Il caso Abedini-Sala svela le contraddizioni di un Occidente sempre più incapace di applicare principi universali, segno di una crisi di sovranità e coerenza etica.
CASO ABEDINI-SALA: LA MORALE A SENSO UNICO
di un occidente in crisi di sovranità
di Pino Cabras
Il caso Abedini-Sala getta una luce inquietante sulla crisi morale e politica che pervade l’Occidente, evidenziando un approccio selettivo alla giustizia e ai principi che sostiene di difendere. Questo episodio non rappresenta solo una questione legale o diplomatica, ma un simbolo della progressiva perdita di sovranità e coerenza etica che affligge le democrazie occidentali
Più passano i giorni, più intorno al caso Abedini-Sala si rinfocolano gli atteggiamenti insolenti di politici e giornalisti italiani che hanno interiorizzato passivamente la visione del mondo che hanno i loro padrini neocon, i falchi liberal d’Oltreoceano e i suprematisti del Sionismo Reale. Siccome hanno quelle travi negli occhi, urlano contro le pagliuzze che vedono negli altri popoli.
Nel mio saltellare annoiato fra i diversi programmi di chiacchiere che dilagavano nei vari canali del tabernacolo infernale, ieri sera, vedevo crescere l’intransigenza di questi guerrieri da divano, che volevano intimare all’Iran la liberazione «senza condizioni» di Cecilia Sala.(1) Si è distinto su La 7 l’ex direttore di Repubblica e attuale editorialista del Corriere della sera, Carlo Verdelli, che ha dichiarato che il problema è che l’Iran, dove sta in prigione Sala, «è una dittatura e quindi non garantisce i diritti dei detenuti, mentre noi siamo democrazie e li garantiamo». Verdelli non era collegato dal lager caraibico statunitense di Guantánamo né dalla prigione inglese di Bellmarsh (che ha ospitato per anni in condizioni di tortura Julian Assange) ma da uno studio televisivo, e questo gli bastava per volerci rassicurare e per dare sante lezioni a Teheran. Ma non è l’unico che ora si mette a fare il “ganassa” (direbbero a Milano) o il “barrosu” (diremmo in Sardegna). È tutto un sollevarsi di ditini puntati in direzione della Persia per dire: “spetta solo e soltanto a voi fare qual cosa, dunque scarceratela!”
A Teheran, dove da decenni subiscono assedi economici unilaterali (impropriamente dette sanzioni), pressioni terroristiche e di intelligence in forma di attentati sul suolo iraniano e sedizioni, campagne coordinate di mostrificazione, infiltrazioni del Mossad e della CIA, figuriamoci se leggono la vicenda di Cecilia Sala con la stessa lente di Verdelli e di tutti gli altri interventisti nostrani. Dalla loro lente vedono una giornalista che lavora in un quotidiano fondato da uno che ha servito la CIA, un giornale che supera in zelo sionista persino le veline del Mossad e che tace in modo miserabile sulle condizioni orribili delle migliaia di detenuti palestinesi nonché sulla strage di giornalisti a Gaza.
Figuriamoci quanto credono alle lacrime italiche sul giornalismo libero e sulle condizioni carcerarie mentre è in corso una guerra ibrida e tutto l’Occidente si fa da anni parte belligerante macinando milioni di vite nel mondo. Attenzione: non pongo queste osservazioni a nessuna giustificazione di eventuali trattamenti ingiusti e disumani. Credo sinceramente nella necessità di riportare a casa Cecilia Sala nelle migliori condizioni e intatta. Faccio queste osservazioni per ricordare una cosa molto semplice: se c’è chi vuole polarizzare la questione salendo su un piedistallo morale, qui può galvanizzare qualcuno, ma fuori dall’Occidente offre il fianco a ogni tipo di obiezione in ragione di fatti concreti che costano sangue a chi ci osserva.
L’arresto sul suolo italiano dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, un libero cittadino e non certo un terrorista, è stato l’ennesimo atto di obbedienza vassalla agli Stati Uniti, che danno veste giuridica unicamente ai loro interessi, che non collimano con i nostri né con quelli dei soggetti sovrani nel campo del diritto internazionale. Le autorità iraniane hanno compiuto un arresto che può risolversi impedendo l’estradizione di Abedini negli USA. A sua volta, la scarcerazione di Abedini può creare una frizione fra l’Italia e gli Stati Uniti perché romperebbe una prassi di obbedienza, sempre pretesa vigorosamente da Washington. Capirete che a Teheran hanno buon gioco a dire il classico: “non è un problema nostro”. Infatti, è un problema delle classi dirigenti italiane che non brillano per rivendicazioni di sovranità. Come per altre questioni, anche per questa la soluzione implica un atto di autonomia e sovranità, con buona pace di ogni “barrosu” che voglia dettare l’agenda a un mondo che ha già pesato bene la nostra morale e ci osserva sconcertato mentre “ce la raccontiamo”.

Approfondimenti del Blog

(1)
La Giornalista Cecilia Sala
I suoi “Pezzi”
Cecilia Sala, quando scriveva: “I russi in fuga dagli ucraini a piedi nudi”, Borgognone: “Ridatecela, siamo a corto di barzellette”
Il Foglio. 26 novembre 2022 titolo “Sul campo di battaglia neanche il freddo sta con Putin – I 300 mila kit artici di Kyiv contro i mobilitati russi che non hanno i calzini e abbandonano il fronte“.
Paolo Borgognone: “Sblocchiamo un ricordo del fenomeno paranormale Cecilia Sala, la giornalista arrestata in Iran. Vi prego ridatecela perché senza questi articoli sui russi in fuga dal fronte a piedi nudi ci sentiamo tutti più a corto di barzellette. Possiamo fare uno scambio equo: i resti di Gino Bramieri in cambio della Sala viva e intatta“.
E ancora: “Kyiv ha riconquistato la regione di Kharkiv e Kherson senza spargimenti di sangue da una parte o dall’altra, ma perché i russi si sono scoperti deboli e sono scappati (nel primo caso) o si sono ritirati ordinatamente (nel secondo). D’inverno sono più deboli“.,
La Sala scriveva all’epoca: “Mosca ha cominciato la sua invasione totale il 24 febbraio e tre settimane dopo ha dovuto abbandonare il nord e le ambizioni sulla capitale perché nella colonna di mezzi lunga sessanta chilometri che marciava verso Kyiv le prime file avevano finito cibo e carburante, rischiavano di morire per ipotermia“. Una giornalista senza la curiosità storica che dovrebbe avere ogni giornalista che si fregia di quel titolo ricordando il colpo di stato del 2014 iniziato in piazza Maidan
”In una intervista Victoria Nuland che, come sappiamo, è stata la “curatrice” dell’operazione Maidan costata 5 miliardi di dollari per organizzare piazza Maidan, ha ammesso apertamente che il motivo per cui Boris Johnson è volato a Kiev alla fine dei colloqui di pace tra Ucraina e Russia, svoltisi nel marzo del 2022,(*) era quello di far naufragare l’accordo, in modo che i produttori di armi statunitensi potessero andare avanti con i loro mega accordi previsti per rifornire il Paese. Si tratta di un’ammissione importante perché mostra che la guerra in Ucraina e la russofobia occidentale è sostanzialmente innestata sul denaro. Questo di certo indigna, ma non stupisce: che vi sia una relazione tra conflitti e profitto delle classi di comando è un fatto scontato