Durante la giornata ingurgito quantità di cibo che il più delle volte vomito
BIANCO
racconto
di Elisabetta Bordieri
Illusioni e manipolazione psicologica trascinano una donna dentro un tormento fatto di insonnia, senso di prigionia e bisogno disperato di un sollievo. Sollievo che troverà in un’ossessione tanto metaforica quanto letterale
Non dormo da mesi ormai. Abito baratri e abissi. Inquieta e irrequieta sto male tutto il giorno. In testa girano solo pensieri che producono un ronzio rombante e aspro. Durante la giornata ingurgito quantità di cibo che il più delle volte vomito. Il cervello non produce più meccanismi di difesa. Non posso andare avanti così. Anche stamattina mi aggiro per casa come una zombie. Non avrò riposato nemmeno due ore. Sto impazzendo.
Ci sarebbe un’ultima carta da giocare. Una soluzione efficace per la salute. Dicono. Un rimedio che rilassa, aumenta la concentrazione, riduce l’ansia e favorisce il sonno. Un espediente con un deciso potere terapeutico. Una cura dal nome bizzarro: il rumore bianco. Praticamente quel tipo di rumore che altro non è che l’insieme di tutti i toni possibili che pare aiuti il cervello a mascherarne altri indesiderati. Dicono ancora. Ognuno ha il suo, quello che ritiene più funzionale. Quale sarà il mio? Intanto sono qui, senza vie d’uscita.
Ma una c’è. Lo so che c’è. Non so bene che ora sia con esattezza ma prendo ugualmente il telefono e, senza ragionarci troppo, compongo quel numero che non è più nella mia lista contatti, marchiato però a fuoco dentro di me e che non credevo avrei mai più digitato. Dall’altra parte quella voce. La sua voce. Tombale.
«Non devi chiamarmi.»
«Per favore non riattaccare.»
«Dimmi.»
«Una volta mi avresti risposto con dimmi amore.»
«Una volta non esiste più. L’amore non aggiusta le cose. Le complica. Ripeto: dimmi.»
«Sei sparito. Ho bisogno di vederti.»
«È finita.»
«Ti prego Riccardo.»
«Cosa vuoi ancora.»
«Voglio provarci.»
«A fare che?»
«Da quando mi hai lasciato sto male, voglio solo fare un tentativo, mi devi un’altra possibilità.»
«Io non ti devo proprio nulla e non ti ho lasciato, sei stata tu a non capire che bisognava cambiare direzione. In ogni caso sarà meglio che ti cerchi un altro terapeuta, lo capirebbe anche un bambino.»
«Mi fido solo di te. Ti prometto che…»
«Lascia stare le promesse, non ne hai mai mantenuta una, tanto che ti avevo vietato di chiamarmi e invece eccoti qui. Posso solo dedicarti un po’ di tempo adesso, ho un buco di dieci minuti e poi devo tornare dai miei pazienti. Questo è l’unico tentativo che ti possa concedere. Oppure guarda, faccio un’eccezione, ti prescrivo i farmaci e la chiudiamo qui.»
«No aspetta, non mi servono i farmaci, mi servi tu.»
«Un minuto è già passato, te ne rimangono nove.»
«È passato un secondo! Perché, perché non mi vuoi vedere più? Ci siamo incontrati solo due volte. Non ti chiedo di vederci l’ultima, ti chiedo di vederci per sempre.»
«Otto.»
«Maledizione, Riccardo, smettila!»
«Allora guarda, provo a farti un breve, ma davvero breve, riepilogo. Tu paziente, io il tuo medico. Il nostro rapporto si è trasformato in poco tempo in qualcosa di più. Ti ho detto più volte come stessero le cose, non ti ho mai nascosto la verità, ma tu insistevi nel voler di più. Peraltro sei malata – disturbo depressivo maggiore – diagnosi che sottovaluti e che ti porta anche a fare gesti inconsulti come questo di telefonarmi, e poi credo che i farmaci invece ti servano eccome, o non ne uscirai mai.»
