La nostra epoca è un’età di transizione
CRONACHE DI UNO STRANO MEDIOEVO
La nostra è, indiscutibilmente, un’età di transizione. In cui un mondo, con il suo ordine, si va spegnendo, ma ancora non muore del tutto. E un mondo nuovo si profila all’orizzonte. Ma in modo confuso. Indistinto. Caotico.
Ecco, il termine giusto è proprio questo: Caos. Che, come ci dice Ovidio, è una condizione in cui tutto, tutte le possibilità, tutte le potenzialità, sono presenti. Ma…alla rinfusa. Un magma senza forma.
Dunque, la nostra epoca altro non è che un medioevo. Anche se non ne siamo coscienti. E ci balocchiamo con l’illusione di vivere un’età di luminoso progresso…peggio ancora, siamo preda della fantasticheria, priva d’ogni fondamento, che la storia sia una linea di continuo progresso.
E, invece, questa è era di transizione. Medioevo, appunto. Ma profondamente diverso da tutti i medioevo passati. Perché la storia ha sì un andamento ciclico, ma non è eterno ritorno dell’uguale. Piuttosto come il succedersi delle stagioni. Che ritornano sempre, ciclicamente. Ma non sono mai uguali a quelle degli anni precedenti.
Comunque, questo è un medioevo. Un giorno ce ne renderemo conto. O meglio, se ne renderanno conto i nostri posteri.
Guardiamoci intorno con occhio, per una volta, non velato da pregiudizi. Cosa vediamo?
Vediamo una civiltà, o meglio una Civilizzazione (nel senso spengleriano) stanca. Fatiscente. E compiaciuta della sua decomposizione. Dove misura di tutte le cose è l’appagamento dei desideri, anche i più “eccentrici”, individuali. Dove minoranze, autoproclamatasi élite, vogliono imporre la loro vita senza stile alle masse che disprezzano. E che controllano con l’enfatizzazione della grande paura. La morte. Illudendole (e illudendosi) che questa sia… evitabile.
Una Civilizzazione che si crede unica. Universale. Modello perfetto. E non si accorge degli altri. Dei “barbari” che premono ai confini. Che sono sì barbari, ma ancora uomini. Veri.
E che hanno radici nella terra. Nella Natura.
Queste oligarchie combattono i barbari con truppe mercenarie. Inette a combattere loro stesse.
E importano schiavi, per produrre quanto necessita ai loro, sempre crescenti, bisogni. Esaltano il superfluo.
Celebrano l’Orgoglio della loro diversità.
Prive ormai di virtù. E anche di senso estetico. Stile.
Si credono onnipotenti. E discutono di astrusità, come dotti bizantini, ma privi di vera cultura. Mentre il disastro è alle porte, ballano seminude nelle piazze. La decadenza dell’Impero romano aveva più stile. E dignità.
I loro “oratori” si riempiono la bocca di parole senza senso. Democrazia, libertà, uguaglianza. Loro per primi, palesemente, non vi credono. E ingannano se stessi. Non vi è più Fides. Di alcun tipo.
La Chiesa è, ormai, un pallido fantasma del passato. Attraversata da scismi. Depauperata di qualsivoglia retaggio spirituale. Sempre più compromessa. Sempre più involgarita. Ha ormai perduto anche il senso estetico dei riti.
E proliferano le sette. Le credenze più diverse, e diversamente illusorie.
Si affacciano, talvolta, nuove fedi. E tuttavia sembra dominare il Regno della Quantità. Il vizio e la virtù appaiono sempre più confusi. Si parla di “valori”. Ma questi sono contrattabili. Come il peso dell’oro….
Mi fermo… non sto scrivendo una piccola apocalisse. Solo divagando, sulla scorta di “Nuovo Medioevo” di Berdjaev, che, negli anni Venti del secolo scorso, aveva già intuito la china delle cose.
E, magari, con qualche eco di Rutilio Namaziano. Ultimo poeta di Roma, ne vide, disperato, il crollo. Per lui era la Fine del Mondo.
De reditu suo
«O Roma, nessuno, finché vive, potrà dimenticarti… Hai riunito popoli diversi in una sola patria, la tua conquista ha giovato a chi viveva senza leggi. Offrendo ai vinti il retaggio della tua civiltà, di tutto il mondo diviso hai fatto un’unica città.» Rutilio Namaziano.
In realtà, iniziava il Medioevo. Arrivavano i barbari.
E, come scrive Kavafis, “dopo tutto, quelle genti sono una soluzione”.