”Brexit, ma non doveva vincere il Remain? Cari amici dell’Ue, bye bye. Sondaggi e giornali decantavano la “conversione…
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IL SILENZIO DI MATTARELLA DAVANTI AL TIRANNO
Nel Vicino Oriente c’è un tiranno genocida che attacca briga con tutti i vicini per provocare una grossa guerra, insulta e oltraggia le Nazioni Unite, si arroga di rivendicare la violazione delle importanti risoluzioni che lo riguardano e che è tenuto a osservare, aggredisce strutture militari e truppe che sono state previste da quelle risoluzioni proprio per impedire che i suoi soldati ripetano le sue brutali invasioni.Fra quelle truppe ci sono mille soldati inviati dalla Repubblica di cui sono cittadino.
Tale Repubblica ha una Costituzione che all’art. 87 dice che il suo Presidente “ha il comando delle Forze armate”.
Quel Presidente parla spesso anche di politica internazionale. Gli ultimi Capi dello Stato ne parlano con una frequenza che si è espansa a spese delle competenze strettamente governative.
Ebbene, l’attuale Presidente, estremamente prodigo di esternazioni e moniti “urbi et orbi”, nonché di inviti a sanzionare le violazioni del diritto, da quando il suddetto tiranno del Vicino Oriente spara sulle nostre truppe e “ordina” loro di andarsene, non ha detto una sola parola, nonostante una crisi di una gravità senza precedenti.
Cosa ferma i mantici vocali della parola di Mattarella? Immagino non sia un problema della laringe, né del diaframma. Di quali parti del corpo registra una carenza per non sapere osar dire qualcosa?
RAZZE INFERIORI
Quando pensi che si sia toccato il fondo, leggi Repubblica e ti rincuori: c’è ancora molto da scendere, o da scavare. La rappresaglia iraniana dopo la strage israeliana del 31 luglio a Teheran per uccidere Haniyeh, capo politico di Hamas, non c’era stata, grazie alle pressioni di Usa e Russia. Ma dopo la strage israeliana di Beirut per uccidere anche Nasrallah, leader di Hezbollah, è arrivata: un morto (palestinese) e qualche ferito in Israele. Improvvisamente il direttore Molinari, che s’era distratto un attimo per un anno sui 42 mila morti ammazzati a Gaza e sulle migliaia di morti ammazzati (più un milione di profughi) in Libano, ha riscoperto il valore anche di una sola vita umana e ha titolato il suo editoriale: “Se la morte viene dal cielo”. I titoli con il “se” introducono un’ipotesi che spetta al lettore completare: qui ci sta un bel “…dipende da chi sgancia i missili dal cielo e da chi c’è sotto”.
Ma il meglio viene con il commento di Stefano Folli. Che, anziché denunciare l’impunità garantita dall’Occidente allo sterminatore Netanyahu, il doppio standard sulle sue innocenti invasioni e su quelle indecenti di Putin, l’afasia balbettante e inconcludente del Pd che vota la dichiarazione di guerra alla Russia e non osa proporre il ritiro dell’ambasciatore da Israele e qualche straccio di sanzione economica e militare, attacca i dem per la ragione opposta: sono troppo antisraeliani perché non chiedono di vietare il corteo pro Pal di Roma, già peraltro vietato dal governo (ma una vera opposizione il governo lo previene). Infatti Folli già sa che vi si invocherà “lo stesso proposito messo in atto 80 anni fa dai nazisti di Kappler” e si “inneggerà al terrorismo”. Quello arabo, s’intende, perché quello israeliano già lo giustifica il suo giornale. Del resto, come ebbero a dire B. e i neocon, quella araba è una civiltà inferiore. E non solo quella. Folli testuale: “Le migliaia di morti civili a Gaza sono una tragedia che scuote le coscienze. Ma le scuote solo in Occidente, dove esiste una civiltà giuridica e un senso di umanità”. E certo, tra i baluba del mondo arabo, ma anche del resto dell’Asia, in Africa, in Centro e Sud America, quando ammazzano decine di migliaia di civili, per metà bambini, si brinda a champagne. E le coscienze non si scuotono perché chi non ha la fortuna di stare in Occidente una coscienza non ce l’ha: e forse neppure un’anima. Di certo non ha senso di umanità: non si tratta di uomini, ma di bestie. Non resta che continuare a civilizzarli, per quel poco che capiscono, a suon di guerre e bombe, per esportare ovunque i nostri valori di democrazia, umanità e soprattutto civiltà giuridica. Se poi si ostinano a non imparare e organizzano una manifestazione, gliela vietiamo. Siamo o non siamo i buoni?
