La storia di Thomas De Quincey e la sua caduta nell’abisso dell’oppio

CONFESSIONI DI UN MANGIATORE D’OPPIO:

VIAGGIO NELL’ABISSO DI THOMAS DE QUINCEY

Lo scrittore descrive in dettaglio il suo rapporto tormentato con l’oppio, come la droga abbia offuscato la sua mente


Confessioni di un mangiatore d’oppio è un’opera straordinaria scritta da Thomas De Quincey nel 1821. Questo resoconto autobiografico è una profonda esplorazione della sua dipendenza dall’oppio e dei suoi effetti sulla mente e sulla vita. In questo articolo, ci immergeremo nelle pagine di questo capolavoro letterario, esplorando il suo fascino accattivante e il suo impatto duraturo sulla letteratura e sulla società.

La storia di Thomas De Quincey

e la sua caduta nell’abisso dell’oppio

Thomas De Quincey nacque nel 1785 a Manchester, in Inghilterra, e sin da giovane dimostrò un’intelligenza straordinaria. Tuttavia, la sua vita prese una svolta oscura quando, all’età di 17 anni, sperimentò l’oppio per la prima volta per alleviare il dolore fisico. Ciò segnò l’inizio di una dipendenza che avrebbe influenzato il resto della sua vita.

De Quincey descrive in dettaglio il suo rapporto tormentato con l’oppio, come la droga abbia offuscato la sua mente, lo abbia trascinato in un mondo di allucinazioni e incubi e abbia avvelenato le sue relazioni personali. Le sue “Confessioni” sono un resoconto onesto e crudo dei suoi alti e bassi, dei momenti di euforia e delle discese negli abissi della disperazione.

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Thomas De Quincey descrive vividamente gli effetti dell’oppio sulla sua psiche, trasportandoci in un mondo di visioni oniriche e terrificanti allucinazioni. La droga amplifica la sua immaginazione fino a livelli grotteschi, popolando le ombre di demoni e spettri. Quando l’effetto svanisce, si ritrova prostrato in un baratro di angoscia e prostrazione. La ricerca spasmodica del sollievo dal dolore attraverso l’oppio lo intrappola in un circolo vizioso di dipendenza. Nonostante i momenti di estasi, il prezzo da pagare è alto: isolamento, rimorso e rovina finanziaria. Le sue sincere confessioni gettano luce sui lati più oscuri della natura umana.

Il fascino delle “Confessioni”

“Confessioni di un mangiatore d’oppio”(1) ha affascinato i lettori sin dalla sua pubblicazione. La prima cosa che colpisce è la prosa magistrale di De Quincey, la sua capacità di catturare l’essenza dei suoi stati d’animo, di descrivere le sue visioni allucinatorie e di trasmettere l’urgenza e l’intensità della sua dipendenza. Ogni pagina è intrisa di una bellezza triste e struggente, che affascina e tocca il cuore del lettore.

Inoltre, le “Confessioni”(2) offrono un’analisi psicologica profonda e acuta della dipendenza. De Quincey esplora le ragioni per cui si è avvicinato all’oppio, i modi in cui la droga ha influenzato la sua mente e il suo comportamento, e il lento declino che ha accompagnato la sua dipendenza. Questo resoconto intimo e sincero ha reso le “Confessioni” un’opera di grande importanza nella storia della letteratura.

Nonostante i secoli trascorsi, il libro conserva intatta la capacità di turbare il lettore. Le descrizioni crude dei tormenti fisici e mentali inflitti dalla dipendenza trasmettono un senso di angoscia tale da far sprofondare nell’incubo. Nei momenti di lucidità, gli scritti assumono tinte ambigue e oscure: le acute riflessioni sulla natura umana coesistono con visioni allucinatorie agghiaccianti. In alcuni passaggi quasi si avverte l’alito pestilenziale che si leva dalle pagine ingiallite dal tempo. L’onestà spietata con cui De Quincey indaga le pieghe più cupe dell’animo umano spinge il lettore ai limiti dell’inquietudine, aprendo squarci vertiginosi sull’abisso che ogni creatura porta in sé. A distanza di secoli, le “Confessioni” continuano ad esercitare il loro morboso fascino, trascinando chi vi si accosta in un vortice di disperazione e follia.

Immagine di proprietà di Crono.news.

L’impatto duraturo delle “Confessioni”

Le “Confessioni di mangiatore d’oppio” hanno lasciato un’impronta indelebile nella letteratura e nella società. L’opera ha suscitato un grande dibattito sulla dipendenza e sulla sua rappresentazione nella letteratura, aprendo la strada a un nuovo genere letterario, quello delle memoir sulla tossicodipendenza.

Inoltre, le “Confessioni” hanno influenzato molti scrittori successivi. La loro prosa evocativa e la loro analisi psicologica hanno ispirato autori come Edgar Allan Poe e Charles Baudelaire, che hanno affrontato temi simili nella loro opera. Inoltre, l’opera ha contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema delle dipendenze e ha portato a una maggiore comprensione e compassione per coloro che lottano con la tossicodipendenza.

“Confessioni di un mangiatore d’oppio” di Thomas De Quincey è un’opera straordinaria che ci porta nel cuore dell’abisso della dipendenza. Le sue pagine affascinanti e toccanti ci immergono nella mente di De Quincey, ci fanno vivere le sue gioie e le sue sofferenze, e ci offrono un’analisi profonda e acuta della dipendenza dall’oppio.

