecnologie informatiche e i mezzi di comunicazione; può dunque determinare tutti i fini ridotti a uno, il profitto unito al dominio.

la finestra di Overton

   Per vincere, ha avuto bisogno di sconfiggere tutte le fonti di senso, le religioni, le ideologie, i principi, i sentimenti morali. Che il processo non sia neutro e abbia avuto bisogno di un’azione di lungo termine è dimostrato da un’utile strumento di giudizio, la cosiddetta finestra di Overton. Si tratta di un modello di rappresentazione delle possibilità di cambiamenti nell’opinione pubblica, che mostra come delle idee, totalmente respinte al loro apparire, possano essere poi accettate pienamente dalla società, per diventare infine legge o obbligo.  Qualsiasi idea, anche la più incredibile, per potersi sviluppare ha una finestra di opportunità. In questa finestra l’idea può essere discussa, e si può apertamente tentare di modificare la legge in suo favore. L’apparire di questa idea consente il passaggio dallo stadio di “impensabile” a quello di degna di un pubblico dibattito, sino alla sua adozione nella coscienza di massa e il suo inserimento nella legge. 

Non si tratta di lavaggio del cervello puro e semplice, ma di tecniche più sottili, efficaci e coerenti, tese a portare il dibattito fino al cuore della società, per fare sì che il cittadino comune si abitui a una certa idea e la faccia sua. All’inizio è sufficiente che un personaggio pubblico o politico la promuova in modo caricaturale ed estremo, e che poi il resto della classe pubblica e politica smentisca con grande foga. Ma l’idea è nata, e la danza può cominciare. Nella rappresentazione di Overton, le idee evolvono secondo sei stadi: inconcepibile (inaccettabile, vietato); radicale (vietato, ma con delle riserve); accettabile (l’opinione pubblica sta cambiando); utile (ragionevole, razionale); popolare (socialmente accettabile); legalizzazione (nella politica dello Stato). 

   Luso della finestra Overton è un fondamento della tecnica di manipolazione della coscienza pubblica finalizzata all’accettazione da parte della società di idee precedentemente estranee e permette l’estirpazione dei tabù. L’essenza del metodo sta nel mutamento perseguito attraverso varie fasi, ciascuna delle quali sposta la percezione ad uno stadio nuovo dello standard ammesso fino a spingerlo al limite estremo. Ciò comporta uno spostamento della finestra, ed un dibattito ben orientato permette di raggiungere la fase ulteriore.  La premessa indispensabile è la capacità di controllo dell’opinione pubblica. Non si possono conseguire risultati siffatti senza essere i titolari dei meccanismi di formazione delle coscienze: pubblicità, intrattenimento, spettacolo e, naturalmente, istituzioni. 

Chiunque può verificare, assistendo in televisione a un vecchio film nelle ore meno interessanti per i pubblicitari, che i valori, i principi, le idee base, i modi di vivere vigenti e presentati come “giusti” sino a qualche decennio fa erano del tutto opposti rispetto a quelli odierni. I film, i dibattiti, gli articoli dei giornali mainstream (la schiacciante maggioranza), i discorsi dei personaggi che orientano l’opinione pubblica si muovono concordemente nella medesima direzione, quella del libertarismo estremo, del mercato sovrano, della fine della famiglia, della tolleranza acritica, dell’esaltazione di ogni novità imposta dall’apparato tecnologico, industriale e finanziario. È questo l’impianto di potere che chiamiamo pubblicità, volto a creare un sentire comune che trasborda la società e milioni di persone a ritenere vero, buono e giusto ciò che fino a ieri era falso, male e sbagliato. Se passano determinati messaggi e si trasformano in patrimonio dei più, non è per caso: si tratta di un’operazione studiata, costruita a tavolino, voluta per scopi di varia natura, riassunti nel termine dominio. 

   Tentiamo una dimostrazione a contrariis. Immaginiamo di disporre degli strumenti culturali e giuridici, del controllo dei mezzi di comunicazione e delle università. Potremmo decidere di svolgere una campagna per sconsigliare l’aborto, anche senza cambiare di una virgola le leggi vigenti. Potremmo ridicolizzare facilmente l’idea che maschio e femmina non siano una costruzione culturale, come sostiene l’ideologia del genere (gender), ma un dato di natura, ribadendo che la famiglia è formata da uomo e donna. Potremmo diffondere il principio che la sessualità debba essere esercitata in ambito coniugale, o che la privatizzazione di tutto non sia il miglior modo di organizzare l’economia. Avremmo financo la possibilità di avviare campagne con le quali si sconsiglia di credere a tutto ciò che proviene dal potere, comprese le nostre stesse idee. Non ci sarebbe difficile mettere in campo artisti, intellettuali e solidi argomenti volti a dissuadere dall’uso di droghe o alcool. Potremmo revocare in dubbio i dogmi dell’economia e ogni altra idea dominante. In pochi anni avremmo dalla nostra la maggioranza dell’opinione pubblica.

Se il potere fa il contrario, se l’“impianto”, come lo definiva Heidegger, va in direzione opposta, è segno che esiste una volontà precisa, imposta attraverso complessi meccanismi e passaggi, più o meno quelli analizzati da Overton. La massa, tuttavia, specie se interrogata singolarmente, portata a ragionare e prendere posizione, sente o almeno intuisce che così non va. Ma nulla cambia. Il motivo non sta solo nella potenza dispiegata dal nemico, dalla pervasività dell’apparato, ma nella più grande delle sue vittorie: aver fatto passare ciò che accade come ineluttabile, un destino, un dato di natura previsto dal Progresso, confinando pensiero critico, dissenso, ribellione nel recinto dell’anacronismo e dell’ignoranza. 

   Occorre imparare a non credere, fondare, come esortava Giuseppe Prezzolini, una sorta di Società degli Ápoti, quelli che “non se la bevono”. Nello stesso tempo, è urgente che un numero crescente di persone comprenda che il significato delle parole chiave imposto dal potere è la sua menzogna massima. Progresso, libertà, liberazione, tolleranza, democrazia, mercato, significano per lorsignori il contrario preciso di ciò che ci costringono a credere. La pubblicità, nell’accezione allargata che abbiamo tentato di esprimere, è il meccanismo principale attraverso il quale riconvertono i nostri cervelli, appropriandosene, privatizzati come tutto il resto. Se le nostre idee, scelte, gusti sono dirette da loro, significa che non siamo più proprietari di noi stessi. 

Progresso è dunque regresso, libertà schiavitù. L’illuminismo esaltò la ragione e il libero pensiero, contrapposti all’asserita dogmatica religiosa. Altri dogmi si sono sostituiti ai vecchi senza salvare l’uomo, reso più schiavo di prima: delle passioni, degli istinti e, vivaddio, dei “superiori”. Non ci stanchiamo di citare una frase del più liberale dei liberali, Friedrich August von Hayek(1), ne La via della schiavitù: chi possiede tutti i mezzi, determina tutti i fini. Vogliamo davvero che, attraverso tecnologia e apparato di pubblicità e propaganda, possiedano anche noi? Da antimarxisti di tutta la vita, evochiamo l’autore del Capitale. Lo schiavo di oggi, non diversamente dal proletario del secolo XIX, non ha da perdere che le proprie catene. Il problema è che è non sa di averle. La pubblicità, la società dello spettacolo, la grande macchina la cui anima è l’abolizione della verità, affermano che è libero come non lo è mai stato. 

Pubblicità regresso, ingannevole, abuso della credulità popolare.  

 

 

 

NOTE

(1) Friedrich August von Hayek (1899-1992). È stato un economista e sociologo austriaco naturalizzato britannico.

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