Marco Travaglio – 4 ottobre 2024 Fonte: Il Fatto Quotidiano
«INNOCENTI INVASIONI»
Massima solidarietà ai colleghi titolisti che da 31 mesi chiamano “invasione” l’invasione della Russia in Ucraina e ora non sanno come chiamare quella di Israele in Libano. Sennò poi dovrebbero chiedere sanzioni economiche, commerciali e militari contro Tel Aviv, invii di armi al governo libanese aggredito contro l’aggressore israeliano (da bombardare anche sul suo territorio, sempre per “legittima difesa” ci mancherebbe), accusare chi si oppone di voler spianare la strada al nuovo Hitler come quel pappamolla di Chamberlain a Monaco 1938, paragonare le milizie libanesi alla Resistenza antifascista, reclamare il sequestro degli asset israeliani nelle banche occidentali, l’ostracismo globale per scrittori e artisti israeliani vivi e morti, giornalisti, fotografi, direttori d’orchestra, soprano, calciatori, tennisti, atleti olimpici e paralimpici, docenti e ricercatori giù giù fino ai gatti, tutti agenti di Netanyahu. E poi bandire tutti i siti e i social della stampa israeliana e dare la caccia agli hacker, troll e hater israeliani che a suon di fake news truccano tutte le elezioni dell’orbe terracqueo a vantaggio dei complici di Bibi. Troppo complicato. Molto più semplice chiamare l’invasione con un altro nome.
Premio Pulitzer al Corriere per il sontuoso “Invasione limitata in Libano”. Come quella ragazza che rimase “un po’ incinta”. Quindi sì, Israele invade, ma appena appena, un cicinìn. In fondo è solo un’“offensiva di terra”, ma senza offesa per nessuno. Una visitina: toc toc, è permesso? Per Repubblica non è che una serie di “incursioni”, anzi “operazioni di commando contro Hezbollah”. Sì, vabbè, sono “oltre confine” di uno Stato sovrano, ma che sarà mai. Per Domani e Verità è un’“incursione”: una sola. Per Messaggero e Libero, Israele “entra in Libano”, come uno che va un attimo in bagno. Meraviglioso il Giornale: “Bibi: ‘Iraniani presto liberi’. Via al blitz in Libano”. Ecco cos’è l’invasione: un “blitz” in Libano per liberare gli iraniani, che fra l’altro non hanno mai chiesto di essere liberati. Riformista: “Israele verso l’ingresso in Libano”, ma è ancora sull’uscio e sta suonando educatamente il campanello. “Ehi, c’è nessuno in casa?”. Sul dizionario dei sinonimi del Foglio l’invasione si chiama “deterrenza contro l’asse del male”, anzi – garantisce Giuliano Ferrara – “autodifesa”. Adriano Sofri, che di morti ammazzati se ne intende, fa una bizzarra equazione fra “le guerre della Russia e dell’Iran”. Solo che è Israele che ha bombardato per primo l’Iran, oltre a Gaza, Cisgiordania, Libano, Siria, Yemen e Iraq. Parrebbe quasi, parlando con pardòn, l’“aggressore”. Ma non esageriamo. Manca poco che la chiamino “operazione militare speciale”. Che poi “speciale” è pure troppo: meglio “ordinaria”
Marco Travaglio 2 OTTOBRE 2024 Fonte: Il Fatto Quotidiano
