Uomo e macchina: chi governerà il campo?
CARPE KOI
Nel suo testo denso e radicale, Lorenzo Merlo ci accompagna in una riflessione sulla deriva tecnocratica del mondo contemporaneo. L’adozione massiva dell’intelligenza artificiale non è, secondo l’autore, una semplice evoluzione tecnologica, ma un’operazione strutturale e ideologica tesa a trasformare la natura stessa dell’uomo. Mentre le macchine conquistano gli spazi regolati e meccanici della nostra vita, anche le dimensioni più intime — emozioni, scelte, relazioni — rischiano di essere standardizzate e rese compatibili con i sistemi di potere che governano l’era digitale. Un allarme profondo contro l’annientamento dell’imprevedibilità umana in nome dell’efficienza.
🟡 Perché un sunto di questo testo
Il pensiero di Lorenzo Merlo è ricco, stratificato e volutamente non semplificato. Proprio per questo, per molti lettori può risultare ostico nella prima lettura, sia per densità concettuale che per costruzione linguistica. In particolare, in questo intervento l’autore intreccia filosofia, politica, antropologia e visione esistenziale in un ragionamento che si sviluppa in profondità più che in linearità.
Per aiutare chi desidera avvicinarsi al suo discorso senza smarrirsi tra immagini e riferimenti, propongo prima un sunto ampio e fedele, che funge da bussola interpretativa.
🟠 Perché “Carpe Koi”?
Il titolo scelto da Lorenzo Merlo è breve, poetico, ma estremamente carico di significato. Le carpe koi, note per la loro eleganza e calma, sono pesci da laghetto ornamentale. Vivono in ambienti chiusi, regolati, artificiali, dove tutto è previsto: dallo spazio vitale al cibo, dalle condizioni ambientali al ritmo quotidiano. Non conoscono l’acqua viva, né la corrente imprevedibile.
In apparenza pacifiche e fortunate, le koi sono simbolo di una bellezza addomesticata, di un adattamento che ha un prezzo: la rinuncia alla libertà.
🔍 Significato metaforico nel contesto del testo
Nel saggio, Merlo usa Carpe Koi come metafora dell’essere umano moderno: apparentemente protetto dal comfort tecnologico, dalla digitalizzazione e dall’efficienza dei sistemi automatizzati, ma in realtà contenuto, sorvegliato, ammaestrato.
Le carpe koi rappresentano l’uomo nel “campo chiuso”: quello regolato da norme, algoritmi, protocolli, dove ogni deviazione è sanzionata o esclusa. L’umanità è così spinta a interiorizzare la propria prigione, a scambiare il controllo per benessere, l’adattamento per progresso.
Il titolo diventa quindi un’allusione diretta alla condizione psicologica e sociale dell’uomo contemporaneo: un essere che ha dimenticato il campo aperto — l’ignoto, la creatività, la relazione viva — e che nuota, soddisfatto, nella vasca disegnata da altri.
Lorenzo Merlo analizza l’impatto crescente dell’intelligenza artificiale, sostenendo che essa sta assumendo il controllo di tutti gli ambiti della vita definiti da regole rigide e processi ripetibili — i cosiddetti campi chiusi. In questi spazi meccanici e prevedibili, la macchina è destinata a sostituire completamente l’uomo. Ma il vero pericolo, secondo l’autore, non è tecnico: è politico, culturale ed esistenziale.
La classe dirigente globale, affiancata da scienziati e razionalisti “da divano”, promuove e impone un modello di società dove anche le relazioni più profonde, emozionali e imprevedibili vengono lentamente indotte alla codifica. L’obiettivo? Rendere l’umano stesso replicabile e sostituibile, con il suo consenso — attratto dall’efficienza e sedotto dal comfort offerto dalla tecnologia.
Merlo distingue nettamente il campo chiuso (regolato, prevedibile, controllabile) dal campo aperto (creativo, emotivo, caotico). Il primo appartiene alla logica dell’IA e della fisica classica; il secondo è il territorio della libertà umana, della fisica quantistica e dell’imprevedibilità delle emozioni. Ma il campo aperto viene progressivamente marginalizzato, trasformato in leggenda, favola da raccontare ai bambini.
Nel futuro tracciato dalle élite, anche la poesia potrà essere generata da algoritmi e la moralità stessa diventerà un codice di condotta automatizzato, diffuso per via subliminale. La società sarà governata da strumenti digitali imposti, venduti e aggiornati dalle multinazionali, mentre i cittadini saranno ricattabili attraverso sistemi di punteggio, premi e punizioni.
