Il nonno con quella rosa di pallini ben assestata era diventato l’eroe di tutti i bar di Trevi guadagnandosi fama imperitura

 

Se suo nonno quella sera al luna-park non avesse scaricato gli ultimi pallini della sua carabina centrando tutte le scatole del tiro a segno forse nulla sarebbe successo.

La sfida contro gli odiati vicini di Filettino era stata vinta garantendo ai trebani anni di superiorità e di acidi sfottò all’indirizzo degli sconfitti.

Il nonno con quella rosa di pallini ben assestata era diventato l’eroe di tutti i bar di Trevi guadagnandosi fama imperitura, l’intestazione del locale circolo del tiro a segno e, una volta trapassato, un busto in bronzo, peraltro poco somigliante posto all’ingresso del salone delle feste. Il fatto nel tempo aveva preso connotazioni mitiche assurgendo a momento fondativo della comunità, un po’ come lo sbarco di Enea sulle coste del Lazio.

Dei tempi lontani di quella sfida al luna-park erano rimasti la rivalità tra i due paesi e il nome, Beniamino Spinelli, oggi portato orgogliosamente dal nipote dell’eroe.

In realtà quel nome riposava solo nell’inchiostro dei documenti ufficiali perché in paese per tutti non era che Bastiglia.

E non a causa di chissà quale soprassalto di passioni politiche e velleità rivoluzionarie; la politica non l’aveva mai interessato e se durante le elezioni qualcuno l’aveva visto attaccare manifesti sui muri era stato solo per fare un favore a qualche amico.

E neanche in ragione di chissà quali studi storiografici visto che nel cassetto dormiva soltanto un miserello diploma di ragioneria, approdo finale di stentati anni scolastici. Quel diploma rappresentava le colonne d’Ercole del suo sapere; oltre non si sarebbe spinto mancandogli voglia, tenacia ed anche, diciamolo pure, capacità personali.

E poi, pensava, perché darsi tanto daffare.

Quel pezzo di carta gli aveva consentito, terminati finalmente quei sudatissimi anni, di sedersi sulla comoda sedia di impiegato del Consorzio per il risanamento ecologico degli altipiani di Arcinazzo, un nome oltremodo velleitario considerando il poco o nulla che si faceva in quelle stanze. Aggiungere altra carta, sebbene pregiata e filigranata come una pergamena universitaria, non gli avrebbe cambiato la vita.

Poteva forse fruttargli un piccolo avanzamento, da semplice impiegato a capocontabile, ma Beniamino Spinelli non avrebbe certo abbandonato il suo pacioso benessere per affrontare estenuanti corpo a corpo con i tomi ponderosi di economia e statistica per raggiungere con fatica un posto che il tempo, e quindi l’anzianità, gli avrebbe consegnato, prima o poi, senza doverne fare alcuna.

La ragione di quel nome andava piuttosto ricercata nel suo strambo attaccamento ai numeri.

Era nato il 14 luglio e quel giorno gli aveva dato insieme nome e numero fortunato.

I compagni di scuola ricordavano bene l’episodio. La professoressa Magri, insegnante di storia e italiano, stava spiegando l’inizio della Rivoluzione Francese, segnato dal famoso assalto alla vecchia fortezza, avvenuto proprio il 14 luglio, quando Beniamino Spinelli, preso da un orgasmo febbrile, si alzò in piedi all’improvviso ed esclamò:

Il popolo di Parigi assalta la fortezza della Bastiglia il 14 luglio 1789, divenuta l’immagine-simbolo della Rivoluzione francese. (Wikipedia)

   “Ma sono nato io il 14 luglio!”.