Per De Quincey, l’oppio metteva su un piano di parità il reale e l’immaginario. Illustrazione di Leigh Guldig

Nel frattempo, il suo fascino cresceva: era antico, sciamanico, un legame soprannaturale con visioni ultraterrene. Potresti trovarne riferimento in Omero e Virgilio, Chaucer e Shakespeare.

Conosci il Paradiso Perduto? e ricorderete dall’undicesimo libro, nella sua parte precedente, che il laudano esisteva già nell’Eden, anzi, che veniva usato in medicina da un arcangelo; poiché, dopo che Michele ebbe “purgato con eufrasia e tristezza” gli occhi di Adamo, affinché non fosse inadeguato alla semplice vista delle grandi visioni che stavano per spiegare i loro drappi davanti a lui, successivamente fortifica i suoi spiriti carnali contro l’ afflizione di queste visioni. , di cui la prima visione fu la morte. E come? “Dal pozzo della vita ha instillato tre gocce.”

 

L’immagine di Adamo che si droga nel Giardino dell’Eden può sembrare stravagante, ma l’oppio aveva fatto di De Quincey una sorta di Adamo: nel “seno dell’oscurità, dalle fantastiche immagini del cervello”, vagò per le antiche città “oltre lo splendore di Babilonia e di Hekatómpylos”, colmo di “templi, oltre l’arte di Fidia e Prassitele”. (f.d.b.)

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Questa opera ha influenzato la letteratura e la società in modo duraturo, aprendo la strada a un nuovo genere letterario e aumentando la consapevolezza sul problema delle dipendenze. Le “Confessioni” continueranno a essere lette e studiate per molto tempo, poiché offrono un’opportunità unica per esplorare la complessità dell’animo umano e la lotta contro la dipendenza.

Sebbene la lettura del libro possa risultare disturbante in alcuni passaggi, ci offre anche uno spunto di profonda riflessione. Le descrizioni intense delle allucinazioni e del tormento psicofisico causato dalla dipendenza da oppio ci ricordano quanto sia fragile l’animo umano, ma allo stesso tempo quanto sia forte lo spirito che è in noi. Come scrisse lo stesso De Quincey: “L’uomo ha una potenza di oblio, che rende sopportabili le memorie più amare. Non solo la mente umana si dimentica delle circostanze, ma anche il cuore umano si dimentica dei sentimenti che le accompagnarono. Questa potenza di oblio è una grazia celeste, che ci consente di perdonare e di essere perdonati.”.

Le Confessioni insegnano che, nonostante le sofferenze e le debolezze, l’essere umano è capace di riscatto: attraverso l’onesta analisi di sé e il coraggio nel raccontare la propria storia, si può trovare la redenzione.

In chiusura, quest’opera rimane un riferimento imprescindibile per chiunque voglia comprendere più a fondo la natura umana e le sue continue lotte. A distanza di due secoli, il valore delle Confessioni sta nella sua grande capacità di trasmettere con sincerità estrema le emozioni più recondite, facendo riflettere ogni lettore sul significato della sofferenza e sull’indelebile desiderio di redenzione che è radicato nel cuore umano.

Cristiano Luchini

 

 

 

 

Approfondimenti del Blog

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Descrizione

Con l’opera “Confessioni di un mangiatore di oppio”, scritta nel 1821, Thomas De Quincey ottenne fama e successo, divenendo fonte d’ispirazione per scrittori come Baudelaire ed Edgar Allan Poe. L’oppio è l’assoluto protagonista, idolo e nel contempo demone della narrazione. L’affascinante testimonianza di un uomo, che intende sfatare le false convinzioni condivise in materia.
Poligrafo, erudito, grecista, Thomas de Quincey nacque vicino a Manchester nel 1785 e morì nel 1859 a Edimburgo. Dopo un’adolescenza travagliata, studiò a Oxford e in seguito, per mantenere la famiglia numerosa, intraprese la carriera giornalistica prima a Edimburgo e poi a Londra, dove divenne collaboratore del «London Magazine». Dalla sua lunga esperienza di consumatore d’oppio, De Quincey trasse ispirazione per la sua opera più famosa, le Confessioni di un mangiatore d’oppio (1822). Fra i suoi libri si ricordano La rivolta dei tartari (1837), Le avventure di una monaca vestita da uomo (1847) e Il postale inglese (1849).
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Descrizione

L’oppio come scorciatoia per raggiungere le vette della creatività letteraria: l’autobiografia di De Quincey, pubblicata nel 1822, è sincera e sconcertante fin negli eccessi e nelle ambiguità apologetiche. Racconta piaceri e delizie di questa droga, che regala una quiete atarassica, un’incredibile lucidità, una sensibilità esaltata al massimo grado. Ma non ne tace le pene: una profonda ansietà, una nera malinconia e soprattutto sogni e incubi, notturni spettacoli ultraterreni simili a una discesa in abissi senza sole, che per lo scrittore diventano subito materia per immaginifiche descrizioni. Perché al di là di tanto discorrere sull’oppio, il vero tema che percorre il profluvio lussureggiante delle Confessioni è l’inesauribile capacità di cogliere le voci segrete delle cose, che anticipa la sensibilità simbolista e fa di De Quincey il capostipite di un’intera dinastia di scrittori, da Poe a Baudelaire, da Huxley a Benn. Il volume comprende anche i racconti Suspiria de Profundis e La diligenza inglese. Introduzione di Giovanni Giudici

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