Chi tenterà di sottrarsi a questo meccanismo sarà trattato come un eretico moderno: escluso, punito o ridicolizzato. Gli ultimi a vivere nel campo aperto saranno pochi, tollerati solo per rafforzare il controllo sulla massa. La maggioranza, ammaestrata, diventerà strumento di repressione della minoranza critica. Si profila così un mondo dove l’uomo, dimentico della propria dimensione energetica e sottile, abdica a se stesso per inseguire un’illusione di progresso e razionalità, dominato da un potere invisibile ma onnipresente.
📘 Segue il testo integrale di Lorenzo Merlo:
CARPE KO
L’intelligenza artificiale sostituirà l’uomo in tutte le circostanze chiuse, d’ordine meccanico, ovvero quelle in cui gli elementi in campo sono limitati, hanno relazioni pressoché fissate da una dialettica ciclico-ripetitiva. Tutto ciò è già evidente e di comune condivisione. Ciò che manca al discorso, e che lo rende rovente, sta nella prospettiva, segreta alle moltitudini, ma sempre più affilata dai potentati che la vogliono imporre, la progettano e la applicano, per cui l’uomo e il suo maggior numero di relazioni possibili, prima libere e aperte, di matrice emozionale, saranno – con espedienti d’ordine vario – indotte alla codifica, affinché possa venire destituito con suo stesso beneplacito. Un benestare che comporta la sua stessa morte, ma al quale non potrà sottrarsi perché l’efficienza della macchina sarà convincente a 360°.
È su questo fondo che gli scientisti e i loro soci divanisti, vero zoccolo duro, accondiscendente e primo tifoso dei potentati, ci stanno trascinando, tronfi della supremazia del razionalismo.
Il campo chiuso sarà, quindi, dominio dell’intelligenza artificiale, panorama fagocitatore dell’operatività umana. Sembra un inno alla disoccupazione, all’assegno di cittadinanza, al bromuro necessario a sedare qualche irriverente che, invece di ringraziare il sistema, che si prende cura di lui e di tutti, vorrebbe prendere le distanze e ribellarsi alla sostituzione dell’umano. Non ha costituito lui le politiche capitalistiche, l’opulenza, il consumismo. Lui se ne è nutrito, non poteva sottrarsi, ma non vuole ora pagare il conto di un ristoro imposto dall’alto.
Il campo chiuso corrisponde a quanto è regolato da norme e leggi e consuetudini, anche biologiche. Non rispettarle non equivale ad aprire il campo ma a esserne esclusi. Basta provare, per esempio, a usare la seconda mano per mescolare le carte da gioco o pelare le patate, a mandare una raccomandata senza compilare il modulo, a usare le mani per giocare a calcio o a scrivere in cirillico la firma sul documento di identità, per constatare che per permanere e muoversi nel campo chiuso è richiesto il rispetto assoluto del sistema che lo governa.
Per essere ammessi nel campo chiuso, per chi vuole entrarvi e godere del sistema che lo riempie, è necessario anche conoscerne il linguaggio, le sue accezioni e il gergo relativo, sempre pena l’esclusione, la punizione, l’ammenda, il rimprovero.
Infine, il campo chiuso tende a esprimere la sua natura ferrea e imitabile dalla macchina in modo indirettamente proporzionale alla quantità di elementi in gioco. Meno sono questi ultimi, più il campo è rigido, stabile, vero e capace di esprimere verità. Al contrario, ovvero con l’aumentare degli elementi, la chiusura è meno ermetica e tende a divenire campo aperto. Se il chiuso ha come psicologia la ripetitività, la replicazione, l’alienazione e l’attribuzione di responsabilità, quello aperto allude alla creatività, unicità, irripetibilità, alla presenza e all’assunzione di responsabilità.
Se il campo chiuso ha una natura che fa capo alla fisica classica, il campo aperto ha come referente la fisica quantistica. Uno tende alla prevedibilità delle fasi e del risultato finale, l’altro all’imprevedibilità. Uno è tendenzialmente lineare, l’altro stocastico. Uno normabile e riferibile ai numeri, l’altro no e riferibile all’infinito.
Finché le emozioni non saranno codificate – un’eventualità umanamente esiziale, tendenzialmente improbabile nonostante l’intento dei potentati – tutte le relazioni a sfondo libero e lirico non potranno essere replicate da una macchina. La volatilità delle emozioni e quindi la loro imprevedibilità nell’insorgenza, nel tipo, nella forza e nel significato, nonché il loro potere creatore e la loro incomprimibilità in paradigmi meccanicistici, tendono ad essere una garanzia della sopravvivenza della dimensione analogica, cioè umana, atollo di salvezza in un oceano di vita amministrata dai detentori della comunicazione, con l’indispensabile sostegno della moltitudine di proboviri mandati in prima linea a loro insaputa.