LA FINE DEL GIUDAISMO
Non s’intende il senso di quanto sta oggi avvenendo in Israele, se non si comprende che il Sionismo costituisce una doppia negazione della realtà storica del Giudaismo. Non soltanto, infatti, in quanto trasferisce agli ebrei lo Stato-nazione dei cristiani, il Sionismo rappresenta il culmine di quel processo di assimilazione che, a partire della fine del XVIII secolo, è andato progressivamente cancellando l’identità ebraica. Decisivo è che, come ha mostrato Amnon Raz-Krakotzkin in uno studio esemplare, a fondamento della coscienza sionista sta un’altra negazione, la negazione della Galut, cioè dell’esilio come principio comune a tutte le forme storiche del Giudaismo come noi lo conosciamo. Le premesse della concezione dell’esilio sono anteriori alla distruzione del Secondo Tempio e sono già presenti nella letteratura biblica. L’esilio è la forma stessa dell’esistenza degli ebrei sulla terra e l’intera tradizione ebraica, dalla Mishnah al Talmud, dall’architettura della sinagoga alla memoria degli eventi biblici, è stata concepita e vissuta nella prospettiva dell’esilio. Per un ebreo ortodosso, anche gli ebrei che vivono nello stato d’Israele sono in esilio. E lo Stato secondo la Torah, che gli ebrei aspettano all’avvento del Messia, non ha nulla a che fare con uno stato nazionale moderno, tanto che al suo centro stanno proprio la ricostruzione del Tempio e la restaurazione dei sacrifici, di cui lo stato d’Israele non vuole nemmeno sentire parlare. Ed è bene non dimenticare che l’esilio secondo il Giudaismo non è soltanto la condizione degli ebrei, ma riguarda la condizione manchevole del mondo nella sua integrità. Secondo alcuni cabalisti, fra cui Luria, l’esilio definisce la situazione stessa della divinità, che ha creato il mondo esiliandosi da sé stesso e questo esilio durerà fino all’avvento del Tiqqun, cioè della restaurazione dell’ordine originario.
È proprio questa accettazione senza riserve dell’esilio, con il rifiuto che comporta di ogni forma presente di statualità, che fonda la superiorità degli ebrei rispetto alle religioni e ai popoli che si sono compromessi con lo Stato. Gli ebrei sono, insieme agli zingari, il solo popolo che ha rifiutato la forma stato, non ha condotto guerre e non si è mai macchiato del sangue di altri popoli.
Negando alla radice l’esilio e la diaspora in nome di uno stato nazionale, il Sionismo ha tradito pertanto l’essenza stessa del Giudaismo. Non ci si dovrà allora meravigliare se questa rimozione ha prodotto un altro esilio, quello dei palestinesi e ha portato lo stato d’Israele a identificarsi con le forme più estreme e spietate dello Stato-nazione moderno. La tenace rivendicazione della storia, da cui la diaspora secondo i sionisti avrebbe escluso gli ebrei, va nella stessa direzione. Ma questo può significare che il Giudaismo, che non era morto ad Auschwitz, conosce forse oggi la sua fine.