«Ah ecco, ora sono diventata una depressa! E pensare che mi avevi accertato solo un leggero disturbo da ansia generalizzata. E poi scusa quale sarebbe questa verità? La verità poi di cosa?»
«Ho una famiglia da proteggere, primo, poi c’è la mia salute, sai che sono cardiopatico e non posso rischiare un infarto per un’emozione passeggera, poi quei nostri segreti mi avevano stancato, non ultimo sei una ragazzina. Questa è la verità.»
«Molteplici verità mi pare che conosco da sempre: una moglie e due figlie, che per me sono già una folla, la tua salute che è sotto controllo, i segreti che potresti iniziare a rendere pubblici e la mia età che è irrilevante, visto che ho solo un po’ di anni meno di te.»
«Solo sì, solo vent’anni.»
«E cosa c’entra poi tutto questo? Cosa c’entra con noi? Io e te siamo un’altra cosa.»
«Ti prego non ricominciare con le tue fantasie, incarni sempre il ruolo della vittima sacrificale, un bel vantaggio manipolatore ma che con me non funziona.»
«Volevo essere la tua preferenza non la tua alternativa, cos’ero per te, solo giovane e bella? Un trofeo da portare in giro?»
«Macché trofeo e trofeo! Gli unici nostri due incontri sono stati frugali in un bar in mezzo alla gente durante le pause dei miei convegni.»
«È vero, ci separano trecento chilometri; eppure, non puoi negare la magia che si è creata tra noi. Forse se ci rivedessimo potresti capire meglio i tuoi sentimenti.»
«Io non ho bisogno di capire un bel niente.»
«E potresti anche desiderarmi.»
«Il sesso è sopravvalutato.»
«Ma se almeno tu…»
«Ascolta. Non nego che mi piaci e lo sai. Tu hai sempre lo stesso pensiero in testa e questo va a creare uno schema mentale che con il protrarsi del tempo diventa un atteggiamento. Te lo dico in parole più semplici. La nostra relazione non può essere autentica e soprattutto non può esserci nulla fra noi, se lo capisci così, bene, altrimenti questo si chiama stalking e devo intervenire diversamente. Tempo scaduto. Devo andare. Ti prescrivo la ricetta e te la invio per mail, poi sparisci.»
E ha riattaccato senza nemmeno darmi il tempo di replicare. Appena una manciata di minuti di telefonata. Sarò pure malata, ma forse non ha capito fino a che punto. E allora sono qui che rimugino e forse ho capito come coprire e soffocare il suono fastidioso e sibilante della mia incertezza. Ho trovato il mio rumore bianco. Sì, solo una manciata di minuti, e poi sono io quella che non mantiene le promesse. Me ne deve ancora la metà.
Cerco il suo indirizzo su internet. Mi preparo ed esco. Con un treno in meno di due ore sono da lui, controllo gli orari, corro alla stazione e salgo sul primo disponibile. Mi godo il viaggio foriero solo di ricordi che mordono come iene le profondità delle viscere. Il passato trova sempre il modo per tornare. E allora lascio che sia.
