Cos’è cambiato dalla fine degli Anni ’60 e inizio Anni ’70 ad oggi?

la Gauche in Redazione. Attenta, scrupolosa, intransigente

CHI HA PAURA DELLA PACIFICAZIONE? LA GAUCHE IN REDAZIONE


Istanbul 1969. Cena in un ristorante con piano bar. Il pianista vede la sala piena di europei di varie nazioni, non più giovani, e suona musiche dei rispettivi Paesi. Poi partono le prime note di Lili Marleen. Improvvisamente si alza un gruppo di turisti tedeschi e cantano. Seguiti da italiani, francesi, inglesi. La stessa canzone in lingue diverse. E alla fine gli ex soldati, che 25 anni prima si combattevano senza sosta, brindano gli uni alla salute degli altri, riconoscendosi reciprocamente come valorosi impegnati ora a costruire una nuova Europa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La drammatica storia di un’iconica canzone d’amore, dei suoi tre creatori e delle loro vite sotto i nazisti.

“Lili Marlene”, l’improbabile inno della Seconda Guerra Mondiale, superò le linee del fronte e le divisioni ideologiche, unendo i soldati di tutto il mondo. Questa canzone d’amore, che racconta la storia di una giovane donna che aspetta il ritorno del suo amante dal campo di battaglia, iniziò come una poesia scritta da un soldato tedesco durante la Prima Guerra Mondiale. Le parole del poeta-soldato trovarono la loro strada nella decadente scena del cabaret berlinese nel 1930, dove furono musicati da uno dei compositori preferiti di Hitler. La cantante della canzone, però, si ritrovò presto combattuta tra il desiderio di fama e un odio personale nei confronti del regime nazista. In una narrazione avvincente e ricca di suspense, le straordinarie storie di arresti e scontri ravvicinati dei tre artisti si intrecciano con i ricordi dei soldati di tutti gli schieramenti che si fecero strada attraverso deserti e città, cercando conforto e trovando speranza in “Lili Marlene”. 

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Rai, 1972. Le cantanti Giovanna e Anna Identici si esibiscono in un duetto. La prima intona Camerata Richard, un brano che celebra gli alleati tedeschi. La seconda canta Compagno partigiano che è la versione antifascista e bolscevica del medesimo brano fascista.

Rai, La 7, Mediaset, 2024. Giornalisti con la bava alla bocca si impegnano nella caccia al neofascista.(1) Denunciano saluti non appropriati, indagano su cori da stadio che possano ricordare musiche del Ventennio, strillano contro chi rende omaggio a morti non approvati dalla gauche in redazione, impongono epurazioni di chi ostenta simboli che, nella profonda ignoranza dei giornalisti italiani, ritengono legati a divisioni delle Waffen SS.

Cos’è cambiato dalla fine degli Anni ’60 e inizio Anni ’70 ad oggi? Cosa ha impedito che un doveroso processo di pacificazione proseguisse? Cosa ha portato al delirio di una gauche intello completamente staccata dalla realtà di ogni Paese in cui si esibisce?

È un problema di legittimazione. Incompetenti, incapaci cronici o, semplicemente, pigri intellettuali si sono resi conto di poter giustificare il proprio ruolo esclusivamente con la discriminazione degli avversari, trasformati in “nemici assoluti”. Carriere costruite sull’odio perché non potevano essere basate su una inesistente competenza.  Trasmissioni inutili che vivono solo per la denuncia del nemico, per inchieste su gruppi di ragazzini inoffensivi ma con il braccio teso.

Non si vuole la pacificazione non per (stupidi) motivi ideologici ma solo per evidenti ragioni di potere, di interesse personale, di carriera. Non fanno paura i saluti romani ma l’eventuale concorrenza di un gruppo consistente di persone che possono rubare posti nei consigli di amministrazione, nelle nomine universitarie, ai vertici di associazioni e musei. No, nelle redazioni no. Sono luoghi a perdere, destinati all’estinzione grazie ad una gauche che garantisce cadute degli ascolti televisivi e perdite di copie dei giornali.

Redazione Electo
Augusto Grandi

 

 

 

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