”Chrysophylax è un drago. Un drago inventato da J. R. R. Tolkien in uno di quei racconti di difficile definizione critica
CHRYSOPHYLAX, IL DRAGO BUGIARDO
Chrysophylax è un drago. Un drago inventato da John Ronald Reuel Tolkien in uno di quei racconti di difficile definizione critica, che fanno da cornice alla grande saga. Al Signore degli Anelli. E al mondo, misterioso e fantastico, di Arda.
Da dove venga questo drago non è facile dire. La conoscenza che il professor Tolkien aveva delle saghe nordiche, delle leggende medievali, delle diverse mitologie era, praticamente, sterminata. E la sua capacità di sintesi immaginifiche, di fatto, inarrivabile.
Comunque, il racconto “Il cacciatore di draghi” è ambientato in una specie di Britannia fantastica. Lo sfondo perfetto per una favola. Dove si muovono, appunto, il cacciatore, altri personaggi come il Re, e soprattutto lui. Chrysophylax. Il Drago.
Che, però, è un drago tutto particolare. Furbo di trecotte, imbroglione, vigliacco. E, soprattutto, avido d’oro e bugiardo. Perché, se non ricordo male (la lettura risale ormai ad anni remoti) il Drago prima fa danni nel paese. Poi, però, promette di ripagarli in sovrabbondanza, portando ai buoni paesani il suo, immenso, tesoro. Promette, e tutti accorrono festanti. Arriva anche il Re, perché spera di arraffare qualcosa anche lui. Promette non mantiene. E allora…
E allora l’eroe comincia a dargli la caccia con la sua spada magica. E Chrysophylax, che oltre che bugiardo è anche un gran vigliaccone, comincia a fuggire per ogni dove. Finché…
E qui mi fermo. Perché non è mai stata mia intenzione raccontarvi Il Cacciatore di draghi. Né osarne l’esegesi critica e filologica. Amo Tolkien. Ma lascio ad altri le dotte dissertazione sulla sua opera…
Quello che, invece, mi colpisce è la personalità del nostro Drago. Perché mi sembra un qualcosa di (abbastanza) unico. Una invenzione originale. E suggestiva.
Nella tradizione, nelle leggende, i draghi sono, in genere, feroci. Per lo meno in quelle occidentali. Crudeli. Allegorie del diavolo. O, addirittura, dell’Anticristo. Il San Giorgio che li combatte e uccide sembra la traduzione in armatura medievale, di Michele che scaccia Lucifero dai Cieli.
Una rappresentazione che ha sempre incontrato molta fortuna. Tanto che ancora Giorgio De Chirico, nella sua estrema produzione, è tornato a rivisitarla.
A me, però, viene in mente la tavola di Vittore Carpaccio, che si trova in San Giorgio degli Schiavoni a Venezia. E che, appunto, rappresenta San Giorgio e il Drago. Questo perché il Santo era il protettore della Confraternita dei Dalmati. Detti, appunto, Schiavoni, che fornirono, per secoli, alla Serenissima le sue, famose e temute, milizie da sbarco. I fanti da mar, che si fregiavano di un berretto rosso. E che, quando abbordavano le navi nemiche, lanciavano il famoso grido: Merda o Bareta Rossa!
Erano gli eredi delle fanterie da sbarco di Bisanzio. E gli antenati dei Royal Marines britannici. Infatti, Benjamin Disraeli si ispirò agli Schiavoni veneziani per crearli…
Comunque, Carpaccio era un buon pittore. Di stile antico, visto che opera a cavallo tra il XV e il XVI secolo, e le sue fortune tramontano con l’affermarsi di Leonardo, Raffaello, Michelangelo…ben altra storia.
Tuttavia il suo San Giorgio ha qualcosa di particolare. Perché trafigge il Drago nella bocca. Anzi, gli trapassa proprio la lingua.
Ê una immagine che mi ha dato sempre da pensare. Il primo a farmela notare fu il vecchio S. B., uno steineriano che frequentai quando non avevo ancora diciotto anni. Lui col Carpaccio, e sopratutto con quella tavola di San Giorgio era proprio fissato. Ne parlava sempre, soprattutto della lancia che trafigge la lingua. Perché, diceva, il Drago rappresenta la menzogna. La Grande Menzogna.
Ora non ricordo bene tutte le spiegazioni sul simbolismo del quadro, i riferimenti al Serpente del Paradiso Terrestre. Al Gerione di Dante e al suo legame con l’usura. Che, come scrive Ezra Pound, distrugge arte e bellezza. E riduce la vita umana a merce, priva di luce spirituale.
Però, appunto, questo drago che rappresenta la menzogna mi è restato impresso.
Ed è anche, come tutti coloro che mentono, un grande vigliacco. Come in Tolkien. Uno che promette. Deruba e impoverisce. Poi fugge, per non pagare dazio….
Insomma, dirà a questo punto qualcuno, con tutte ste citazioni, Tolkien, Carpaccio, Dante… solo a questo miravi alla fine. Ad una, bassa, polemica politica…
E invece no. Smentisco. Piuttosto, gli avvenimenti di questa sera hanno confermato una certa idea che mi frulla in capo da un po’ di tempo.
La letteratura, l’arte forniscono, sottotraccia, dei codici per decifrare quella che noi chiamiamo realtà. E che, per altro, presa di per se stessa appare alquanto… banale. Mentre se letta attraverso il filtro della poesia e dell’arte assume ben altro spessore.
Pensateci…
Il Drago bugiardo ha illuso tutti. Ha distrutto e fatto danni irreparabili. Promettendo, però, un grande tesoro che lui, e solo lui, avrebbe potuto portare.
Però il tesoro non arriva. Semplicemente perché non c’è. E non c’è mai stato. E così il Drago fugge. Lasciando tutti nelle peste. Anche l’avido Re che pensava di guadagnarci. Fugge. E va altrove. A fare, si può presumere, altri danni. Per lo meno fino a che non verrà la spada magica a porre fine alle sue menzogne…
Ditemi… non è meglio raccontare così una storia? Non è più… illuminante e, in fondo, significativo, che stare lì a leggere, in queste ore, le caterve di assurdità, di dichiarazioni ipocrite che vengono riportate dalle agenzie di stampa?
Ditemi voi… Io continuo a preferire il racconto fantastico di Tolkien. Che dice molte, ma molte più verità…
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