Giorgio Agamben – 1° ottobre 2024
LA PAZIENZA INFINITA DEL GATTO (CON IL TOPO DECEREBRATO)
Il soliloquio delirante del topo che muore suicida, osservato dal gatto, è tutta la narrativa che l’Occidente si autoproduce per non prendere atto del proprio, in realtà, già avvenuto trapasso. Non bisogna né essere geni né particolarmente informati per apprendere che Russia, Cina, India e Iran avrebbero potuto chiudere questa pagliacciata ben prima del 2022. Così come non si prende atto che uno Stato che ha quattro miliardi di miliardi di debiti è fallito da tempo. Quello Stato si chiama USA e, mentre il mondo cresce e fa i suoi interessi (i Brics stabiliranno la loro nuova moneta ad ottobre. I Brics, che sono attualmente 10 paesi, a cui si stanno per aggiungere altri quindici, tra cui le “europee” Ungheria, Turchia e Slovenia. Con il, giorno dopo giorno, possibile ingresso della stessa Germania), può solo sopravvivere (Trump o Harris è uguale) sfruttando le sue ultime colonie rimaste, cioè i pezzi dell’incubo chiamato UE. La sola Russia, che ha un potenziale bellico 10 volte maggiore rispetto a tutto l’Occidente, distruggerebbe l’Italia in 8 secondi, se lo volesse. Ma guarda il topo morire da solo, non deve disperdere energia né macchiarsi di inutili crimini. L’80% del Pianeta è fuori dalle stronzate distopiche o autolesioniste di quello che furono USA, Europa continentale e Inghilterra. In Europa, La crescita del Pil più alta è quella italiana, con lo 0,8. Figuriamoci gli altri. La Germania chiude dopo quasi un secolo la Volkswagen. In Russia, il Pil è cresciuto del 4 %. Mentre discutiamo di Sinner ed Elodie potremmo anche renderci conto che la nostra permanenza sul pianeta Terra sta finendo. Ma abbiamo ancora troppe serie Netflix da seguire, troppa rabbia lisergica da scaricare contro i Salvini di turno. E l’Eventuale Puente di turno che viene qua a scrivere che questa è una fake news, anche se farebbe prima a chiudere il canale, così come è d’uso verso chiunque, in questa splendida democrazia, dica un frammento di verità.
LA NORMALITÀ DELL’UOMO VIVO
Non c’è oggi atto più forte e coraggioso nel mondo occidentale che sostenere la normalità, perché ciò comporta l’essere buttati nel tritacarne del politicamente corretto, l’ideologia contemporanea del totalitarismo neoliberista. Una sorta di religione neopagana che pretende che si sacrifichi sulla sua ara, a mo’ di offerta sacrificale, la stessa natura umana. Decenni di attacchi alla normalità per distruggere il senso di appartenenza a una civiltà sì tormentata ma che ha comunque formato il nostro essere comunitario, sociale, morale e spirituale. Una deriva a cui si è arrivati grazie alla penetrazione di un relativismo secondo cui la natura umana, con le sue leggi biologiche, non esiste. Relativismo complementare alla legge del capitale, la quale contempla tra le altre cose la dottrina gnostica del superamento del limite grazie a una tecnologia ritenuta il dio supremo. Ecco la necessità del capitale di trasgredire tutto ciò che avverte come ostacolo e resistenza al suo totalizzante dispiegamento. Capire questa semplice verità, che il capitale cioè impone la trasgressività perché così si distrugge la resistenza umana a cambiamenti transumani, è già di per sé un insopportabile affronto al suo sistema, che non è solo movimento economico ma impalcatura fatta di rapporti sociali. Il capitale aborre continuità, tradizione e buon senso, relativizza tutto per imporre uno stato di disperante nichilismo che produce angoscia del vivere per cui servono stuoli di chierici psicologi e psicanalisti (dipende dalle tasche) deputati a lenire il senso di morte che invade l’animo degli individui. I giovani più consapevoli cominciano a capire che la trasgressività oggi è la moda attraverso la quale si persegue la distruzione della capacità dell’individuo di sottrarsi all’abbraccio mortale del nulla, della disperazione, della morte. Ma tanti, troppi, purtroppo, si illudono di essere vivi solo perché scimmiottano una trasgressività imposta e pilotata dagli agenti di un potere dis/umano che ha nel capitale il suo unico e vero dio. Il buon Gilbert Keith Chesterton lo aveva capito già molto tempo fa, quando prima di altri aveva intuito che la modernità impulsata dal capitale contiene il grande inganno della menzogna, che a forza di ripeterla diventa “realtà” perché certificata dal potere. Nel 1917 in “Eretici” Chesterton scriveva: «La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. Sarà una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. È una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto».
