”Nave Gregoretti contro la cupola con Salvini. Non si sa se essere più sgomenti o più indignati. Difendere i confini nazionali è diventato reato da punire: perchè Giuseppe Conte non è alla sbarra con il suo ministro degli Interni?
Quando la politica entra dalla porta, la giustizia esce dalla finestra. Ovvero, il giusto non è altro che l’utile di chi comanda, l’argomento di Trasimaco nella Repubblica di Platone. Oppure la conclusione di Tolstoj: le leggi sono prodotte dall’egoismo, dall’inganno e dalla lotta di partito: esse non possono servire un vera giustizia. Parliamo del caso incredibile della nave Gregoretti, fermata in porto con il suo carico di africani clandestini, vicenda per la quale l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini andrà a processo. Il governo della nazione, dunque, non può decidere chi può entrare nel territorio dello Stato. Se ferma qualcuno, è un rapitore. Confesso e mi autodenuncio. Da vecchio funzionario delle dogane italiane, ho presidiato il confine e bloccato più di una persona; spero nella prescrizione, che i neogiacobini con la stella di Negroni vogliono abolire.

Non si sa se essere più sgomenti o più indignati. Non proviamo simpatia per Matteo Salvini. Non ci piacciono quelli che gridavano terrone a metà dei connazionali e adesso proclamano “prima gli italiani”. Ancor meno apprezziamo la sua destra un po’ “ganassa” e molto liberista. Non crediamo, come il capo leghista, che Hezbollah sia un’organizzazione terrorista, non applaudiamo l’assassinio del generale iraniano, non ci sembra una grande idea riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele nell’attuale garbuglio medio orientale. Il suo sovranismo è così finto da diventare imbarazzante; detestiamo di cuore l’istinto tribale che lo fa simpatizzare per i separatisti catalani contro lo Stato nazionale spagnolo, favorendone la balcanizzazione tanto utile per i mondialisti, Soros in testa, finanziatori delle smanie della borghesia catalana. L’improvvido autogol della crisi di ferragosto, che ha riportato al governo la Cupola antinazionale che fa capo al PD e ai suoi alleati, impedisce di essere tifosi di Salvini. Nel caso di nave Gregoretti, tuttavia, non ci possono essere mezze misure: bisogna stare dalla parte del Capitano che è tutt’al più un sergente, contro la Cupola.

[stextbox id=’warning’ mode=’undefined’ color=’eb1a63′ bcolor=’3′]l’immigrazione è il problema centrale di questi anni, di questi decenni. In soli vent’anni, la popolazione straniera è aumentata del 400 per cento, esclusi i clandestini, i cui numeri reali, se svelati, farebbero vergognare i governi.[/stextbox]
Troppe le motivazioni, troppo grande la posta in palio. Non ci interessa commentare le misere vicende parlamentari, con le richieste di rinvio del voto in giunta a dopo le elezioni regionali emiliane e calabresi. Manfrine di bassa cucina che lasciano il tempo che trovano; conta la sostanza, ovvero il fatto che in Italia- anzi “in questo paese”, come amano dire a sinistra – difendere i confini nazionali, esercitare il mandato governativo e decidere chi ha o meno il diritto di entrare in Italia è diventato un reato da punire con quindici anni di prigione. Poche storie: l’immigrazione è il problema centrale di questi anni, di questi decenni. In soli vent’anni, la popolazione straniera è aumentata del 400 per cento, esclusi i clandestini, i cui numeri reali, se svelati, farebbero vergognare i governi.
Moltiplicati per quattro, forse per cinque, gli stranieri, in concomitanza con una lunghissima crisi sociale ed economica. Strano, vero? Se questa non è sostituzione etnica, trovate un’altra parola, magari politicamente corretta, per descrivere i fatti. Molti italiani non ci stanno e hanno trovato in Salvini il loro difensore. Vietato, vietatissimo, disturbare i manovratori, si chiamino Chiesa cattolica, cooperative, poteri forti, organizzazioni non governative, tutti al servizio del progetto di distruzione dell’identità dei popoli europei. Non si può fare, non si può neppure dire: chi tocca muore o va a processo. Si chiama, dicono, democrazia, perfino divisione dei poteri. La sinistra, i progressisti campioni del Bene, hanno uno strano tic. Non vogliono battere l’avversario con argomenti politici, ma attraverso l’espulsione dal campo, meglio se attraverso il braccio secolare della “giustizia”, alla quale si addicono le virgolette e la citazione di Trasimaco.
Ha scritto lucidamente Marcello Veneziani che in Italia non comanda una casta, ma una cupola. Per questo dubitiamo che possa essere cacciata per via elettorale, a meno di una improbabile presa di coscienza popolare, impedita dal ferreo controllo di stampa, televisione, scuola, università, giustizia da parte di detta Cupola. La quale, sia chiaro, non conta granché a livello internazionale: è solo il manganello fiduciario, ovviamente privilegiato, azionato dai veri padroni, che non stanno in Italia.
Stupisce lo stupore con il quale molti accolgono certe pronunce della Corte Costituzionale e della Cassazione. Davvero, qualcuno pensa che i poteri arbitrali, i check and balance della tradizione liberale classica, siano un cenacolo di illuminati indipendenti? Il potere della magistratura inquirente è enorme; possono indagare chiunque disponendo direttamente della polizia giudiziaria secondo costituzione, hanno sponde politiche e culturali fortissime, si controllano da sé, come il sistema bancario. Diceva Giano Accame (giornalista e scrittore Italiano ndr) che per sapere chi comanda, basta individuare coloro di chi non si può dire male. Così, la liturgia unica prevede che le autorità finanziarie siano indipendenti e incontrollabili, che le sentenze non si discutano, che una certa visione della storia siano tanto obbligatoria da determinare conseguenze penali per chi canta fuori dal coro.
Ecco che cosa si muove dietro il processo a Salvini. Non siamo giuristi, ma non viene anche a voi almeno il dubbio che Giuseppe Conte, presidente del Consiglio dei Ministri di ieri e di oggi – il trasformismo nacque nel 1876 con Depretis e continua a imperare – debba andare alla sbarra con il suo ministro degli Interni? Non lo ha fermato, dunque è complice in rapimento o, per la sua funzione, ha omesso atti d’ufficio. No, da quando l’ex avvocato del popolo ha saltato il fosso, si è ripulito dai peccati del passato. Gli è stata impartita l’assoluzione plenaria dal gran giurì della Cupola politica, mediatica, culturale, giudiziaria. Il cattivo, er puzzone, è Matteo, quello milanese, perché l’altro, il fiorentino, è nuovamente in