Come se quello fosse un motivo di merito e la nascita avvenuta proprio in quel giorno lo collocasse su un gradino più alto rispetto agli altri compagni. In fondo quello che sperava di ottenere era solo l’approvazione e il riconoscimento della professoressa ma la Magri passò oltre e riservò a quella agnizione un tiepido commento:

   “Benissimo Spinelli, vorrà dire che da oggi in poi ti chiameremo Bastiglia. E ti ricorderai di quanto sia importante studiare, anche e soprattutto la storia. Cosa che non ti riesce così bene”

L’anelato plauso si era trasformato in una tirata d’orecchie. Voleva elevarsi al di sopra dei compagni e alla fine si era ritrovato con il cappello dell’asino calcato sulla testa. In ogni caso da quel giorno, per la classe e poi per l’intero paese, Beniamino Spinelli divenne Bastiglia.

A lui comunque quel nome andava a genio ed anche il numero gli sembrò possedere una speciale aura fortunata così che da allora cercò di legare ogni avvenimento della sua vita al numero 14.

Quando il Consorzio lo convocò per il colloquio di assunzione si sentì già in tasca il contratto di lavoro perché la telefonata gli giunse proprio il giorno 14.

Poi conobbe Dorina, che lavorava nel vicino ufficio postale. Per il primo appuntamento aspettò la sera del 14. Non voleva correre rischi e solo a quel giorno sentiva di poter affidare il felice esito del suo corteggiamento. Si fidanzarono, e per la casa dove sarebbero andati insieme ad abitare, Bastiglia rispettò lo stesso rituale. La scelse, pattuì il prezzo con il proprietario ma per la firma sul rogito non volle che il giorno 14:

   “Ma il giorno 14 il notaio è impegnato”

   “Aspettiamo il mese prossimo. Non ho fretta”

Per Bastiglia la buona riuscita di un’impresa, di un affare, di una iniziativa non poteva che essere legata a quel giorno.

Per lui l’iscrizione al circolo del tiro a segno, che portava il nome del famoso nonno, e quindi il suo, fu automatica e gratuita. Non ci fu nemmeno bisogno di compilare schede e prestampati.

Anzi venne direttamente e personalmente da lui il cavalier Olmo Antinori, presidente del circolo, a pregarlo di farne parte.

Un circolo con quel nome, senza che annoverasse tra i suoi soci il continuatore della stirpe, era come una gioielleria senza oro. Qualcuno anzi avrebbe potuto pensare, di fronte ad una assenza così vistosa, che si smerciasse solo bigiotteria. E la cosa il cavalier Antinori proprio non poteva consentirla.

Ma Bastiglia si sarebbe iscritto al circolo Beniamino Spinelli anche senza il panegirico del suo presidente.

Aveva cominciato a tirare fin da ragazzo. Appena poteva, e poteva molto spesso considerando lo scarso tempo che dedicava allo studio, scappava in campagna con Aquilino. Avevano comprato insieme un fucile ad aria compressa ed insieme sparavano alle bottiglie di plastica disposte in fila orizzontale cinquanta metri più in là.

Finiti i colpi, esattamente metà per ciascuno, andavano a raccogliere i piombini disseminati attorno alle bottiglie e ricominciavano.

In piedi con il fucile puntato gli sembrava di essere diventato il generale Custer sulla collina di Little Big Horn. Ed ogni bottiglia che cadeva era un indiano in meno. Gli indiani morivano tutti e alla fine la battaglia era vinta, a dispetto della storia.

Del resto lui la storia la conosceva talmente poco, come aveva fatto intendere la professoressa Magri, che poteva modificarla a suo piacimento.

Al circolo si sentiva come a casa sua, placido e beato: perfino gli arredi gli trasmettevano quel senso di quieto appagamento così necessario alla sua indole. Soffici e silenziose moquette accoglievano i passi di ospiti e soci e larghe e morbide poltrone di cuoio li accudivano materne durante le loro conversazioni serali.

La pace di chi si sente soddisfatto di sé e lascia crescere senza ansie le rotondità del suo corpo regnava sovrana al circolo Beniamino Spinelli tanto che la decisione del presidente destò all’inizio un certo sconcerto.

Il cavalier Antinori aveva deciso infatti che era venuto il momento per il circolo di fare il salto di qualità; così definì il suo obiettivo quando lo rese noto a tutti i soci. Colto da una smania di incongruente protagonismo aveva pensato che la notorietà del circolo non dovesse più limitarsi ai ristretti confini del paese ma dovesse allargarsi ad ambiti più vasti. Bisognava inseguire orizzonti più lontani.

