«Nel mio cuore c’è troppo dolore per riuscire a dire “ti amo”»

Non si sentiva un’attrice. Né tanto meno una sex symbol. Un film Riso amaro, e l’amore di un uomo, Dino De Laurentiis, l’avevano lanciata nell’olimpo del cinema, ma lei rimaneva una donna introversa e insicura. Non superò mai la morte della madre. Quando poi perse l’unico figlio maschio, si chiuse ancora di più in se stessa.

Procace. Elegante. Dotata di una bellezza statuaria e di un corpo giunonico. Di uno sguardo intenso e di mediterranea sensualità. Quando molti anni prima il regista Giuseppe De Santis si era ostinato a scritturare una sconosciuta diciannovenne romana per il ruolo principale in Riso amaro, De Laurentiis aveva obiettato: «Non sarebbe meglio un volto famoso? Lucia Bosè, per esempio». Miss Italia 1947 avrebbe rappresentato un valore sicuro, o no? Ma il regista si era intestardito a trovare «una Rita Hayworth di periferia», e voleva essere lui a lanciarla. Comunque aveva scartato centinaia di altre ragazze durante tre provini, perché gli apparivano tutte uguali, con gli occhi bistrattati e il rossetto troppo acceso. Con i capelli cotonati, un abito dalla gonna a corolla, anche la giovanissima Mangano gli era sembrata del tutto inadatta alla parte di una disincantata e spavalda mondina, in lotta per la sopravvivenza nelle risaie del Vercellese. Qualche settimana dopo aveva incrociato per caso Silvana, in via Veneto, a Roma, sotto la pioggia, struccata, con i capelli fradici e si era detto: «Eccola, è quella giusta!». L’aveva fermata, senza riconoscerla, e lei si era stupita: «Ho già fatto un provino e non mi avete voluta», tergiversava. «Torna domattina alla Lux Film», aveva insistito De Santis, «e facciamo una nuova audizione».

 

 

 

 

 

 

Non era ambiziosa come le altre

Era l’estate del 1948 e Silvana, figlia di un ferroviere siciliano e di una casalinga inglese, era tutt’altro che decisa a lanciarsi nella carriera cinematografica. Aveva vinto a 16 anni il concorso di Miss Roma. Risollevata dalla miseria della Seconda guerra mondiale, Silvana inizia a studiare danza (per sette anni) e recitazione – per pagarli lavora come modella – fin dai primi anni dell’adolescenza. È proprio durante uno di questi corsi che incontra il suo primo grande amore, uno studente di recitazione che si chiamava Marcello Mastroianni al quale rimarrà legata per una dolce ma breve relazione che lei stessa, col passare degli anni, così “Ci conosciamo da sempre. A Roma da ragazzi abitavamo nello stesso quartiere, innamorati. Io sedici anni, lui ventidue. Marcello non l’ho mai dimenticato, anche perché una volta mentre ci baciavamo su una panchina, sorprese un guardone, lo affrontò, gli tirò un pugno, quello si scansò… e Marcello colpì un tronco d’albero. Così negli anni, ogni volta che quel pollice gli ha fatto male, si è ricordato di me”.

Era bella e non lo sapeva, era brava e non ci credeva. Neppure quando Riso amaro fu candidato all’Oscar come miglior soggetto si vantò di aver contribuito al successo. Troppo tardi per fare dietrofront: Dino De Laurentiis aveva perso la testa per lei e deciso di spalancarle le porte di Cinecittà, di guidarla proteggerla nei labirinti di una professione piena di insidie. E, già che c’era, anche di sposarla.

Una diva molto obiettiva

La prorompente bellezza di Silvana Mangano ne aveva fatto presto una diva internazionale e i caratteri del suo nome, sulle locandine dei film, si ingigantivano a ogni nuovo film, per segnalarla ne Il lupo della Sila, di nuovo con Vittorio Gassman, e ancora a fianco di Amedeo Nazzari ne Il brigante Musolino. Il pubblico accorreva ai botteghini, nella speranza di ritrovare la mondina dai pantaloncini corti, le calze nere smagliate a metà coscia, il golfino liso e aderente sul busto generoso e il vitino di vespa che avrebbero contribuito a coniare il più evocativo degli attributi del dopoguerra: maggiorata. «Sono solo seni e gambe», aveva bocciato in blocco la categoria un caustico Vittorio De Sica, riferendosi a lei, a Gina Lollobrigida e a Silvana Pampanini. Se le altre si erano comprensibilmente offese, Silvana aveva reagito con classe: «Può darsi che lui abbia ragione». Il tempo avrebbe dimostrato che no, non l’aveva, così De Sica la diresse ne L’oro di Napoli.