La crescente potenza di calcolo e i suoi efficienti risultati, che già oggi godono di un credito a suffragio universale, costituirà il paesaggio e l’ambiente delle prossime generazioni. C’è da temere che, anche se non potrà mai arrivare a prevedere, e quindi a chiudere, tutti i cangianti campi ora aperti, la sua competenza non potrà che allargarsi fino a divenire esaustivamente convincente e incontestata, fino a essere con noi, e con nostra soddisfazione, nei momenti più personali. Una specie di morale studiata, pianificata, subliminalmente diffusa da artisti, youtuber e nuovi menestrelli del potere. E, ciò che più conta, fino a spegnere l’idea del campo aperto. Un terreno d’avventura che diventerà leggenda, e i genitori, seduti sul bordo del lettino, ne racconteranno le gesta, iniziando i racconti della sera con “C’era una volta…”
Salvo avarie del sistema, un’eventualità che – con la potenza di calcolo, gli zero errori, la massima efficienza, la massima riduzione dei tempi, il massimo smaltimento pratiche, la massima uniformità, la massima uniformità nell’esclusione delle pratiche oltre tolleranza stabilita – tende all’improbabilità, anche le poesie non necessiteranno più di poeti. Sarà a qual punto che gli uomini abiureranno a se stessi, consegnandosi a un comandante di cui non vedranno mai la faccia, come già da tempo accade in molte interlocuzioni commerciali, istituzionali e non solo.
La digitalizzazione imposta, impone l’impiego degli strumenti digitali. Le multinazionali ne godranno i guadagni per vendita, manutenzione e aggiornamenti. Ne gestiranno l’obsolescenza secondo esigenza commerciale e di controllo. La relativa dipendenza dei fruitori – cioè di tutti – quindi i ricatti legalizzati in forma di punteggi acquisiti o persi per godere o meno dell’ora d’aria, della promozione, del premio del mese, previsti dal regolamento, avranno terreno sempre più fertile per le nuove artefatte descrizioni di realtà, di fronte alle quali le nuove generazioni, senza più paragoni, si esalteranno, come a suo tempo tutti fecero con il nuovo verbo illuminista.
Se, originariamente, il terziario e l’industria erano i più esposti agli esuberi, la macchia d’olio del disastro ambientale umanistico, non lascerà libero di volare neppure l’ultimo cormorano.
E qui viene il bello.
Le persone, prese da se stesse, dimentiche della loro origine e dimensione cosmico-energetica, concependosi come entità indipendenti della vita, quindi legittimate e dedite a soddisfare le esigenze del loro egocentrismo, non hanno mancato di prostrarsi davanti agli altari dell’illuminismo e poi del materialismo e seguiteranno a non mancare di devozione nei confronti del digitale e della tecnologia, nonché del propagandato progresso offerto dall’intelligenza artificiale.
Un concerto di chimere la cui natura arimanica è vischio per le vanità, per l’avidità, unghie indolori conficcate nella carne di troppi.
Come accaduto per l’illuminismo e il suo seguito blasfemo, quella riverenza permanente tende a escludere dalla pienezza degli uomini la dimensione sottile ed energetica, di noi stessi, del mondo, delle relazioni.
C’è quindi motivo per ipotizzare rinnovate cacce alle streghe – il covid ne costituirà l’utile prodromo – rivolte contro i critici del nuovo andazzo, le voci di denuncia dell’uccisione dell’uomo, cioè della sua chiusura entro norme, schemi e paradigmi che, più che mai, lo rendono controllabile. Come vere carpe koi che non possono che esplorare una vasca ristretta, che non possono che sopravvivere di quanto viene loro fornito dall’esterno.
Il campo aperto sarà lasciato a poche occasioni e a poche persone. Privilegiati senza saperlo, in quanto campioni tollerati per alimentare il controllo sulla maggioranza. Maggioranza che crederà di operare per il bene comune, e così, secondo le norme concettuali disseminate a grappolo in tutta la comunicazione, sarà effettivamente, ma anche in questo modo chi si muoverà in campo aperto, ricavandone il guadagno per sopravvivere, sarà il corrispondente del no vax. Uno maledetto e, forse, in parte invidiato dalla massa obbediente, anzi, ammaestrata, alla quale non si mancherà di offrire, dietro impegno, il potere di agire sulla minoranza. Cioè, proboviri in difesa del potere e da questo premiati, kapò d’ultima generazione, destinatari dei nuovi status symbol, nonché dell’acritica imitazione di chi ancora arranca tra le fila senza grado sulla spallina.
Lorenzo Merlo