”Tanardo è bonariamente detto: lo scemo del villaggio, ma il Tanardo britannico Boris Johnson in barba a tutti i sondaggi è giunto al vertice e ha stravinto le decisive elezioni del 12 dicembre scorso: il tanardo dunque non è tale.

Dalle mie parti, chiamiamo tanardo, un po’ bonariamente e un po’ no, un tipo poco dotato di intelligenza, un incrocio tra il tontolone, l’imbranato e il cretino del villaggio. Non penseremmo mai di affidargli incarichi importanti, tanto meno di metterlo a capo di una nazione, figuriamoci di un impero, per quanto in disarmo come quello britannico. Invece, il Tanardo britannico è giunto al vertice e

ha stravinto le decisive elezioni del 12 dicembre scorso. Boris Johnson – è di lui che stiamo parlando – ha conquistato una vittoria schiacciante, 365 seggi, oltre agli alleati nordirlandesi, sui 650 membri della Camera dei Comuni. La Brexit è cosa fatta, il veleno liberaldemocratico è schiacciato, solo un pugno di deputati per il partito preferito dalle élite, guidato dall’astro nascente (per la stampa liberal) Jo Swinson. Il principale avversario, il buon Jeremy Corbyn, un laburista che è l’unico leader europeo a dire “qualcosa di sinistra “ha incassato una storica disfatta, perdendo bastioni storici nelle città della classe operaia inglese.
Il tanardo, dunque, non è tale. Eppure ci avevano quasi convinto, le maestrine dalla penna rossa e i sapientoni di casa nostra. Dopo il referendum vinto dai sostenitori dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, i britannici erano rinsaviti. Firmavano oceaniche petizioni online, manifestavano in massa- meglio delle nostre sardine- per esigere la permanenza della loro isola nell’UE. Corbyn, con l’appoggio discreto della Swinson, avrebbe risolto la situazione. Invece no. Quelle teste dure dei sudditi di Sua Maestà hanno voltato pagina. Addio all’Europa e chi se ne frega delle accuse di populismo, ignoranza, mentalità da vecchi, incomprensione del mondo, piovute dalla nuvola rosa del progressismo “liberal”.
In Italia si sono distinti in molti nell’opera di ridicolizzazione di Boris Johnson. Il personaggio, a dire il vero, attira le battute come il miele le api. Ha un’aria e un abbigliamento da allevatore del Nebraska più che da esponente della classe dirigente britannica. Cammina con andatura ciondolante, ha un eloquio ben poco oxfordiano, la zazzera scomposta color stoppa, segno dell’uso sapiente di lozioni per capelli. In più si porta dietro quel nome russo, Boris, che sa tanto di passato veterocomunista. Ma non è uno sciocco e tanto meno un ignorante. Possiede

una solida cultura, padroneggia diverse lingue, ed ha saputo porsi in sintonia con la gente normale del suo paese. Ha presentato una seria riforma della sanità pubblica che ha convinto non pochi elettori laburisti, ma soprattutto ha parlato chiaro.

Brexit senza se e senza ma, concetti semplici, un progetto netto: prendere o lasciare. Tutti sapevano che cosa avrebbe fatto se gli fosse stato conferito il pieno mandato che si è conquistato nelle urne. Si chiama democrazia, nel caso se ne fossero scordati i nostri aristocratici sinistri. Tutt’altra cosa rispetto a Corbyn, un onesto socialista
che, al dunque, pareva quello del “vorrei ma non posso”. Da noi (forse) funziona, in Inghilterra no. Nonostante tutto, come ha commentato un amico che detesta la “perfida Albione”, gli inglesi hanno le palle. Quelle che mancavano – e non per questioni di sesso – al precedente primo ministro conservatore, la gentile Mistress May, tanto somigliante alla romantica donna inglese disegnata magistralmente da Enrico Montesano qualche anno fa.