Recitava per piacere, per stare bene

«Mamma non voleva veramente fare l’attrice», avrebbe raccontato un giorno la secondogenita, Raffaella De Laurentiis, «ma l’esperienza di Riso amaro, assieme alle mondine, le era piaciuta tantissimo, aveva imparato tutte le canzoni e le cantava sempre. Recitare le piaceva, ma non si sentiva all’altezza. Papà diceva sempre: «A Silvana, i film, li cucivano addosso».
Ogni volta, però, convincerla a firmare un nuovo contratto era un’impresa. Sebbene, a proporglielo, fosse qualcuno tra i migliori registi del tempo: Monicelli, Pasolini, Visconti. Cedeva per affetto o per amicizia, per esempio quando la sceneggiatrice era Susanna Cecchi D’Amico.
Non poteva mortificare il suo fisico e il suo fascino, ma cominciò, aiutata dal marito, a selezionare i ruoli, scegliendo personaggi più cerebrali che carnali, affinando il suo viso, il suo sguardo, il suo portamento: era sempre bellissima in Anna di Alberto Lattuada, però gli uomini in platea non si perdevano tra le sue curve ma nell’intensa trasformazione del suo personaggio da prostituta a suora.
Quattro maternità, nella vita reale, le davano un po’ di respiro, fra un ciak e l’altro, ma neanche in quel ruolo si sentiva del tutto a suo agio: «Non sono felice», avrebbe ammesso anni dopo, «ma ho avuto molto di più di quanto meritassi».
A Oriana Fallaci spiegò il perché, nel 1959: «Non è giusto avere tanto dalla vita senza meritarlo. E la gente lo sa, e io so che lo sa, ciò mi irrita e così divento antipatica».

Non era falsa modestia, era la sofferenza di chi si teme sopravvalutato e presagisce un tragico risveglio. Quando il marito le sconsigliò di accettare l’offerta di Federico Fellini, che l’avrebbe voluta ne  La dolce vita, come Maddalena, la moglie di Mastroianni (poi interpretata da Anouk Aimée), Silvana seguì il consiglio, sollevata, senza chiedersi se ne fosse la gelosia retrospettiva di Dino a voler scongiurare l’eventualità di un nuovo incontro ravvicinato e prolungato tra lei e il suo primo amore, Marcello. Nemmeno Silvana, del resto, teneva a mettere alla prova i suoi sentimenti. Non c’era motivo. Preferiva dedicarsi a costruire, giorno dopo giorno, quella distante freddezza in cui blindarsi come in un’armatura. Con la stessa, meticolosa precisione con cui ricamava a piccolo punto arazzi, tappeti e divani. Con la stessa ineluttabilità con cui frequentava i tavoli da gioco. Con la stessa rassegnazione con cui si rifugiava in camera, quasi volesse rendersi invisibile al destino, ai suoi figli e al marito. Li amava tantissimo, ma non riusciva a dirlo.

Era una donna di una bellezza speciale, prorompente e segreta, il profilo aristocratico, la mani affusolate, per questo Luchino Visconti la scelse per il ruolo della madre di Tadzio nel film Morte a Venezia. Nel personaggio interpretato da Silvana Mangano, il regista rivedeva sua madre. È la stessa Mangano a raccontare l’incontro con Visconti per Morte a Venezia. «Appena ci siamo incontrati lui ha parlato di questo personaggio», spiegava l’attrice «e più parlava più mi impaurivo, più parlava più pretendeva che fossi sua madre per cui mi ha dato addosso questa grandissima responsabilità, il terrore e l’incitamento a farlo. Mi disse: “Nel mio ricordo sarai abbinata a mia madre”».

 

 

 

 

 

 

Il dramma che le spezza il cuore

Nel 1981, a soli 25 anni muore in un incidente aereo il figlio Federico l’unico maschio, in un incidente aereo in Alaska, dove stava conducendo qualche sopralluogo per il padre. “Federico era più spirituale, erano molto uniti, non solo perché era l’unico figlio maschio” ricorda Raffaella “è molto difficile recuperare da una perdita del genere. Dico sempre che mamma è morta di crepacuore, è morta di dolore”. De Laurentiis sembrava convinto che fu proprio quella perdita a dividerli irrimediabilmente. “Ho avuto un’infanzia molto serena, felice”, continua Raffaella “Mamma aveva tanti hobby, era bravissima a lavorare con le mani, tovaglie ricamate, ha fatto anche i tappeti, ricamava. Amava la scultura era bravissima ha fatto busti di bronzo di tutti noi figli. Era una personalità molto artistica”.

Nel 1987, sei anni dopo la perdita del figlio, Silvana Mangano accettò di tornare un’ultima volta davanti alla macchina da presa, per interpretare Elisa in Oci ciornie, occhi scuri in russo, accanto a Mastroianni invecchiato. E chiudere così un cerchio, che doveva esserle sembrato, talvolta, una prigione.

Silvana Mangano, una diva segreta senza eredi; nessuna, tra le attrici che sarebbero diventate famose negli anni successivi, le assomiglia. Muore a Madrid nel 1989.

Aveva 59

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