Giorgio Catalano – 1° settembre 2024
LA TESSERA DEL POLITICAMENTE CORRETTO
“Borrè, tanto per cominciare, ai tempi del Fascio, se non avevi la tessera del PNF non lavoravi”, così mi rimbrottava una professoressa ai tempi del liceo per spiegarmi i pregi della ritrovata democrazia e per rendermi edotto del fatto (40 anni prima del prof. Barbero) che va bene le memorie personali famigliari (io avevo obiettato che mio nonno non aveva la tessera in tasca, ma negli anni 30 lavorava lo stesso), ma ben altro peso e valore – schmittianamente parlando- ha la storiografia, anzi: la Storiografia. Schmittianamente ovviamente è una precisazione mia, non della professoressa.
E però, ancora una volta, un ricordo personale si trova a fare i conti con qualcosa di attuale, con una decisone di una pubblica amministrazione che sembra essere una stonatura rispetto ai principi liberaldemocratici cui teniamo così tanto in Occidente (così tanto da esportarli anche a suon di bombe, quando opportuno. Opportuno per noi, non per i bombardati).
Leggo sul Corsera che il sindaco di Nichelino avrebbe cancellato dal cartellone il previsto concerto di Povia (immagino pagato con soldi pubblici, quindi di tutti i cittadini) in quanto “le posizioni di Povia non sono quelle della destra moderata”.
Ora, io non so se esista uno strumento per misurare, pesare, calibrare le opinioni di una persona e collocarle tra un orientamento politico moderato e uno radicale, ma mi sembra di ricordare che il combinato disposto degli artt. 2, 3 e 21 della Costituzione considerano irrilevanti, anche sotto il profilo dei rapporti con la Pubblica amministrazione, le convinzioni personali (lo notai già l’anno scorso a proposito degli attacchi a Marcello De Angelis).
Ed è paradigmatica, se l’ha detta veramente, l’affermazione del sindaco secondo cui la cancellazione del concerto “è una questione politica, ma non di appartenenza politica” che, con rispetto parlando, sembra la classica “supercazzola”.
La professoressa di cui parlavo mi diceva che la differenza tra dittatura e democrazia (liberale, immagino) era che in quest’ultima le idee politiche non hanno peso quando si parla di azione amministrativa (e all’università studiai che uno dei capisaldi della P.A. è l’imparzialità, proprio perché questa opera nell’interesse comune o meglio pubblico: di tutti e non di una sola parte).
Considerando poi che le idee di Povia sono condivise da una larga parte della popolazione, non propriamente minoritaria, viene alla mente un dialogo del racconto Middle England di Jonathan Coe:
– “La tirannia non si identifica necessariamente con un individuo, ma con un’idea.”
– “Così voi vivreste sotto la tirannia di un’idea?”
– “Proprio così.”
– “E di che idea si tratta?”
– “Quella del politicamente corretto, ovvio.”
L’impostazione di Coe era ovviamente era (ed è) derisoria di una simile affermazione.
Ma le cronache di Nichelino ci ammoniscono che c’è poco da ridere, anzi c’è molto da preoccuparsi per la tenuta libertaria di quest’angolo d’Occidente.
Forse un giorno non lontano, per lavorare, dovremmo farci tutti la tessera del Politicamente Corretto…
Lorenzo Borrè – 28 agosto 2024
ADDIO, AMERICA
Rappresentiamo il peggio dell’umanità, quell'”anglosfera” che ha perpetuato per 500 anni il proprio dominio con rapine, colonialismo selvaggio, tratte degli schiavi e dominio bellico nei confronti di tutto ciò che era annichilibile per essere sfruttato. Così dalla pirateria britannica allo sterminio metodico degli USA nei confronti di tutto ciò che USA non è. È difficile trovarsi dalla parte peggiore dell’umanità e doverlo accettare o, peggio ancora, sostenere per non scomparire, Ciò che fu l’Europa è oggi l’anacronista, oscena messa in scena di un vassallaggio suicida, dimentichi che siamo stati la culla di un mondo, quella del pensiero greco, del diritto romano, della nascita delle università, del Rinascimento per correre dietro alla sconfitta di un modello che ci vuole sudditi e ultima vittima sacrificale di un’egemonia finita, quella inglese e americana.