All’inizio solo mail, una settimana di mail per conoscersi, per studiare i miei disturbi e iniziare a intraprendere una cura da remoto. Una settimana di connessione mentale profonda e intensa. Alle frasi del medico, si alternavano quelle di un uomo sconosciuto che piano perforava la mia mente e il mio cuore. Sapeva giocare con le parole, costruiva pensieri, argomentava di sogni. Il desiderio almeno di sentire la sua voce si faceva sempre più forte ma non voleva darmi il numero di telefono adducendo equilibri e dinamiche in famiglia per cui preferiva non ricevere messaggi, scriversi era sufficiente. Alla fine è stato costretto e messo alle strette per concordare e gestire l’incontro al meglio, facendomi promettere di non usarlo, si sarebbe fatto vivo lui se necessario. Stabilimmo un bar in una via di una città a metà strada che lui avrebbe dovuto raggiungere per lavoro. Non ci eravamo nemmeno descritti le banalità di fattezze fisiche per riconoscersi. Ma appena arrivata ho capito che quell’uomo dalla bellezza arruffata, fermo sul marciapiede, era lui. Anche il suo sguardo si è poggiato su di me. Rivivo quell’attimo come fosse ora… siamo rimasti così a guardarci da lontano. Ci siamo avvicinati piano, sempre occhi negli occhi. Quando è arrivato a un centimetro da me, non ho fatto altro che poggiare la mia testa sul suo petto. Sentivo le sue mani accarezzarmi la testa e le sue dita intrecciarsi tra i miei capelli. Sarei anche potuta tornare indietro, tanto la forza di quel momento si era annidata dentro me. Poi mi ha sollevato il volto, le sue mani si sono spostate sulle mie guance. Mi sono sentita completamente avvolta da lui immersa in una bolla dove tutto sembrava possibile perché nulla sembrava avere conseguenze. E senza dire una parola le sue labbra si sono poggiate sulle mie e siamo rimasti così incollati dentro un bacio per un tempo infinito.
Invece il tempo finì. Per un capriccio strategico degli astri, pensai io, perché doveva rientrare al convegno, mi ricordò lui. Quel caffè e quelle quattro chiacchiere che seguirono parevano il preludio della fine della nostra storia ancora da iniziare. Poi ci salutammo con la promessa di rivederci.
Torno con la testa al presente. Non manca molto all’arrivo. Ma se proprio oggi non fosse a lavoro? Il colore degli incubi tratteggia un’atmosfera disturbante. Che stupida ad aver intrapreso questo viaggio senza riflettere. Ma sono malata, dice lui, un gesto inconsulto l’ha chiamato, necessario però per estinguere la palude della mia solitudine. Intanto riprendo la strada delle memorie.
Mantenni la promessa e non utilizzai il suo telefono ma solo mail su mail, parole su parole. Ormai l’uomo aveva sostituito il medico. Scrivevamo solo d’amore e passione tralasciando la mia malattia. Seguì un secondo appuntamento, anche se ho dovuto penare non poco per ottenerlo, ma alla fine acconsentì a rivederci, stesso sistema, stessa città. Mi accorsi subito che la magia del primo incontro era svanita. Gli corsi incontro e lui mi abbracciò senza passione. Ci sedemmo al bar per il solito caffè. Mi spiegò che il suo amore per me era talmente forte che non sapeva più come gestirlo. Mi sembrava una bella notizia. Invece proseguì con discorsi che arrancavano sulle pareti delle bugie. Disse che il dolore dell’addio era più potente della gioia di rincontrarsi, che era troppo vecchio e io troppo giovane per una felicità così grande, che gli mancava tutto quello che avremmo potuto essere e che non saremmo mai stati. Dedussi che mi stava lasciando. Una luce liquida attraversò la direttrice della mia anima e traboccò dagli occhi. Nemmeno se ne accorse o forse fece finta. Si era fatto tardi, doveva andare e mi salutò con bacio sulla guancia a compenso dei nostri giorni.
La voce del macchinista annuncia che il treno è arrivato a destinazione in orario. Scendo e mi dirigo dritta verso il suo studio che è proprio adiacente alla stazione. Lo raggiungo in pochi passi. Non mi sono preparata discorsi. Voglio solo affrontarlo e vederlo per la terza e probabilmente ultima volta. Suono il citofono di un palazzo antico e il portone si apre automaticamente. Leggo sulla targa esterna che si trova al quinto piano. Prendo l’ascensore e arrivo sul pianerottolo dove c’è una porta socchiusa con la sua insegna. Entro confidando in una segretaria disponibile. Sospingo la porta ma ad accogliermi trovo lui. In piedi, dietro a una scrivania a scartabellare dei documenti, alza lo sguardo e mi vede. Impietrito, ammutolisce prima di elaborare un concetto. La sua mano corre alla sinistra del suo petto. Azzardo sarcastica.