Già la parola “inseguire” aveva messo addosso ai soci una certa inquietudine. Perché per inseguire bisogna innanzi tutto abbandonare la morbida carezza di quelle poltrone e poi mettersi a correre, o perlomeno esercitare su se stessi un certo qual dinamismo, cosa geneticamente antitetica al tranquillo immobilismo delle loro cellule psichiche e corporee.

Per ottenere questa più vasta notorietà, a giudizio del cavaliere, non c’era che un modo: mettere in piedi una squadra di tiro, partecipare alle gare e naturalmente vincerle. A quel punto le ali della gloria sportiva avrebbero portato dovunque il nome del circolo Beniamino Spinelli.

La decisione del cavalier Antinori apparve ai più contronatura, come fare accoppiare una tartaruga e un ghepardo, ma per condiscendenza la maggioranza dei soci si rassegnò a seguirlo; ma senza fretta, coi loro tempi. Era già un grosso sacrificio doversi alzare dalla poltrona.

L’allenatore della squadra era già stato individuato: si trattava del generale Diomede Marinelli, ex ufficiale dell’Esercito, oggi in pensione.

Anche la squadra era praticamente fatta. Solo per la carabina ad aria compressa rimaneva un dubbio essendo rimasti in lizza due contendenti: Beniamino Spinelli e Aquilino Bonfanti, proprio i due vecchi amici, protagonisti delle storiche imprese giovanili sulla collina di Little Big Horn.

Per loro il cavalier Antinori aveva deciso un testa a testa risolutivo, una sorta di ordalia pubblica davanti ai soci del circolo: il vincitore sarebbe entrato a far parte della squadra.

Doversi giocare l’ultimo posto disponibile proprio con Aquilino, a Bastiglia dispiaceva non poco.

Il generale Marinelli a dire la verità propendeva per Aquilino Bonfanti, stando almeno a quello che si diceva al circolo, e sperava che fosse quest’ultimo a prevalere nell’imminente testa a testa.

Bastiglia non lo convinceva del tutto. Pur riconoscendogli una certa perizia tecnica lo riteneva insufficiente sotto il profilo caratteriale giudicandolo un soggetto insicuro e di nessun ardimento. Bastiglia in effetti aveva una volontà debole, non riusciva ad andare fino in fondo alle cose, si accontentava, difettandogli costanza e tenacia. Di ogni cosa gli bastava solo un po’.

Senza poi considerare la questione dei numeri e di tutto il resto, che agli occhi del generale era pur sempre una questione importante se non addirittura dirimente.

Diomede Marinelli, che nelle serate al circolo si presentava come un illuminista del ventesimo secolo, inorridiva di fronte alle credenze superstiziose di Bastiglia, liquidate come pericolose incrostazioni medievali. E poiché concepiva il tiro a segno come l’estrinsecazione portata ai massimi livelli della fredda razionalità del pensiero, mai avrebbe indirizzato le sue preferenze su una mente così intorpidita e intossicata da superstizioni primitive come quella di Bastiglia.

La superstizione nella vita di Beniamino Spinelli aveva in effetti conquistato spazi sempre più rilevanti.

Cappelli sul letto, ombrelli aperti dentro casa, sale sulla tovaglia, specchi rotti; non vi era maleficio al quale Bastiglia non credesse e non vi opponesse un controrituale.

Piccole manie possono anche risultare simpatiche a chi ne è completamente alieno, ma quando si supera il limite creano equivoci e imbarazzi.

Come quella volta in cui decise di regalare a Dorina una collana con un ciondolo d’oro a forma di fagiolo; ci furono discussioni e musi lunghi per parecchi giorni. Cos’era, una presa in giro? Lì per lì Dorina si sentì offesa. Solo perché in un momento di effusioni intime, con il corpo completamente abbandonato, le era scappata una leggera flatulenza? Cose normali, che diamine, capitano a tutti. Ma rimarcare il fatto evocandolo con un fagiolo, seppure d’oro, le sembrava un gesto di cattivo gusto, al limite dell’insolenza.