sella.

I più soddisfatti sono i membri del clero cattolico illuminista ed immigrazionista, gaiamente schierati con il mondialismo e il modernismo dei “diritti”, seguiti a ruota dai professionisti delle ONG, di solito a libro paga di ONU, Unione Europea, grandi fondazioni internazionali. Consulti, chi ha voglia e stomaco di ferro, l’elenco dei “donatori”. Il loro simbolo, George Soros, in un’intervista di qualche anno fa, dichiarò di essere “il capo del Papa”. Delirio di onnipotenza o barlume di sincerità?
Intanto in Sicilia il problema è trovare titoli di reato e capi d’imputazione per Salvini. La mafia ringrazia, e con essa i trafficanti di esseri umani, gli schiavisti del Duemila, la Compagnia delle Indie postmoderna. Chissà se conoscono i mille sistemi con cui nell’Italia meridionale e dappertutto si alimenta il precariato, il caporalato, l’evasione dei contributi sociali, eccetera. Essenziale è trovare un capro espiatorio. In questo, nella Cupola sono professori: le trame nere, i servizi deviati, Fanfani, Craxi, Berlusconi, adesso Salvini. Chi trova un nemico, trova un tesoro. E già che c’è, si organizza per espellerlo dalla vita politica. La legge Severino, concepita per abbattere Berlusconi, servirà allo scopo anche per Salvini. Se condannato, sarà fuori dal parlamento, in attesa della galera.
La sovranità appartiene al popolo o alla giurisdizione? Domanda inutile, il sedicente popolo se ne è liberato volentieri, pur di trovare dei colpevoli da punire, delle facce in carne ossa a cui attribuire i mali della nazione, le sofferenze personali, le ingiustizie subite. È difficile colpire una Cupola: non ha nome, è un ceto numeroso dotato di influenza e astuzia, in grado di capire e sfruttare la “ferrea legge” delle oligarchie di Roberto Michels(1). Oggi sono ministri, domani giudici costituzionali, dopodomani banchieri, dirigenti di enti pubblici, boiardi di Stato o dignitari dell’Unione europea. Evviva le istituzioni. Tra esse, ci sarebbe anche il governo. Istituzione rispettabile e intangibile se gradito a lorsignori, proconsoli dei veri padroni, ma accolita di rapitori seriali se per caso si infiltra nell’ingranaggio un sassolino, con il volto paffuto e la felpa di Matteo Salvini.

La domanda che vale quanto la somma del debito pubblico è semplice: chi comanda in Italia? Il governo può svolgere le politiche che ritiene giuste o deve attendere, oltre al nulla osta della Nato, dell’UE, degli USA, della BCE, dei mercati, delle agenzie di rating, dei preti, anche quello di alcuni inquirenti? Vigente la legge Severino che espelle dalla vita politica chi ha subito condanne, la volontà degli elettori ha ancora un senso? Si può ancora affermare che ci sono gruppi organizzati che vanno a prelevare i clandestini sulle coste africane con vere e proprie flottiglie (e armare e mantenere navi costa assai), d’accordo con le fazioni armate del posto?
È, o forse era, la tesi della procura di Catania, non di complottisti paranoici e razzisti. La tratta di esseri umani è ancora un reato, o è peggio fermare le navi

per identificare i passeggeri e chiarire la loro posizione, attività ridefinita come rapimento? C’è ancora in questo dannato paese uno straccio di sovranità, di democrazia, di rispetto per la volontà popolare? Tutto questo, e tanto altro ancora ci dirà la vicenda del processo a Matteo Salvini. Temiamo di conoscere, purtroppo, le risposte. Sono sconfortanti e invitano a diventare apolidi. Si può cessare di sentirsi cittadini italiani, ma la nazionalità, l’amore disperato per questa terra e questa nazione restano. Aveva ragione Giovannino Guareschi, uno che pagò di persona. Il papà di Don Camillo e Peppone affermò che per testimoniare la libertà talvolta bisogna entrare in carcere. Quando morì, l’Unità scrisse di lui, con la consueta grazia e gentilezza: è morto lo scrittore mai nato.

Non vogliamo che sia quello il destino di Salvini, e nemmeno quello dei suoi avversari. Vanno sconfitti con le idee, la forza degli argomenti, il consenso degli italiani. Nel frattempo, tocca stare con Matteo, diventato suo malgrado simbolo di libertà, democrazia, sovranità, giustizia, addirittura Patria. Troppo per un solo uomo, specie per un politico che è tutt’altro che uno statista. Gli altri, tuttavia – la Cupola – sono ben peggiori di lui. Il nostro non è un paese di sardine ma di tonni. E, naturalmente, di squali.
Note
(1) Robert Michels, in italiano: Roberto Michels, è stato un sociologo e politologo tedesco naturalizzato italiano che studiò il comportamento politico delle élite intellettuali e contribuì a definire la teoria dell’elitismo