«Ciao Riccardo. Mi hai proibito di telefonarti quindi eccomi qui. Qualcosa non va, ti senti male, un infarto in corso?»
Il suo silenzio cede al disprezzo.
«Cosa vuoi, sto lavorando, tu sei pazza.»
«Prima era ansia, poi depressione, ora pazzia. Deciditi a darmi la giusta diagnosi.»
Deve essersi accorto che faccio sul serio, si posiziona pronto all’attacco. Sbatte i pugni sul tavolo, le labbra si serrano in un ghigno, aspetta una mia mossa che non arriva.
Poi c’è un cambio repentino. Il suo viso si distende in un sorriso artefatto simulando una ritrovata dolcezza.
«Perdona la mia reazione, mi fa piacere vederti in realtà, mi hai solo preso alla sprovvista. Vieni entra accomodiamoci nella mia stanza. Sì, è vero non sto molto bene, sai i miei problemi di cuore non mi abbandonano e le sorprese inattese non aiutano, ma un bicchiere d’acqua dovrebbe bastare.»
Mi fa strada e mi indica la sedia ma resto in piedi e lui con me. Si versa dell’acqua da una bottiglia posizionata sul tavolo, beve avidamente due bicchieri. Non me la offre. L’acqua gli cola dagli angoli della bocca palesando uno stato di agitazione. Si asciuga con la manica della camicia, un gesto poco elegante. Riempie il terzo bicchiere e lo tiene in mano. Prende tempo, poi chiosa quasi sillabando.
«Come mai… questa visita improvvisa… credevo ci fossimo chiariti… stamattina al telefono…»
«Sono venuta a parlarti del rumore bianco.»
«Scusa?»
Beve ancora e l’ultimo sorso gli va di traverso, tossisce nervosamente. Proseguo.
«Sai quel rumore considerato distensivo che ne copre altri fastidiosi?»
«Lo so cos’è un rumore bianco, non capisco cosa c’entri.»
«Ecco, ho sentito dire che c’è chi sostiene che può essere dannoso per la salute. Volevo una tua opinione da medico.»
Un impercettibile segno sul suo sopracciglio non nasconde la smorfia di disgusto. Non sa che fare. Potrebbe urlarmi contro la sua rabbia o ancor peggio sbattermi fuori. Invece continua la farsa e opta per una risposta calma e professionale.
«Effettivamente non ci sono studi autorevoli che confermino che il rumore bianco agisca come anestetico sul sistema nervoso centrale ma senza dubbio è vero che ascoltare un rumore costante aiuta a coprirne altri di fondo a livello cerebrale, come fosse una coperta o uno scudo che assorbe onde sonore e può arrecare benefici sulla salute. Ma dipende da caso a caso.»
Poi mi dà le spalle e va verso la finestra, la apre, ha bisogno di prendere aria. L’acqua non è bastata. Bene penso, è irritato e confuso. Si appoggia sul davanzale. Si sporge. Troppo. Sta per avere un malore. Come una belva attacco la preda.
«Tutto qui Riccardo? Un po’ troppo conciso, ne so molto più io di te. Guarda che così finisci di sotto e potresti farti male da quest’altezza. Senti, pensavo una cosa… visto che dipende da caso a caso, mi chiedo, per fare un esempio, se io ora ti uccidessi, il rumore bianco delle tue urla potrebbe bloccare quello distorto del mio dolore e aiutarmi a sconfiggere le mie paure?»