Ce ne mise Bastiglia per farle capire che il regalo non aveva alcuna attinenza con quel piccolo sfogo corporale, essendo al contrario un augurio di salute, lunga vita, prosperità e amore.

Ce ne mise per spiegarle che il fagiolo nei tempi antichi simboleggiava l’immortalità per le sue proprietà di conservare a lungo la forza vitale e di riacquistare la freschezza se immerso nell’acqua. Le donne greche e le matrone romane indossavano collane e bracciali a forma di fagiolo; pensavano infatti che possedere tale oggetto fosse sufficiente per assicurarsi ricchezza e amore.

Innocenti superstizioni che solo Bastiglia poteva conoscere. Ma in vista della sfida con Aquilino anche quelle non sarebbero bastate. Questa volta serviva un vero e proprio rituale, eseguito da un professionista.

Non poteva pensare di rimanere fuori dalla squadra. Quel posto gli spettava di diritto; era lui quello che si chiamava Spinelli, lui il pezzo più pregiato della gioielleria. Gli dispiaceva dover eliminare proprio Aquilino ma qui c’era di mezzo il suo nome e l’onore di una stirpe. Non poteva fare sconti a nessuno.

Per questo motivo Beniamino Spinelli decise di rivolgersi alla Pizia.

Ne aveva sentito la pubblicità in radio, mentre stava guidando, ed immediatamente gli si era accesa una lampadina nel cervello. Come se quelle parole fossero indirizzate proprio a lui, e pazienza se bisognava andare fino a Roma, ne sarebbe valsa la pena. “Pizia – Studio professionale di alta magia – Esperta cartomante, occultista, profonda conoscitrice della magia brasiliana. Toglie definitivamente fatture, malocchi e negatività di ogni genere. Prepara infallibili talismani e pentacoli. Opera secondo le necessità con magia bianca, nera, rossa, ebraica, voodoo e alta magia cerimoniale. Affidatevi a lei con fiducia per ogni problema di amore, lavoro e affari”

Sì, quello che gli occorreva per risolvere la questione senza rischi era esattamente un rituale di magia nera.

Quello fu anche il responso della Pizia, dopo aver osservato con attenzione la sfera magica sulla quale tremolavano i barbaglii di venti candele disposte a cerchio attorno al tavolo. Anzi la maga, acquattata nella semioscurità della stanza, per essere più sicura, di rituali a Bastiglia ne propose due.

Uno contro il generale Marinelli, che alimentava negatività diffondendo giudizi critici sulla sua persona.

L’altro contro Aquilino Bonfanti, che ostacolava con la sua presenza il cammino verso l’obiettivo.

La Pizia fu molto dettagliata nell’esporre i due procedimenti, che andavano eseguiti con meticolosa precisione.

Per inchiodare le malelingue, e quindi in primis quella del generale Marinelli, occorreva procurarsi un pezzo di compensato e una sua foto.

In un giorno di luna calante doveva poi recarsi nel Bosco dell’Arrone e scavare una buca sotto un castagno. Inchiodata la foto al compensato avrebbe poi dovuto pronunciare la sacra formula del rito:

   “Che la Dea possa chiudere la bocca a Diomede Marinelli affinché le sue parole non mi rechino più danno”

Dopo di che tutto andava seppellito nella buca e, ritornato a casa, doveva lavarsi tre volte le mani con il sale.

Bastiglia rispettò alla lettera il rituale indicatogli dalla maga, apportandovi solo una piccola variazione. Beniamino Spinelli infatti non era un uomo tagliato con l’accetta, incline a soluzioni drastiche e definitive. Era piuttosto imbottito di cotone, naturalmente propenso ai toni sfumati, alle conclusioni leggere. Per questo la frase che pronunciò fu leggermente diversa, questa: “Che la Dea possa per un po’ chiudere la bocca a Diomede Marinelli affinché le sue parole non mi rechino più danno”

Per essere sicuro della buona riuscita del sortilegio Bastiglia aspettò comunque il giorno 14 per recarsi al Bosco dell’Arrone.