[stextbox id=’download’ mode=’undefined’ color=’eb1313′]Tanardo è bonariamente detto: lo scemo del villaggio, ma il Tanardo britannico Boris Johnson in barba a tutti i sondaggi è giunto al vertice e ha stravinto le decisive elezioni del 12 dicembre scorso: il tanardo dunque non è tale![/stextbox]
Sappiamo bene che il partito conservatore inglese, il vecchio bastione Tory, non è affatto conservatore nel senso tradizionale, ma essenzialmente liberista; tuttavia, il successo di Boris Johnson fa


esultare anche noi. Ci avevano quasi convinti, i soloni da talk show, tra i quali spiccavano per livore e supponenza Beppe Severgnini e Antonio Caprarica. Il barbuto ex corrispondente da Londra di lungo corso è così visibilmente di sinistra che non serve attaccarlo. Basta guardarlo. Somiglia a un maturo notabile meridionale che racconta amabilmente aneddoti a tavola, con il tovagliolo intinto di sugo e una buona porzione di spaghetti, in attesa di casatiello, cime di rapa e pastiera fatta in casa. Lo sfortunato Severgnini sarà ancora alle prese con i digestivi e il Lexotan. Il gazzettiere più british di tutti, quello che conosce il Regno Unito meglio della natia Crema, ha toppato ancora una volta. Si sarà ulteriormente incanutita la sua perfetta capigliatura di intellettuale allo shampoo.
Su Nostra Signora del Bilderberg, donna Dietlinde Gruber in arte Lilli, regina del giornalismo sudtirolese, scenda il nostro rispettoso silenzio. Sino a sera, riposi in pace. Strano davvero che per i progressisti nessun esponente delle altre aree politiche sia considerato per ciò che è, ma venga invariabilmente dipinto come un cretino o un malvagio. Pensiamo alla demonizzazione di Vladimir Putin, di Viktor Orbàn e di Salvini. Meno male che la Polonia non è granché popolare da noi, altrimenti non osiamo immaginare che cosa direbbero del suo presidente Kaczinsky e del partito Diritto e Giustizia. Quanta sofferenza, la vittoria dei bifolchi. Buzzurri, tanardi, uomini e donne della strada: gran rivincita per interposto Boris.


L’irritazione è tanto grande da aver fatto una vittima, il vignettista del Fatto che ha osato disegnare Johnson in fuga da un campo di concentramento con la scritta Unione Europea. Accusato di antisemitismo per il riferimento “blasfemo” ad Auschwitz (un capo d’imputazione a cui non si può rispondere se non con una drammatica autocritica da Comintern sovietico) è stato licenziato. Speriamo che Boris gli offra asilo nella Gran Bretagna liberata dall’UE.
Vale la pena una riflessione alla buona sulla scelta britannica, da gente semplice, tanardi e populisti. Un’ osservazione riguarda il ruolo che il Regno Unito ha svolto nei decenni all’interno dell’UE. Dagli anni 80 è sempre stato un socio scomodo, qualche volta ostile, che ha cercato di frenare i tentativi di supremazia del progetto comunitario. Di questo siamo grati alla vecchia potenza imperiale. I suoi governi, laburisti o conservatori, hanno denunciato la pesante burocrazia di Bruxelles, gli eurocrati privilegiati, arroganti e autoreferenziali che si fanno i fatti nostri. Hanno combattuto certe politiche fiscali, le pulsioni interventiste e le sovvenzioni che tanto piacciono, per i loro interessi, a Francia e Germania.
Un po’ ci mancherà la vecchia Inghilterra, specie a noi italiani, finché avremo un governo piegato agli interessi stranieri, a cominciare dal ministro Gualtieri, legato alla galassia Soros. Quello stesso finanziere, sedicente filantropo, che nel 1992 fece saltare il Sistema Monetario Europeo(1) con due attacchi mirati, uno alla sterlina e il secondo alla lira. Gli inglesi dovettero uscire dal cosiddetto “serpente monetario”, lasciarono sul campo miliardi di sterline, ma compresero la lezione. L’Italia si accanì nella difesa cocciuta della lira; il governatore Ciampi e il ministro Barucci gettarono al vento non meno di 50.000 miliardi di lire, il nostro tesoro. Giuliano Amato fece il resto da primo ministro, mettendo il conto di quella follia a carico di tutti noi. Salvatori della Patria o traditori? Decida il lettore.