Intanto il nuovo mondo è già iniziato.
Un mondo multipolare dove non c’è posto per la catastrofica messa in scena dell’egemonia di chi per troppo tempo si è autoproclamato unico detentore, e esportatore, della caricatura della “democrazia” come proprio patrimonio esclusivo, e di altri valori falsificati all’inverosimile.
Addio, America.
Addio. Inghilterra e addio a un’idea di Europa completamente sottomessa al delirio di un’ingiustizia perpetuata con violenza estrema per troppi secoli, e che ancora sogna di poterlo fare.
La resa dei conti non è iniziata.
È finita.
Come si spiega il fatto che i leader delle nazioni europee vogliano far precipitare l’intero continente in una guerra devastante?
Secondo il sociologo Emmanuel Todd (*), si tratterebbe di una sorta di automatismo mentale generato dal nichilismo. Il totale fallimento dell’ibrido istituzionale chiamato Unione Europea, secondo Todd, spinge oggi la classe dirigente del continente verso il suicidio: simul stabant, simul cadent.
Questa tesi finisce per innescare, però, interrogativi specifici per le diverse nazioni.
Perché, per esempio, i leader della Gran Bretagna – più di tutti gli altri – sembrano disposti a farsi nuclearizzare fino a mettere in scena lo spettacolo dell’ex-premier Liv Struss che, in televisione, evoca il lancio di testate nucleari fra lo scrosciare degli applausi?
Perché i paesi scandinavi hanno abbandonato la loro tradizione di politica estera neutrale, per avventurarsi in una prospettiva guerrafondaia che ne mette a rischio la stessa esistenza?
Fino a quando la Germania potrà continuare a mentire a se stessa facendo finta che la scelta angloamericana di scatenare la guerra non sia stata prima di tutto anti-tedesca e di non aver subito, da parte degli “alleati”, uno dei più gravi attacchi terroristici della storia (North Stream 2)?
Sia come sia, siamo nella fase del nichilismo reale, nella quale è stato cancellato Dio e il cristianesimo, cancellate le ideologie universaliste che avevano temporaneamente sostituito quest’ultimo, cancellata l’idea della centralità dell’essere umano.
Se nella coscienza si crea il vuoto, le scelte che gli uomini di potere possono compiere a livello pratico non sono prevedibili nei termini della razionalità o del bene comune. La presenza del Nulla nella coscienza, può cioè generare la nullificazione nel mondo materiale; può far sì che l l’autodistruzione completa, in altre parole, venga perseguita inconsciamente oppure attraverso eventuali giustificazioni di efficienza tecnica.
Riguardo a quest’ultimo aspetto, infatti, sarebbe un errore madornale pensare che, dal momento che la Tecnica è divenuta l’epicentro dell’Essere, allora la razionalità strumentale e il calcolo economico possano evitare che il Nulla si materializzi concretamente. Il Nulla materiale, infatti, è già oggi palpabile nel momento in cui la digitalizzazione sussume le relazioni sociali nonché la sessualità, nel momento in cui essa cancella la memoria storica nonché ogni idea di trascendenza.
I tanti che, come se avessero conversato al telefono con Putin e Biden, si dichiarano categoricamente certi del fatto che la guerra nucleare non scoppierà, dovrebbero riflettere su queste problematiche e comprendere che non è il momento di confondere i propri desideri con l’analisi dei processi storici.