Per neutralizzare invece Aquilino Bonfanti, la Pizia aveva suggerito una fattura e quindi bisognava impossessarsi di un suo oggetto personale.

Ci avrebbe pensato poi lei a trasferirvi le potenze malefiche. Il rituale doveva essere eseguito di martedì, giorno dedicato a Marte e quindi propizio a battaglie, sfide e distruzioni, e durante il periodo della luna nuova, affinché gli effetti giungessero rapidamente a segno.

Bastiglia fece in modo di trovarsi con Aquilino negli spogliatoi del circolo e aspettò che l’amico si avviasse verso il campo per la solita partita settimanale di tennis, altra iniziativa del cavaliere per fortificare gli spiriti e soprattutto i corpi in vista delle future battaglie sportive. A quel punto aprì l’armadietto e infilò la mano nella tasca dei pantaloni per impossessarsi del suo fazzoletto.

Quel gesto però non passò inosservato. Beniamino Spinelli non se ne avvide ma proprio in quel momento era entrato negli spogliatoi il cavalier Antinori che osservò tutta la scena, di nascosto, senza dire nulla ma tornando nel suo ufficio visibilmente turbato.

Al fazzoletto di Aquilino Bonfanti la Pizia applicò il rituale dell’annodamento. Avrebbe potuto utilizzare quello della distruzione col fuoco ma era una tecnica, spiegò a Bastiglia, che non la convinceva perché, contrariamente all’opinione dei suoi colleghi, il fuoco lo considerava simbolo di purificazione e non di distruzione e pertanto sarebbe risultata una tecnica non adatta allo scopo.

Preso il fazzoletto di Aquilino la maga ci fece sopra sette nodi. “Meno, meno nodi signora Pizia, – disse Bastiglia intimorito – ne faccia solo tre. Appena appena, quanto basta, piccoli disagi e amnesie, limitate nel tempo. Solo per due settimane. Il tempo della nostra sfida al circolo. Non esageriamo”

La fattura era stata completata, i primi effetti si sarebbero manifestati per due settimane; proprio in concomitanza con la sfida per l’assegnazione del posto vacante.

Al termine della seduta, nel momento in cui Bastiglia stava per uscire dal suo antro, la Pizia, come sibilando, pronunciò delle parole che lasciarono Bastiglia alquanto confuso e sconcertato:

   “C’è ancora una persona che ti sta danneggiando. Non riesco ad individuarla, c’è molto fumo intorno a lui, ma ti posso dire questo: guardati dall’uomo il cui nome è composto da nove lettere!”

Bastiglia rimuginò a lungo su quest’ultima nefasta profezia e passò in rassegna tutte le persone a lui più vicine, colleghi, amici, frequentatori del circolo, soppesando per ciascuno il grado di malevolenza che poteva nutrire verso di lui e contando mentalmente il numero delle lettere del nome di battesimo. Esaurita la cerchia più ristretta allargò i confini della sua ricerca: vecchi compagni di scuola, cugini di terzo grado, per tutti rifece la stessa operazione di peso e misura: pesare la malevolenza e contare le lettere che componevano ciascun nome.

Alla fine non riuscì ad identificare il suo giuda e non perché nessuno potesse avere motivi di risentimento verso di lui ma più semplicemente perché non gli tornava il calcolo numerico dei nomi di battesimo.

Ciò nondimeno questa forzata autoanalisi lasciò nel suo animo un vago malessere. Si rese conto infatti, e per la prima volta ne prese coscienza, che attorno a lui aveva fatto terra bruciata. Non c’era in realtà una sola persona sulla quale fare affidamento, sulla quale poter giurare col braccio sopra le fiamme come Muzio Scevola, “No, questo mi vuol bene. Non ha sentimenti ostili nei miei confronti”.

