È davvero così importante conoscere un segreto…
CONFIDENZA
”Luchetti torna ad occuparsi di un romanzo di Starnone e realizza il suo film più complesso e ricco di sollecitazioni nei confronti dello spettatore.
È davvero così importante conoscere il segreto che Pietro sussurra all’orecchio di Teresa o forse un segreto, qualsiasi sia la sua natura e l’intrinseca portata emotiva, diventa sempre pericoloso e destabilizzante nel momento in cui non è più tale?
Lo spettatore può avanzare ipotesi, azzardare congetture, farsi influenzare dai velati e forse fuorvianti segni che il regista Daniele Luchetti dissemina qua e là, credendo che il senso profondo del film possa emergere solo dal disvelamento di poche parole bisbigliate, per poi scoprire che, in fondo, non è il segreto, ma la sua confidenza, l’anima del film.
Pietro, stimato professore di lettere in un liceo della periferia di Roma, si ispira a quella che lui stesso definirà in un saggio la “pedagogia dell’affetto”, lasciando un “segno” nei suoi allievi.
L’apparente limpidezza di una vita come tante si scioglierà in acque torbide quando Teresa, un’ex allieva con la quale intrattiene una relazione passionale e tumultuosa, gli chiederà, per sigillare in eterno la loro unione, di confidarsi, reciprocamente, un segreto.
Il segreto di Pietro, come dirà Teresa, se venisse portato alla luce potrebbe rovinare, irreparabilmente, l’immagine che il mondo ha di lui.
Ciò che apparteneva all’invisibile diviene visibile, il segreto confessato comincia a trasformarsi in qualcosa di tangibile e a insinuarsi come liquido vischioso nella mente di Pietro.
Il protagonista si ridesta prendendo consapevolezza di ciò che ha fatto, o crede di aver fatto, e la sua esistenza diviene uno stillicidio di giorni carichi di angoscia, popolati di fantasmi e allucinazioni. Confusione interiore sottolineata magistralmente dalla colonna sonora, composta di musiche discordanti, sonorità acquatiche e vetrose, miscuglio parossistico di suoni che ben esprimono la dicotomia interna del personaggio.
Teresa, da donna reale, assume sempre più la forma dilatata della coscienza di Pietro, una sorta di super io giudicante, che lui teme perché teme se stesso, i propri mostri interiori, la propria zona d’ombra, che mai potrà integrarsi con quella di luce.
Perché il film è, anche e soprattutto, la narrazione della scissione e della lacerazione interiore che nascono dal conflitto tra ciò che realmente sentiamo e ciò che dobbiamo essere.
Per questo Pietro, immerso in un delirio immaginativo, precipita in una dimensione di verticalità, combattuto dalla paura e dall’attrazione del vuoto, in una caduta verso il basso senza mai fine.
Il finale è un crescendo di tensione che avvolge lo spettatore, dimentico ormai del proprio ruolo, attraverso la fuga del protagonista, enfatizzata dal ritmo incalzante di Thom Yorke, che si conclude dentro un contenitore di cartone dove Pietro si rifugia, cercando, ermeticamente, un riparo dalle sue stesse pressanti voci interiori.
E, forse, l’unica via d’uscita, come dice Nadia, la moglie di Pietro, è continuare “ad amarsi e ad essere amati”, per questo il proprio segreto deve essere custodito, con cura, nelle pieghe più recondite di sé.
Annamaria Bilora
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