[stextbox id=’download’ mode=’undefined’ color=’eb1313′]La Brexit, a suo modo, è una potente scommessa sul futuro di quella vecchia, piccola, insalubre isola piovosa: un inglese, poi non scherza mai quando si tratta di una cosa importante come una scommessa![/stextbox]
L’Inghilterra ha buona memoria, a differenza dell’Italia. Sa, per esempio, quanto furono devastanti le politiche laburiste degli anni ’70, che portarono al pesante intervento del Fondo Monetario Internazionale (per intenderci, è il modello del MES di cui si discute in queste settimane). Non ha dimenticato l’“inverno del nostro scontento” del 1979, tra scioperi, disagio sociale, divisione politica del Paese. Quegli eventi hanno vaccinato il Regno Unito contro politiche economiche e fiscali di rapina, che hanno beneficiato solo legioni di burocrati e di clienti dell’assistenzialismo nullafacente. Soprattutto, hanno sollevato l’allarme rispetto alla moneta unica, l’euro nella cui area nessun governo di Sua Maestà ha voluto entrare. Elementare prudenza, da parte di un popolo che ha conosciuto per primo, nel 1694, i morsi dell’usura finanziaria al tempo del banchiere Peterson(2), l’inventore delle banconote, del credito e del danaro creato dal nulla, fondatore della privata Banca d’Inghilterra che, ottenendo dal Re il diritto esclusivo ad emettere banconote non protette dai patrimoni bancari, inaugurò l’era degli usurai.
Si tende altresì a dimenticare che l’Inghilterra ha un rapporto storico con gli Stati Uniti, e da orgogliosa potenza mondiale, pur decaduta, preferisce essere l’alleata “minore” degli americani che partecipare a un’Europa in cui domina l’asse franco-tedesco, nemico secolare della Gran Bretagna. I britannici, poi, hanno la mentalità isolana: diffidano di ciò che viene da fuori, da oltre il mare. Vivono soprattutto di attività finanziarie, dunque hanno bisogno di preservare la piazza londinese dagli eccessi burocratici di Bruxelles e mantenere relazioni privilegiate con l’America. In più, possono contare sul petrolio scozzese e, alle brutte, sulle risorse minerarie ora abbandonate. La Brexit non spaventa gli inglesi, anzi ritengono che, oltre a preservare la sovranità nazionale alla quale tengono più di tutto, permetta di andare per la propria strada economica senza problemi, come hanno dimostrato gli ultimi tre anni. Vedremo se, al di là del malumore scozzese, non vi saranno nuove convulsioni nell’Ulster, dove la componente cattolica in crescita demografica detesta l’innaturale confine che separa le contee del Nord dal resto della patria irlandese.
A nostro avviso, è stata sottovalutata l’incidenza delle relazioni riservate tra Londra e gli Usa, alimentata da circoli di immensa influenza, come il RIIA (Royal Insitute for International Affairs), che certo, più o meno sottovoce, prediligono i rapporti con l’“anglosfera” (Stati Uniti e paesi del grande Commonwealth britannico) alla permanenza in posizione minoritaria nell’UE. La City, quella che conta davvero, non si è scomposta troppo dopo il referendum del 2016 e ha reagito benissimo adesso. Segno che i vertici hanno mollato l’Europa. L’importanza finanziaria di Londra è testimoniata dalla preminenza del gruppo Rothschild, che, tra l’altro, controlla il mercato mondiale dell’oro. La Corona non si esprime, ma non è un mistero che non ami l’UE. In ogni caso, tre anni di interregno tra un Regno Unito integrato nell’Unione e l’uscita definitiva hanno dimostrato che c’è vita fuori dalla gabbia comunitaria. Segnali di nervosismo anti europoide arrivano ora dal piccolo Belgio.
Certo, non si può dimenticare la deindustrializzazione subita dal Regno Unito, la fine dei dark satanic mills, le scure diaboliche ciminiere di William Blake,(3) ma la lezione di decenni insegna che