La sua triste conclusione fu che tutti quelli che gli giravano intorno, chi più chi meno, non erano ben disposti verso di lui.

E tutto da quando la cabala e la superstizione avevano occupato così massicciamente la sua mente.

Alla vita reale Bastiglia aveva col tempo sostituito le sue fissazioni immaginarie. Così uno l’aveva allontanato perché portava iella, l’altro perché aveva deriso la sua idolatria del numero 14, l’altro ancora perché aveva fatto cadere il sale sul tavolo. Alla fine dovette riconoscere di essere rimasto solo.

Gli erano rimasti accanto solo Dorina, peraltro sempre più stanca delle sue fissazioni cabalistiche, e Aquilino, proprio l’amico contro il quale aveva ordito la sua macchinazione. Ma lui a quel posto in squadra ci teneva più che a qualsiasi altra cosa e se il prezzo da pagare era dover tradire un po’, ebbene l’avrebbe pagato. Un po’, appena appena, giusto il necessario. Su questo era stato chiaro con la maga. Va bene bloccare la lingua al generale Marinelli ma solo per un po’, va bene imbambolare Aquilino ma solo per un po’. Nella speranza che la coscienza gli mordesse solo un po’.

Ma quando all’improvviso arrivò al circolo la notizia che il generale Marinelli durante la notte era stato colpito da una emiparesi facciale, Bastiglia ne restò tramortito. Chi venne a riferire la notizia aggiunse che il generale non riusciva più a parlare, le frasi si mescolavano in bocca in un confuso gorgogliare dal quale scaturiva un piccolo rigagnolo di saliva che gli scendeva lentamente dall’angolo destro, il lato colpito dalla paralisi.

Vecchia maledetta! Pizia dei miei coglioni! Quella notte nel bosco io ho chiesto alla dea di chiudergli la bocca per un po’. Per un po’, ero stato chiaro, solo per un po’. Al mio rituale la megera senza dirmi nulla deve aver opposto un controrituale con l’obiettivo di procurare al generale non un’afasia temporale ma la definitiva perdita della favella.

Ma se era successo questo al generale Marinelli, Bastiglia cominciò con terrore a pensare a quello che sarebbe accaduto ad Aquilino.

Da qualche giorno Aquilino Bonfanti non si faceva più vedere al circolo. Qualcuno, che lo aveva incrociato per caso al mercato, riferiva di averlo visto insolitamente silenzioso, lui che era così loquace, e come preso da una misteriosa vaghezza, lui che era così meticoloso.

Il giorno previsto per la sfida campale Aquilino Bonfanti non si presentò.

Le telefonate del cavalier Antinori non portarono a nulla. Neanche la moglie sapeva dove fosse finito. Confermò però che da un po’ di tempo Aquilino era strano, soffriva di una inspiegabile depressione e dimenticava ogni cosa, impegni, appuntamenti, chiavi di casa.

Non si poté fare altro che proclamare vincitore della gara Beniamino Spinelli. Sebbene avesse vinto per abbandono, nessuno poteva mettere in dubbio la legittimità della sua affermazione. Bastiglia però era combattuto.  Certo, il nome di Beniamino Spinelli avrebbe continuato ad essere il più importante del circolo, aveva passato uno strato di smalto al busto un po’ impolverato del nonno ma la paura per la sorte di Aquilino gli impediva di gustare fino in fondo la sua vittoria.

Magari la megera invece di limitarsi ai tre nodi come le aveva detto di fare, di nascosto, in sua assenza, ne aveva fatti altri tre o quattro, così da condannare l’amico ad una prostrazione irrecuperabile e magari all’amnesia definitiva.

Fu perciò felice quando qualche giorno dopo Aquilino suonò al campanello della sua porta. Bastiglia lo abbracciò con affetto:

   “Come stai Aquilino, come ti senti?”

   “Benissimo, perché? Ti vedo un po’ strano Beniamino, insolitamente agitato. È l’effetto della vittoria?”

