”Trovarsi al bar è diverso…
CI TROVIAMO AL BAR
“Beh, alla fin fine, nei piccoli centri, nei paesi di montagna per esempio, che altro hanno da fare gli uomini se non andare al bar?”
Ci penso un attimo. Vero. Però esprimi male il concetto. Non vanno al bar. Si trovano al bar. E, ti assicuro, è cosa davvero molto diversa.
Chi abita in una grande città, fa, ormai, molta fatica a cogliere la differenza. Perché, qui, si va al bar per prendere un caffè. Per un aperitivo. O anche per quella moderna moda che sono gli Happy Hour…Che, poi, mi sono sempre chiesto perché la chiamino “felice”. Nelle rare occasioni, vi ho visto solo gente affannata, sudaticcia, in lotta per raggiungere il bancone con gli stuzzichini. Musica a palla. Quasi impossibile conversare. Ma conta poco. Perché nessuno partecipa a ‘ste robe per parlare con altri. Solo per stordirsi. Per ottundere la solitudine.
Trovarsi al bar è diverso. È andare in un luogo noto. Dove, più o meno meno, tutti si conoscono. Dal barista all’ultimo avventore. E dove tutti parlano. Tutti ti salutano per nome. O, per lo meno, per appellativo. Talvolta i toni di voce si fanno stentorei. Si discute. Il vino, in molti casi, aiuta. In altri momenti tutto è tranquillo. Si parla a bassa voce…ci si sente…a casa. E, soprattutto, in compagnia.
Il bar di questo tipo è, di fatto, l’erede delle storiche osterie. Chi abbia memoria degli, ormai storici, film di Don Camillo tratti dai racconti di Guareschi, quelli con Fernandel, – davvero prete, con quella lunga tonaca e la faccia da cavallo – e il grande Gino Cervi, perfetto Peppone con il mezzo toscano ta i denti, ricorderà certo le molte scene in osteria. Luogo di aggregazioni, scherzi, discussioni anche accese. Perché gli animi, con la passione e l’aiuto del vino, si scaldavano. E non era rara la scazzottata. La rissa. Le panche che volavano…. Ma anche questo faceva parte dell’appartenenza ad una comunità. Non vi era astio. E, alla fine, si tornava amici. Con qualche naso e labbro rotto. Ma amici….
Il bar come luogo di ritrovo viene narrato in molti libri. Woodhouse ne ha tratto lo scenario di fondo dei racconti dell’ineffabile Mr. Mulliner. Uno dei suoi cicli narrativi più piacevoli. Anche se lì, naturalmente, il bar, è un pub…
E Pupi Avati, uomo profondamente legato alla provincia – che è poi la vera anima del nostro paese – vi si è ispirato per uno dei suoi film migliori. Gli amici del Bar Margherita. Dove, per altro, un ruolo non secondario ha il gioco del biliardo… Che è, però, tema che meriterebbe ben altro approfondimento. Per cui, ora come ora, passo avanti…
Il bar come luogo di ritrovo è qualcosa che va svanendo. Portandosi con sé i resti di un senso di comunità, di un collante fra uomini ora sempre più raro.
I Longue Bar, gli American Bar oggi tanto alla moda, sono ben altra cosa. Eleganti. Raffinati, certo. Ma luoghi, in fondo, tristi. Luoghi di solitudine. Dove, il sabato sera, puoi vedere uomini eleganti (e anche donne, se è per questo) bere da soli in attesa, forse, di un qualche incontro occasionale. Ma comunque soli. Tristemente soli. E non vi è un Giorgio Gaber che canti: Barbera e Champagne…
Il vecchio bar, in città, è merce rara. Per questo mi piace quello di Tony, nel cuore del Tufello. Ancora punto di ritrovo di una, variopinta, umanità. Ma regge solo per la, strenua, volontà di resistenza del proprietario. Tony, in fondo, è una specie di Leonida. Difende, quotidianamente, le sue, personali, Thermopili…
In provincia ci si salva ancora. In zone montane soprattutto. Quando arrivo a Pergine, in Valsugana, e vado, subito, con Daniele al Cavalet, Gabriele, il padrone, mi saluta affabilmente. E mi versa subito un calice fresco.
Beh, devo confessare che lì mi sento davvero bene. A casa
Fonte: ElectoMagazine del 5 luglio 2022