Quanto c’è voluto? Non potevo pensarci prima? Farlo prima? Guardo l’orologio, esco di corsa dal suo studio altrimenti rischio di perdere il treno di ritorno. È andata bene così, ho fatto quello che era giusto fare. Spaventarlo ha alleggerito la mia coscienza. Polverizzare le mie certezze ha preservato tutti tutti i miei sogni perché, come si dice, i sogni non si avverano, si fanno, fosse anche con un addio. Sono sempre vissuta sulle sabbie mobili della mia esistenza, dileggiata dal destino e alla fine anche da lui, dalla sua incapacità di amare.
Il treno sembra essere in orario, in tempo per cenare a casa. Che giornata intensa di emozioni, e pensare che solo oggi al risveglio non avevo idea di come affrontarla, ora invece provo una leggera sensazione di pienezza e di libertà. Questo viaggio mi ha rifiorito e il suo epilogo mi aiuterà a scoprire i miei limiti e a prendere decisioni, prima fra tutte buttare via tutte quelle inutili medicine. Dall’inevitabile, per quanto squallido, si può ricostruire qualcosa di nuovo perché è vero quando si dice che i dolori grandi durano poco, quelli che durano non sono mai grandi. Il mio dolore per lui, il mio amore per lui, ora lo so, erano solo nebbia.
Il treno non parte però. Dal finestrino scorgo un via vai tra ambulanze e addetti alle ferrovie, un’agitazione insolita. Le persone sul convoglio con me si scambiamo qualche informazione. Si rincorrono strane voci. Pare che un noto medico di zona sia appena stato trovato cadavere sulla strada, caduto da una finestra. Nemmeno il tempo di farmi domande che finalmente si parte. Questa volta non mi lascerò andare ai ricordi, il passato dicono si può cancellare. Io ho fatto molto di più. Io ho circoscritto la pelle dei sogni dentro una bolla di nuvole. Scoppierà la bolla e la pioggia della memoria laverà ogni nostalgia. E ora chiudo gli occhi. Il ritmo ipnotico del treno in movimento rallenta i miei pensieri. Lo sbuffare ovattato concilia il sonno. Un suono magnetico. Quasi lo spettro di un rumore. Sembra candido. Lo è. È il mio. Ed è bianco.
Elisabetta Bordieri
Elisabetta Bordieri nasce a Roma ma vive in Toscana tra colline e aironi, dentro una cartolina. Scrive racconti, genere che predilige perché è dentro l’essenzialità che si cela il limite del superfluo. Legge brani di poesia e prosa con letture sceniche e interpretative. Partecipa a corsi di laboratorio teatrale. Si allena lungo gli argini del fiume. E ancora.
Tutti i racconti di Elisabetta Bordieri
Paola 69
16 Marzo 2025 a 0:15
Sempre bello leggere i tuoi racconti. La mente umana è sempre un po’ al limite della follia e anche un rapporto che comincia solo per ragioni professionali ,ti può imprigionare in un ossessione, un incubo di cui è difficile(ma non impossibile) liberarsi. Brava 😘
Elisabetta Bordieri
16 Marzo 2025 a 14:54
Sì Paola, basta saper distinguere la sana follia da una malata ossessione. Grazie per le tue parole!
giancarlo
6 Febbraio 2025 a 14:24
Ah ecco ci risiamo… lui, lei e inevitabilmente qualcuno ci rimette la pelle…. Stavolta è toccato a lui ma non concordo sul fatto del colore bianco che sia un colore che riesce a coprire ogni altro suono, pensiero e tonalità. Dovremmo sapere da chi fa stalking a quale colore associa la sua ossessione, ma se ciò così fosse ne sarebbe cosciente in primis il soggetto , a allora non sarebbe malato ma sano e lucido.. Come tu ben sai il bianco è l’opposto del nero, in questo caso , nel tuo scritto tutte le sfumature intermedie vengono bypassate sapientemente, presentando i due opposti in un “frame” . Il bianco come un rimedio irrazionale al proprio benessere e il nero come la chiusura definitiva alla Vita. In ogni caso piu scrivi e più i tuoi racconti hanno forza e carattere. Le scelte linguistiche non sono mai casuali, come il proporre le scene che come ti ho già riconosciuto altre volte , possono prendere vita e portare chi legge esattamente dove si svolgono i tuoi “delitti “. Brava.