   “Ma la salute. È tutto a posto? La memoria? Qualcuno al circolo ha detto che non eri più in possesso delle tue facoltà mentali”

   “Addirittura, e che è! Ero solo un po’ stressato, problemi di lavoro. E poi, mica dovevo fare testamento. Io Aquilino Bonfanti nel pieno possesso delle mie facoltà mentali… ma va… sto benissimo. Tu piuttosto, sono venuto a congratularmi con il nuovo campione della carabina”

   “Ma non ti sei nemmeno presentato alla sfida”

   “Avresti vinto ugualmente. Sei sempre stato più bravo di me, fin da quando eravamo ragazzi. Eri tu il generale Custer, non ti ricordi? La tua mira è sempre stata infallibile. Sei solo un insicuro, tutto qui. È questo il tuo problema. Nelle prossime gare abbi più fiducia in te, ritrova coraggio”

Fu inaspettata anche la lettera che gli giunse qualche giorno dopo. Proveniva dal circolo Beniamino Spinelli, gliela scriveva in via riservata e personale il cavalier Olmo Antinori. Ma non era la convocazione per le gare.

      «Egregio Sig. Spinelli, non le nascondo che scrivere il suo nome e associarlo a quello che sto per comunicarle provo un certo disagio. Lo stesso che proverebbe, ne sono certo, il suo illustre antenato al quale orgogliosamente abbiamo intitolato il nostro circolo.

Le invio la presente in forma del tutto riservata non potendo passare sotto silenzio il grave gesto che lei ha compiuto negli spogliatoi dei nostri locali non più tardi di una decina di giorni fa. Io stesso l’ho vista infilare la mano nella tasca di un paio di pantaloni alla ricerca di un lucro malandrino.

Di fronte all’enormità del fatto sono stato combattuto per molti giorni sul da farsi. Non sapevo se tacere, e difendere così anche la sua dignità insieme a quella del circolo che mi onoro di rappresentare, oppure rendere la vicenda di pubblico dominio.

Ho preferito una terza soluzione perché come presidente è mio preciso dovere mantenere il decoro che si confà alla nostra associazione pur dovendo nello stesso tempo compiere ogni sforzo per evitare uno scandalo che finirebbe per danneggiare e forse travolgere il circolo stesso. Ho deciso quindi di non divulgare l’episodio e di rivolgermi personalmente a lei.

Non sarà espulso perché l’espulsione andrebbe decretata dal direttivo e quindi la mia volontà di tenere sotto silenzio l’increscioso episodio verrebbe frustrata. Ciononostante la mia drittura morale mi impedisce di avallare il suo ingresso nella squadra di tiro. Entrando a far parte della squadra rappresenterebbe il nostro circolo in tutte le manifestazioni, cosa di cui lei non si è dimostrato degno.

Non sarò io però a depennare d’ufficio il suo nome dalla compagine sportiva perché ciò significherebbe dover dare delle spiegazioni che per le ragioni che le ho sopra indicato non intendo dare.

Sarà lei pertanto a rinunciare al ruolo adducendo qualsiasi falso motivo, che avrà la bontà di inventarsi e comunicarci.

Attendo la sua missiva a stretto giro di posta. Dopo di che provvederò a nominare Aquilino Bonfanti al suo posto, come del resto era nelle intenzioni del generale Diomede Marinelli, nostro responsabile tecnico, confermatemi nel corso del colloquio telefonico avuto con lui ieri sera. Distinti saluti. Cavalier Olmo Antinori»

Bastiglia si mise a contare le lettere di quel nome. Olmo… quattro lettere… no… vediamo anche Antinori, la megera ha parlato solo di nome e non di cognome ma non si sa mai…di lei non mi fido più… comunque…Antinori…otto lettere…niente.

Ma allora chi è il killer che ha deciso di sopprimere tutti i miei progetti. E poi… cosa cosa? ho letto bene? Come ha fatto il cavalier Antinori ad avere ieri sera un colloquio telefonico con il generale Marinelli se il generale Marinelli non è in grado di parlare e farfuglia frasi bavose e sconnesse?

