La forza creativa che ci permette di vedere oltre il presente e reinventare il possibile

CHE COS’È L’IMMAGINAZIONE?

di Giovanni Fava

L’immaginazione è un processo mentale che ci consente di creare idee e immagini nella nostra mente, fondamentale per la creatività, la risoluzione dei problemi e la comprensione empatica della realtà


«È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo». Nonostante la paternità di quest’affermazione sia contesa, è in Mark Fisher che troviamo la sua espressione più radicale. In un saggio ormai divenuto celebre[1], Fisher sostiene che la pervasività del capitalismo sia tale da aver compromesso la stoffa stessa della realtà, trasformando i suoi abitanti nel pubblico inerte di uno spettacolo rovinoso: la distruzione di ogni ideale, la saturazione del senso del futuro, lo svuotamento della possibilità di cambiare le cose. In una parola, la fine della storia.

Marx stesso, nel Capitale, impostava le premesse di un discorso simile. Secondo Marx, il valore di scambio (il valore che una merce assume quando entra nel mercato) astrae integralmente dal valore d’uso (l’utilità concreta di un bene), rovesciando il rapporto tra l’utilità materiale di un oggetto e il suo valore così come determinato dallo scambio. Quando questo processo di progressiva astrazione dal valore d’uso e sussunzione nel valore di scambio si dispiega, i soggetti che ne fanno parte da attori divengono agiti, si ritrovano cioè “sussunti” come componenti di un unico grande “organismo”[2], il modo di produzione capitalistico, che, similmente a un vampiro, ne fa degli strumenti al servizio della produzione di valore. Anche il loro desiderio, e con esso i loro pensieri e i loro corpi, sono plasmati in funzione di tale processo. Fisher spinge ancora più in là questo discorso: il lavorio di decomposizione innescato dal capitalismo, infatti, è addirittura filtrato nei nostri cervelli, alterandone le funzionalità cognitive fin nella loro materia cerebrale. Passivo zombie postmoderno, l’essere umano del nuovo millennio è l’ultima frontiera di estrazione del valore. Di fronte a un mondo che cade in rovina, eroso dall’accumulazione capitalistica, egli non può ribellarsi, ma – come ci ha raccontato David Foster Wallace – cercare gli ultimi residui di sadico godimento nell’annullamento del sé davanti a questo spettacolo: infinite jest[3].

Ora, in tutto il testo di Fisher la parola “immaginazione” ricorre una volta soltanto. Essa non è mai problematizzata e, soprattutto, Fisher ne inquadra la definizione specularmente all’individuo che ritrae nel suo Realismo capitalista, un individuo preso singolarmente, isolato, un atomo in una società di atomi. A dire il vero, tale impostazione non è nuova, ma si riaggancia a una modalità tipica della filosofia occidentale di concepire il soggetto e, insieme a questo, la facoltà dell’immaginazione. L’impostazione di Fisher segue il paradigma che, con Vittorio Morfino[4], possiamo definire dell’intersoggettività: si tratta di un modello teorico costituito attraverso l’istituzione di uno «spazio d’interiorità», secondo il quale il soggetto preesiste al mondo, e viene in contatto con esso solo dopo aver fondato la certezza assoluta di sé stesso. Centrale nella costruzione di questo paradigma è il gesto speculativo denominato da Morfino «taglio cartesiano»[5], che opera separando un dentro (l’ego sum) da un fuori, del quale solo l’io può assicurare l’esistenza. L’altro, in questo senso, non può essere che un alter ego, un duplicato posticcio della coscienza. Non solo: il mondo si ritrova trasformato in una mera immagine interiore, vale a dire nell’introiezione – di nuovo, posticcia – entro il perimetro della coscienza di un di fuori. Di qui, l’idea dell’immaginazione come di una sorta di “soglia”, appunto, tra l’interno e l’esterno; una soglia che è anzitutto il prodotto di una facoltà individuale di generare immagini della realtà lì fuori, deformate però dal filtro soggettivo, e quindi meno reali del mondo stesso.