non sarà questa Europa a risolvere i problemi. Inoltre, il controllo delle frontiere è una priorità per una nazione–isola, che vive la propria identità come distanza fisica, separazione materiale. Il problema dell’immigrazione è in Inghilterra molto acuto, e la ripresa del controllo del territorio, abbandonando l’inservibile trattato di Schengen, è un ulteriore argomento a favore della Brexit.
Da un punto di vista italiano, inutile sperare di trarre lezioni: le nostre classi dirigenti non hanno senso nazionale, inclinano al servilismo e al tradimento da secoli. In più, la catena che ci lega maggiormente è quella della banca centrale che crea la moneta euro, decide la quantità di emissione e l’interesse senza svolgere la funzione classica delle banche centrali, quella di prestatore di ultima istanza. Gabbia dell’euro più prevalenza del diritto comunitario sancita dall’improvvida, vergognosa novella dell’art. 117 della Costituzione, approvata da tutto l’arco politico, che afferma “La potestà legislativa è esercitata (…) nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” negando di fatto la sovranità del popolo affermata solennemente dall’articolo 1.
A tutto questo si è sottratta l’Inghilterra, grazie a Boris e a un altro tanardo, Nigel Farage, l’esponente dell’UKIP, partito per l’indipendenza del Regno Unito, primo alle elezioni europee, battuto il 12 dicembre, ma vincitore storico e morale della battaglia sovranista. Anche Farage è stato oggetto di insulti, sarcasmi e denigrazione dai soliti

soloni progressisti, personificazione di Tafazzi, il personaggio televisivo militante di sinistra, autolesionista e masochista, il cui “tormentone” è colpirsi a martellate le parti intime.
Temiamo, a dire il vero, che la Gran Bretagna diventi un grande paradiso finanziario e fiscale. Del resto, hanno inventato loro, insieme agli olandesi, l’ombra tenebrosa del