Riccardo Paccosi – 5 marzo 2024
Le donne che leggono sono più sensuali di quelle che sfilano sul lungomare. Hanno l’eleganza nell’anima
“Non innamorarti di una donna che legge, di una donna che sente troppo, di una donna che scrive…
Non innamorarti di una donna colta, maga, delirante, pazza.
Non innamorarti di una donna che pensa, che sa di sapere e che, inoltre, è capace di volare, di una donna che ha fede in se stessa.
Non innamorarti di una donna che ride o piange mentre fa l’amore, che sa trasformare il suo spirito in carne e, ancor di più, di una donna che ama la poesia (sono loro le più pericolose), o di una donna capace di restare mezz’ora davanti a un quadro o che non sa vivere senza la musica.
Non innamorarti di una donna intensa, ludica, lucida, ribelle, irriverente.
Che non ti capiti mai di innamorarti di una donna così.
Perché quando ti innamori di una donna del genere, che rimanga con te oppure no, che ti ami o no, da una donna così, non si torna indietro.
Mai.” (Martha Rivera Garrido)
Ed Harrington sta per sconvolgere l’idea che avevamo di alcuni dei personaggi della cultura pop che tanto abbiamo seguito durante la nostra infanzia.
L’illustratore immagina la vita segreta di personaggi popolari e presenta una serie di immagini completamente inaspettate. Chi poteva immaginare che He-Man indossasse una parrucca? O che Chewbacca si radesse le gambe? Per non parlare delle sorprendenti orecchie di Topolino!?
Vincent van Gogh è uno degli artisti più amati nel mondo. Il suo stile inconfondibile, con i colori vibranti e le pennellate vorticose, ha ammaliato intere generazioni. Tra i suoi ammiratori c’è anche il fumettista e illustratore Alireza Karimi Moghaddam, che ha reso omaggio al pittore con una serie di illustrazioni ispirate alla vita e ai lavori dell’artista.
La serie offre uno scorcio su alcuni dei momenti della vita del post-impressionista, ma anche su frangenti più fantasiosi, in cui Moghaddam ne esplora personalità ed interessi. Il van Gogh illustrato da Moghaddam è innanzitutto una persona felice, in pace con se stessa dopo una vita di alti e bassi emotivi.
Jack Vettriano è un autodidatta e non lo nasconde. Nato da una famiglia povera: “dovevo dividere un unico letto con mio fratello maggiore” racconta; così il futuro artista è spinto a lavorare fin da ragazzino. Lasciati gli studi a 16 anni, diviene apprendista minerario e comincia a dipingere negli anni Settanta con un set di acquerelli ricevuti in regalo per il suo ventunesimo compleanno. I suoi primi lavori sono firmati Jack Hoggan e sono più che altro riproduzioni di impressionisti. Dopo quattordici anni, riesce ad esibire le sue opere professionalmente.
“Dipingo quello che si muove in me, la sensualità”
«Ricevo moltissime lettere da parte di persone che si immedesimano nei miei quadri. C’è addirittura una coppia di amanti che usa un mio libro per dare vita ai loro incontri. Lui dice a lei di vestirsi come nel quadro di una certa pagina e poi si danno appuntamento per far rivivere quell’atmosfera». Lo dice così, Vettriano, con la naturalezza di chi non ha nulla da nascondere perché abituato a mettere in mostra il proprio mondo fatto di fantasie, ossessioni e sentimenti passionali.
Questo fenomeno attirò in maniera sempre maggiore l’attenzione soprattutto dei lettori uomini, e in particolare registrò un incredibile successo fra i soldati impegnati al fronte, che usavano appendere le fotografie di queste ragazze nei loro armadietti o nelle loro tende di accampamento.
“La Patria non è un’opinione. O una bandiera e basta. La Patria è un …
È moribonda la carta stampata...
Il 2 giugno 1992 sul panfilo della regina Elisabetta, Royal Yacht “Britannia”, fu deciso di avviare la privatizzazione d’Italia
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