Bastiglia alzò immediatamente la cornetta e volle ripetere l’esperimento in corpore vili. Compose il numero del generale:

   “Pronto?”

Era lui, era il generale! Rispondeva! E la sua voce si spandeva meravigliosamente nell’etere. Anzi alle orecchie di Bastiglia sembrava ancora più vibrante e giovanile di quella che aveva prima del coccolone.

   “Generale, sono Spinelli, buonasera”

   “Ah, buonasera Spinelli. Sembra purtroppo che la sorte abbia deciso di scegliere lei per completare l’ultima casella mancante della nostra squadra. E dico purtroppo perché lei sa bene che la mia scelta non l’avrebbe premiata. Scusi la franchezza ma io rimango un soldato e retrocedere, o peggio, scappare non fa parte della mia natura. Guardo le cose in faccia e non arretro”

A proposito di faccia…alla faccia! pensò Bastiglia. Altro che bavosi farfugliamenti, altro che faccia storta, questo si è risvegliato facondo e svelto di lingua che neanche Cicerone.

   “Non si preoccupi generale. Apprezzo la sua sincerità. Ma, scusi, sincerità per sincerità, lei non aveva la bocca sigillata da una emiparesi? Al circolo almeno si diceva così”

   “Diagnosi affrettata Spinelli, e fortunatamente errata. Non si è trattato di una emiparesi facciale, come all’inizio si era temuto, ma più semplicemente di una paralisi di Bell”

   “Sarebbe a dire?”

   “Paralisi del nervo facciale. Sono guarito da solo, da vero soldato, e senza bisogno di alcun trattamento medico”

   “Bene, me ne compiaccio. Buonasera generale”

   “Buonasera Spinelli. Grazie per la telefonata”

Ma sì, in fondo era meglio così. Bastiglia si sentì quasi sollevato quando preparò foglio e penna per indirizzare al presidente la rinuncia che gli era stata chiesta. La sua coscienza non avrebbe retto al pensiero di quella bocca storta, farfugliante e colante di bava. E non ce l’avrebbe fatta nemmeno a passare con animo tranquillo davanti al busto di suo nonno. Non avrebbe retto al suo sguardo. Meglio, molto meglio così.

Ma allora la Pizia, la vecchia megera aveva sbagliato tutto. Oppure è la stregoneria ad essere tutta una insulsa montatura. I rituali messi in campo, la magia nera, la foto attaccata al compensato, i nodi al fazzoletto, nulla aveva funzionato. Si era trattato solo di un teatrino recitato male? Scene, costumi, candele: tutta cartapesta senza valore?

Le sue convinzioni vacillavano, un’intera vita veniva messa a soqquadro. Non poteva pensare che quello a cui aveva creduto per una vita intera fosse solo un’immensa buffonata. Ne avrebbe parlato con Dorina, aveva bisogno di lei.

Mentre rimuginava i suoi pensieri aveva finito di scrivere la lettera. Ecco, adesso la firma: e che tutto finalmente sia finito.

   «Tanto le dovevo. Con i migliori saluti uniti agli auguri di tante importanti vittorie della squadra della quale mi onorerò di essere sempre il primo tifoso. Beniamino Spinelli»

Se ne accorse nel momento stesso in cui apponeva la sua firma sul foglio.

Be-nia-mi-no. Sillabò il suo nome e ne contò le lettere… nove! ma no, non è possibile! E poi io non sono Beniamino, per tutti mi chiamo Bastiglia, io sono Bastiglia.

Sillabò anche quel nome, lentamente, con un’ansia che saliva… Ba-sti-glia

Già, proprio così.

Teodoro Lorenzo

 

Continua con altri racconti tratti dal libro “Le formiche rosse“. Amazon. Copertina flessibile: 400 pagine (15 gennaio 2021)

 

 

Breve biografia

Teodoro Lorenzo, nato a Torino 4 marzo 1962, calciatore dell’Alessandria negli anni ’80, poi avvocato per lavoro e scrittore per passione.

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