denaro che sfugge e riappare tra isolette, colonie e Stati da barzelletta. Infine, gli inglesi, nei rapporti internazionali, non amano il diritto: sono stati la potenza marittima per eccellenza, talassocratica. Carl Schmitt insegnò la differenza tra potenze di mare, più sfuggenti, estranee alle leggi internazionali, e potenze di terra, legate a uno spazio specifico, il Lebensraum dei tedeschi, spazio vitale. Fu l’Inghilterra, per i suoi interessi imperiali, a inventare la geopolitica con Halford Mackinder,(4) ovvero la messa in relazione di spazio geografico e gioco del potere. Non hanno dimenticato la storia, a differenza di chi, come noi, li invidia pur non amandoli affatto.
Eppure Boris, il tanardo che non è tale, ha sbaragliato il campo. Da oggi e per chissà quanto tempo la storia dovrà tenere conto dello strappo inglese, in Europa e nel mondo. Loro possono, hanno vinto la guerra, sono una potenza nucleare, comandano in casa propria. Quante differenze, quanta distanza dal nostro disastrato Stivale. E poi, ogni inglese è un’isola, disse Novalis.(5)
I britannici amano scommettere, hanno inventato gli allibratori e le quote. Grandi fortune sono passate di mano per scommessa, e si sa, un debito di gioco è un debito d’onore, parola non ancora abolita dal vocabolario di Oxford. La Brexit, a suo modo, è una potente scommessa sul futuro di quella vecchia, piccola, insalubre isola piovosa. Un inglese non scherza mai quando si tratta di una cosa importante come una scommessa.
NOTE
- (1) 16 settembre 1992, il mercoledì nero Nella storia economica dell’Europa, la lira italiana e la sterlina inglese furono costrette ad uscire dallo SME, in conseguenza secondo alcuni di una speculazione finanziaria da cui ricavò profitto soprattutto il finanziere George Soros. Soros vendette sterline allo scoperto per un equivalente di più di 10 miliardi di dollari e causò una perdita di valore della lira sul dollaro del 30%, guadagnando una cifra stimata attorno agli 1,1 miliardi di dollari. Il principio alla base della speculazione si basava sulla impossibilità del trio inconciliabile e sfruttava la stabilità del cambio: poiché il cambio ufficiale era definito a meno di piccole oscillazioni, lo speculatore avrebbe venduto allo scoperto valuta debole acquistando valuta forte, avendo la certezza che le banche centrali sarebbero obbligate a mantenere il cambio accordato attraverso lo SME. Gli speculatori approfittarono della riluttanza da parte della Banca d’Inghilterra sia ad aumentare i propri tassi di interesse a livelli confrontabili con quelli degli altri paesi del Sistema Monetario Europeo, sia a lasciare fluttuante il tasso di cambio della moneta. Alla fine, la Banca d’Inghilterra fu costretta a far uscire la propria moneta dallo SME e a svalutare la sterlina. The Times, lunedì 26 ottobre 1992, riportò il commento di Soros: “La nostra esposizione durante il mercoledì nero doveva essere di quasi 10 miliardi di dollari. Noi avevamo previsto un guadagno maggiore. Infatti, quando Norman Lamont appena prima della svalutazione disse che avrebbe avuto bisogno di un prestito vicino ai 15 miliardi di dollari per difendere la sterlina, fummo contenti poiché era all’incirca la cifra che noi volevamo vendere“.
- Per quanto riguarda la lira italiana, era particolarmente a rischio perché le aste dei titoli di stato italiano nelle settimane precedenti erano andate deserte, l’economia arrancava e la Bundesbank aveva detto chiaramente che non avrebbe salvato la lira. Ma gli investitori si aspettavano comunque un salvataggio e perciò non si erano scatenate ancora le vendite. Vendendo lire allo scoperto Soros innescò un movimento generale valutario pari a 48 miliardi di dollari in quanto le aspettative vennero definitivamente meno; le vendite portarono ad una svalutazione del 30% e all’uscita dal Sistema monetario europeo. Soros – che comunque ebbe un ruolo marginale nella vicenda, perché in realtà come visto erano venuti a mancare i fondamentali valutari –, disse in un’intervista a Francesco Spini: “Ai tempi presi una posizione sulla lira perché avevo sentito dichiarazioni della Bundesbank […] Si trattava di dichiarazioni pubbliche, non ho avuto contatti personali. Quella fu una buona speculazione”.
