”Ma che cosa spinge un accademico di prestigio ad augurare la morte a un nemico politico ricoverato in ospedale? Cosa muove un rapace finanziere di sinistra a dettare un necrologio feroce a un imprenditore malato ma vivo?
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Ma che cosa spinge un accademico di prestigio ad augurare la morte a un nemico politico ricoverato in ospedale? Cosa muove un rapace finanziere di sinistra a dettare un necrologio feroce a un imprenditore malato ma vivo? Cosa frulla nella testa di un attore di successo a negare l’accesso a un festival del cinema a uno spettatore pagante che è leader nei consensi degli italiani?
Raffaele Simone è un pregevole linguista e uno spregevole odiatore. Non dimentichiamo nessuna delle due cose quando esprimiamo un giudizio. Mai dimenticare il testo, mai dimenticare il contesto. Mai ridurre un uomo a una frase infelice, mai ridurre un uomo ai suoi soli studi. Si può essere meschini benché illustri. Il veleno di una frase non appartiene alla follia di un momento; è il disprezzo assoluto e costante verso chi non la pensa come lui. La sua e-mail ostenta il seguente biglietto da visita: Emeritus Professor HC Lund University, Member of Academie Royale de Belgique, Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres.
[stextbox id=’warning’ mode=’undefined’ color=’10e614′ ccolor=’0a0909′]C’è un livore, un odio militante che è la sublimazione pacifista, vigliacca e borghese di una pulsione becera e animalesca: eliminare il nemico, toglierlo di mezzo [/stextbox]
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Con Simone ho fatto parte per un paio d’anni di un ristretto gruppo impegnato a elaborare idee e progetti per l’avvenire; ne ho apprezzato l’intelligenza, abbiamo lavorato bene insieme, in buona sintonia, credevo che fosse nata perfino un’amicizia. Perciò gli proposi di presentare un mio libro appena uscito; lui ritenne la mia proposta “politicamente scorrettissima”, disse che ci avrebbe pensato dopo aver ricevuto il libro, poi ci ripensò prima di riceverlo e mi scrisse che aveva deciso di non presentarlo. Non perché avesse altri impegni o altri interessi di studio, o perché non avesse apprezzato un libro che non aveva neanche visto. Ma perché, evidentemente, ero di un’altra razza, inferiore e maledetta, “di destra”. Niente dissensi da esprimere in libertà; solo apartheid. Non mescoliamoci.
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Quando Carlo De Benedetti era in affari con Berlusconi, l’odore dei suoi soldi non puzzava; ora che Berlusconi è in ospedale per il Covid, gli fa una lapide in cui lo definisce un imbroglione nocivo all’Italia. E se Berlusconi si fosse comportato con lui seguendo l’antica massima: a brigante, brigante e mezzo? E Pierfrancesco Favino in rappresentanza sindacale der glorioso popolo de li attori antifascisti de sinistra, non si è sentito la solita sciacquetta conformista da parata nel ringhiare alla Mostra di Venezia contro Salvini intimandogli di non andare a vedere il suo film? Solo i politici di sinistra, i veltronici, possono andare alla mostra del cinema, all’opposizione è vietato anche se paga il biglietto?
Lasciamo i casi clinici o cinici e cerchiamo di capire quale molla muove tre personaggi così diversi che esprimono lo stesso disprezzo, lo stesso odio razzista nei confronti di chi non è dalla loro parte. C’è un livore, un odio militante che è la sublimazione pacifista, vigliacca e borghese di una pulsione becera e animalesca: eliminare il nemico, toglierlo di mezzo. Non riconoscerlo come avversario e magari criticarlo e avversarlo nelle forme legittime della politica; ma abolirlo, negarlo, per giunta quando il nemico è in ospedale per una malattia che ha meritato, come suggerisce l’intellettuale neo-illuminista tornato alle fatture di morte e all’antica stregoneria. Dio non esiste ma il Diavolo sì; che se lo porti lui all’inferno il Cavaliere Maledetto.
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Ricordo tanti anni fa su una rete berlusconiana condotta da Maurizio Costanzo, nei tempi mai rimpianti in cui andavo nei talk show televisivi. Costanzo a un certo punto lanciò l’ennesima sottoscrizione per Il Manifesto in difficoltà, di cui erano presenti i direttori, e mi chiese a bruciapelo se avrei sottoscritto anch’io per far sopravvivere “il quotidiano comunista”. Senza esitazione risposi di sì, ma aggiunsi una domanda ai direttori del Manifesto: avreste fatto altrettanto voi per un giornale di destra? No, fu la risposta risoluta e secca di costoro. Ecco la differenza di stile, di civiltà, di libertà tra uno “di destra” e loro che si definivano comunisti. Ma la stessa risposta avrebbero dato i tre succitati esemplari della sinistra intellettuale, cinematografica e finanziaria.
La stessa cosa si è ripetuta per decenni in svariate situazioni: a ogni apertura di dialogo(1), di rispetto e d’attenzione nei confronti di chi la pensa in modo opposto, ho ricevuto spesso – non sempre ma più di frequente – porte chiuse, facce ostili, rifiuti schifati come quello del prof. Simone. Capite qual è la ragione per cui sono e resteranno sempre una minoranza sterile, sdegnosa e antipatica, corrosa dall’astio e dal complesso ingiustificato di superiorità? Capite perché poi il sentire comune propende per l’altra parte? Da una parte è la vita reale, il comune sentire, con tutti i suoi difetti e il buon senso e dall’altra è l’arcigna, acida correzione della realtà, fino alla soppressione del nemico, o in tempi di pace, alla certificazione di morte civile e d’indegnità del medesimo.
Voi direte che a questo punto è meglio ripagarli con la stessa moneta e ricambiare disprezzo con disprezzo. E invece no: meglio non rispondere al male col male; chi fa del male sparge male, anche se lo ha subito. Non lo dico per buonismo e non rinuncio alle polemiche, ma si vive meglio senza rancori, a testa alta. Chi è civile e rispettoso lo è anche se ha davanti un incivile intollerante; la sua condotta non si adegua al livello del suo interlocutore; meglio farsi scivolare le loro maledizioni, meglio farsi superiori agli insulti, sorridenti. E se facessimo come il Mahatma Gandhi che in India sconfisse con la sua umiltà, disarmante e disarmata, la spocchia coloniale degli inglesi, il loro complesso di superiorità, il loro disprezzo razzista? Pensateci, anche se è più duro mantenere la calma che reagire con rabbia. Torneremo sull’argomento, cercando di capire quali meccanismi muovono la chiusura della mente sinistrese.
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Note:
Dialogo, che non è assolutamente una cosa dolce, rilassante, tranquilla, perché il dialogo è guerra. La parola «dia-logo», come tutte le parole greche che cominciano per «dia», indica la massima distanza tra due punti della circonferenza come nel caso del dia-metro, tra due posizioni di pensiero diametralmente opposte come nel caso del dia-logo. Per questo Eraclito poteva dire: «Il logos è guerra», perché è «armonia» di opposti contrastanti che si compongono attraverso il dia-logo, dove gli opposti si fronteggiano. Si fronteggiano per capirsi, non per elidersi. Per questo ci vuole «tolleranza» che non significa tollerare la posizione dell’altro restando convinti che la nostra è quella giusta, ma ipotizzare che la posizione dell’altro possieda un grado di verità superiore al nostro, e quindi disporsi, nel confronto con l’altro, a lasciarsi modificare dall’altro.
Immagine gli Spregiatori: Raffaele Simone, Carlo De Benedetti, Pierfrancesco Favino