Cosa accade, però, all’immaginazione, se rifiutiamo la separazione tra un dentro e un fuori istituita dalla cesura cartesiana? La corrente “sotterranea” del materialismo spinge in questa direzione, ed è nell’ontologia di Spinoza che ne troviamo un caso esemplare. Come nota Morfino, in Spinoza il “modo”, vale a dire la modulazione (finita o infinita) della sostanza, è sempre in alio: esso non rinvia a un sostrato ultimo “più reale”, ma è inserito in una trama relazionale senza la quale non potrebbe essere né essere pensato. Scrive Morfino: «il modo è dunque costitutivamente apertura e relazione, e questo su un duplice piano, quello dei corpi e quello delle menti»[6]. Ogni corpo, così come ogni mente, è continuamente affetto e rigenerato da altri corpi, e da altri menti. Di più: la sua genesi è questo processo di rigenerazione e di affezione.  Ecco il paradigma transindividuale: al primato del substrato di coscienza si sostituisce qui il primato della relazione, all’individuo già formato il processo di individuazione, alla preesistenza del soggetto sul mondo la co-costituzione reciproca di queste due polarità. Da tale prospettiva, la nozione stessa di mente, così come quella di corpo, subiscono un rovesciamento decisivo. Dal momento che, in Spinoza, la mente non è altro che l’idea del corpo, e il corpo è già da sempre aperto alle affezioni che provengono da altri corpi e in relazione costitutiva con esse, il perimetro della soggettività sfonda il campo della sfera interiore, per venire immediatamente dislocato sul piano della comunità. Ontologia e politica s’intrecciano in questo spostamento: io sono io non perché esisto come individuo che poi incontra l’altro, ma perché il mio corpo e la mia mente sono sin da principio plasmati da questi altri che sono me. Da struttura oppositiva, ego alter ego si ritrovano allacciati in un chiasma che li precede, un chiasma che si distende e raccoglie l’intero campo della società.

Declinata in questa chiave transindividuale, l’immaginazione perde allora lo statuto di facoltà soggettiva. Non più soglia tra interno esterno, essa rappresenta, in Spinoza, l’espressione della potenza della moltitudine, il vettore attraverso cui i corpi e le menti della collettività convergono per rapportare «le cose […] a dei simboli che uniscono determinate istituzioni a una “realtà” altra»[7]. Come hanno sottolineato, in forme differenti, Toni Negri e Cornelius Castoriadis, l’immaginazione così intesa è costitutiva; anzi, produttiva: essa dà forma alla realtà, la costruisce. Scrive Negri:

L’immaginazione produttiva è una potenza etica. Spinoza la descrive come una facoltà che presiede alla costruzione ed allo sviluppo della libertà – che sostiene la storia della liberazione. Res gestae. Costruzione della ragione collettiva e della sua interna articolazione. E salto in avanti – immaginazione come Ursprung dell’etico. Potenza costitutiva attraverso continui decentramenti, spiazzamenti dell’essere etico[8].

Anche Castoriadis ne fornisce una definizione simile quando denomina “radicale” l’immaginazione, in virtù del suo potere creativo, che plasma la radice della realtà stessa: «L’immaginario di cui parlo non è immagine di. È creazione incessante ed essenzialmente indeterminata (sociale-storica e psichica) di figure/forme/immagini, a partire da cui soltanto si può parlare di “qualche cosa”. Quelle che noi chiamiamo “realtà” e “razionalità” sono le opere di questo immaginario»[9]. Non potremmo essere più lontani dall’idea di immaginazione come immagine interiore di un mondo esterno, da essa indipendente.