Elisabetta Bordieri
6 Febbraio 2025 a 14:38
Sì, le sfumature intermedie sono state tralasciate volutamente ma conosco bene l’importanza della scala di grigi tra il bianco e nero per apprezzare i dettagli delle immagini o della vita. Grazie Giancarlo!
Giancarlo
6 Febbraio 2025 a 14:49
Ah beh sul fatto che hai una conoscenza riguardo l’aspetto fotografico della scala dei grigi, non ho dubbi….
Maurizio
5 Febbraio 2025 a 18:52
In quasi tutte le culture, tranne la nostra, il bianco è il colore della morte, ma è anche la luce che racchiude in sé l’insieme di tutti i colori. Così come questa tua storia disvela e sublima l’intero spettro delle pulsioni umane. Mi ha catturato dalle prime frasi, emozionandomi come da tempo non mi capitava con una lettura. E ultimamente ho letto molto, e di Autori blasonati. Meriti maggior gloria, Elisabetta, questo racconto ne è solo l’ultima conferma! Grazie per avercelo regalato ❤️
Elisabetta Bordieri
5 Febbraio 2025 a 19:38
Vero, il bianco è un colore senza tinta ma il più luminoso di tutti! E le tue parole sono un balsamo, grazie Maurizio!
Paolo Fargione
4 Febbraio 2025 a 10:03
Amore, dolore e morte che si … ricompongono in un rumore bianco? Bellissimo e crudele, come accade (a volte?) nella realtà. Brava brava!
Elisabetta Bordieri
4 Febbraio 2025 a 10:12
Accade, accade… Grazie Paolo!
Ilaria
3 Febbraio 2025 a 16:22
Diabolico transfert 💋
Elisabetta Bordieri
3 Febbraio 2025 a 16:52
Diabolico soprattutto! Grazie Ilaria!
Gabriele
3 Febbraio 2025 a 10:05
Ciao, Elisabetta! Ho letto “ Bianco “! La guarigione chirurgica da un amore malato o il primo, liberatorio delitto di una omicida seriale?
Elisabetta Bordieri
3 Febbraio 2025 a 10:11
La risposta è alla terza domanda mai nata! Grazie Gabriele!
Daniela
3 Febbraio 2025 a 9:31
Sì…ma tanto la scoprono…’ndo va…😂 … E tu scrivi magnificamente
Elisabetta Bordieri
3 Febbraio 2025 a 9:35
Ahahahah… dici? E chi lo sa? Grazie Daniela!
Andrea
3 Febbraio 2025 a 8:00
Bello, intenso, schiava dei pensieri…poi finalmente la liberazione per aver constatato che non c’era molto tra di loro, solo fantasie, spietate fantasie. E poi la morte vissuta senza emozione. Non c’era nulla.
Ma tu sei grande. Baci
Elisabetta Bordieri
3 Febbraio 2025 a 8:13
Le emozioni vanno sempre cavalcate, anche quando sembrano essere “nulla”. Grazie Andrea!
Alberto Maria Onori
2 Febbraio 2025 a 18:32
In che modo il rapporto fra un medico e un paziente può trasformarsi in un incubo?
La complessità della mente umana contiene la risposta. Le reazioni che il corto circuito delle menti può scatenare sono infinite. L’imprevisto, l’assurdo, il tragico ne fanno parte.
Il confronto fra due menti e l’esplodere distruttivo della scintilla che scocca fra loro è alla base di questo racconto breve, condotto con allucinante maestria sul filo della follia più lucida.
Atmosfere e stile degni del miglior Poe.
Elisabetta Bordieri
2 Febbraio 2025 a 18:43
Sì, Alberto Maria, la mente umana può scatenare qualsiasi reazione e magari trasformarla in un incubo.
Grazie per le tue preziose parole!