- (2) Sir William Paterson (Scozia, aprile 1658 – Westminster, 22 gennaio 1719) è stato un mercante e banchiere scozzese. Durante il regno di Giacomo II, tentò di convincere il governo inglese, che rifiutò, a finanziare lo schema di Darién. Proposte lo stesso progetto al Sacro Romano Impero, ma ottenne un altro rifiuto. Paterson tornò a Londra dove si arricchì con il commercio estero (in primo luogo con le Indie Occidentali) grazie al suo lavoro presso la Worshipful Company of Merchant Taylors. Nel 1691, propose l’istituzione della Banca d’Inghilterra così come descritta nel suo opuscolo A Brief Account of the Intended Bank of England. Il 27 luglio 1694 fu concesso il Royal Charter e la banca fu fondata. Paterson tornò a Edimburgo, dove riuscì a farsi finanziare lo schema di Darién. Paterson fece parte della disastrosa spedizione scozzese di Panama del 1698, facente parte del progetto proposto, dove morirono tra gli altri sua moglie e suo figlio e dove, nonostante si ammalasse gravemente, fu tra i pochi sopravvissuti. Lo schema fu così fallimentare che la Scozia nel 1699 era praticamente in bancarotta. Quegli eventi furono la causa della firma dell’Atto di unione del 1707 e della fondazione del Regno Unito. Passò gli ultimi anni della sua vita a Westminster, dove vi morì nel 1719. Aveva 61 anni.
- (3) William Blake (Londra, 28 novembre 1757 – Londra, 12 agosto 1827) è stato un poeta, pittore e incisore inglese. Largamente sottovalutata mentre egli era in vita, oggi l’opera di Blake è considerata estremamente significativa e fonte di ispirazione sia nell’ambito della poesia che in quello delle arti visive. Secondo Northrop Frye, che si dedicò allo studio dell’intero corpus poetico di Blake, i suoi versi simili a profezie costituiscono “Quello che, in rapporto ai reali meriti, è il corpus poetico in lingua inglese meno letto“. Altri hanno invece lodato l’arte pittorica di Blake e un critico nostro contemporaneo lo ha proclamato “Di gran lunga il più grande artista che la Gran Bretagna abbia mai prodotto.”Considerato un tempo pazzo per le sue idee stravaganti, attualmente è invece molto apprezzato per la sua espressività, la sua creatività e per la visione filosofica che sta alla base del suo lavoro. Come ha suggerito egli stesso. «L’immaginazione non è uno stato mentale: è l’esistenza umana stessa.» (William Blake, Milton. A Poem in 2 Books)
- (4) Halford John Mackinder (Gainsborough, 15 febbraio 1861 – Bournemouth, 6 marzo 1947) è stato un geografo, politico, diplomatico, esploratore ed alpinista inglese, considerato tra i padri della geopolitica. Mackinder era esperto in biologia, storia, legge e strategia; conquistò la vetta del Monte Kenya nel settembre del 1899. È conosciuto per la sua celebre teoria geopolitica dell’Heartland (traducibile come Cuore della terra), cioè un’area geografica il cui controllo avrebbe consentito di dominare l’intero mondo. La zona in questione era individuata al centro del Supercontinente Eurasiatico. Questa teoria fu elaborata per la prima volta nell’articolo “The Geographical Pivot of History” (“Il perno geografico della storia”), presentato il 25 gennaio 1904 alla Royal Geographical Society, e successivamente pubblicato dal “The Geographical Journal”. Mackinder sosteneva che esistessero delle caratteristiche, degli “elementi che durano nel tempo”, in un paese che non mutano mai e vanno sempre prese in considerazione nel momento di compiere scelte strategiche. Esse sono: Il luogo geografico, Il contesto storico, Le tradizioni di un popolo. Per gli stati, per vincere una guerra, è fondamentale conoscere e tenere in considerazione questi elementi.
- (5) Novalis, pseudonimo di Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg (Schloss Oberwiederstedt, 2 maggio 1772 – Weißenfels, 25 marzo 1801), è stato un poeta, teologo, filosofo e scrittore tedesco. Fu uno dei più importanti rappresentanti del romanticismo tedesco prima della fine del Settecento e creatore del fiore azzurro, ovvero il nontiscordardimé, uno dei simboli più durevoli del movimento romantico. Nato e cresciuto in una famiglia estremamente cristiana e solitaria, divenne ben presto appassionato di religione e prolifico autore di poesie dal contenuto mistico e filosofico, dotate d’uno stile sentimentale e amoroso originalissimo per la sua epoca. Viene considerato uno dei precursori della letteratura moderna. «L’acume geniale è l’uso acuto dell’acume» (Novalis, Frammenti – Rizzoli, 1976)
Fonte Wikipedia