Ora, come già accennato, il soggetto di questa potenza immaginativa non è il singolo individuo, ma la moltitudine, la rete modale di corpi e menti che manifesta la sostanza e la esprime senza mediazione[10]. Ci sono qui due punti da sviluppare. Il primo riguarda la forma di organizzazione propria alla moltitudine. Stando di nuovo a Negri, «la capacità di prendere decisioni e di mettere insieme le persone [assembly] non richiede una centralizzazione ma può invece realizzarsi direttamente nella moltitudine, democraticamente»[11]. La moltitudine non è uno sciame anarchico che distrugge le istituzioni, ma un corpo collettivo la cui potenza può essere raccolta ed espansa da esse. Di nuovo Negri ed Hardt: quelle della moltitudine non sono «istituzioni che ci comandino ma che possano favorire continuità e organizzazione, istituzioni che ci aiutino a organizzare le nostre pratiche, gestire le nostre relazioni e prendere decisioni insieme»[12].

Il secondo riguarda il carattere eminentemente ecologico dell’idea di moltitudine abbozzata nello Spinoza di Negri. Ogni mente e ogni corpo affetta la nostra mente e il nostro corpo, che si trovano in questo modo decentrati rispetto a sé stessi. Il processo di individuazione è orizzontale, procede per stratificazioni che raccolgono temporalità multiple (il tempo dei nostri ricordi, il tempo della decisione politica, il tempo fisiologico del nostro corpo), emerge sotto la spinta di una moltitudine – che è sempre più che umana – che lo precede. Ciò significa che la moltitudine si compone di una rete di rapporti che, quanto più è allargata, tanto più è potente, e quanto più è potente, tanto più esprime il potenziale accumulato nel passato e il potere di azioni future. Questo futuro rimane ora da attualizzare.

Giovanni Fava

 

 

 

 

 

 

 

  • [1] M. Fisher, Capitalist Realism, Zero Books, Winchester, 2010, trad. it. di V. Mattioli, Realismo capitalista, NOT, Roma, 2018. Com’è noto, Fredric Jameson prima di Fisher avrebbe usato un’espressione pressoché identica per descrivere la logica culturale del tardo capitalismo.
  • [2] K. Marx, Das Kapital, Kritik der politischen Ökonomie,Verlag, Amburgo, 1872, trad. it.di D. Cantimori, Il Capitale. Volume I, Editori Riuniti, Roma, 1980, pp. 420-429.
  • [3] D. F. Wallace, Infinite Jest, Little, Brown and Company, Boston, 1999, trad. it. di E. Nesi, Infinite Jest, Einaudi, Torino, 2016.
  • [4] V. Morfino, Intersoggettività o transindividualità? Materiali per un’alternativa, Manifestolibri, Roma, 2022.
  • [5] V. Morfino, Intersoggettività o transindividualità?, cit., p. 15.
  • [6] Ivi, p. 229.
  • [7] C. Castoriadis, L’institution imaginaire de la société, Seuil, Paris, 1975, trad. it. di E. Profumi, L’istituzione immaginaria della società, Mimesis, Milano-Udine, 2022, p. 129.
  • [8] A. Negri, Spinoza sovversivo. Variazioni (in)attuali, Pellicani, Milano, 1992, p. 10.
  • [9] C. Castoriadis, op. cit., p. 55.
  • [10] L’evoluzione del rapporto tra modo e sostanza, da una forma mediata dell’attributo presente nelle prime due parti dell’Etica a una forma immediata elaborata nelle ultime parti e nel Trattato Politico rappresenta secondo Negri la radicalizzazione dell’idea di democrazia. Cfr. T. Negri, Spinoza, Deriveapprodi, Roma, 2023.
  • [11] A. Negri e M. Hardt, Assembly, Oxford Univ. Pr., Oxford, 2017, trad. it. di T. Rispoli, Assemblea, Ponte alle Grazie, Roma, 2018, p. 83.
  • [12] Ibidem.

Giovanni Fava

Classe 1996; filosofia, Antropocene, geologia. Perlopiù passeggio in montagna.

 

 

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