Dal coraggio degli antichi alla bontà assoluta della modernità, un viaggio nella storia di una delle metafore più amate della letteratura

CUORE D’ORO: STORIA DI UNA METAFORA TRA

LETTERATURA E CULTURA

Redazione Inchiostronero

L’espressione avere un cuore d’oro è oggi un modo di dire comune per indicare una persona di straordinaria bontà. Ma da dove nasce questa metafora? Quando il cuore ha iniziato a rappresentare non solo l’organo vitale, ma anche la sede della moralità e della generosità? Attraverso un viaggio nella letteratura e nella cultura occidentale, cercheremo di ricostruire la storia di questa immagine, dalle sue radici classiche fino alla sua consacrazione nella modernità.


Il cuore nella cultura classica: emozione e virtù

Nella tradizione greco-romana, il cuore (kardíain greco, *cor in latino) era già percepito come il centro delle emozioni e della forza interiore. Nonostante la medicina antica, in particolare quella ippocratica, considerasse il cervello come il principale organo dell’intelletto, la filosofia e la letteratura attribuivano al cuore un ruolo fondamentale nella vita emotiva e nel coraggio dell’individuo.

Il cuore nella filosofia greca: tra emozione e razionalità

Aristotele, nella sua opera De Anima, sosteneva che il cuore fosse la sede principale dell’anima e dell’intelletto. A differenza di Platone, che attribuiva alla testa e al cervello la funzione razionale, Aristotele vedeva nel cuore l’organo vitale in cui risiedevano le passioni, la sensibilità e la capacità di giudizio morale. Secondo questa visione, il cuore non era solo il motore fisico del corpo, ma anche il nucleo della coscienza e della virtù.

Anche negli scritti di altri filosofi, come i pensatori stoici, il cuore era considerato il centro del pathos, ioDialoghi, associa il cuore alla saggezza, alla fermezza e alla capacità di affrontare le avversità con serenità.

Il cuore nella letteratura epica e tragica

Nella letteratura epica, il cuore viene evocato spesso come simbolo di coraggio, passione e tormento interiore. Nell’Iliade, Omero utilizza più volte il termine timo (

Nel mondo latino, Virgilio riprende questa tradizione nell’Eneide, dove il cuore diventa il luogo della sofferenza e della pietas. Quando Enea si trova in mezzo alla tempesta, il poeta descrive il suo sconforto attraverso un’immagine che sottolinea la profondità della sua emotività:

Allora il pio Enea, accompagnato da una numerosa schiera, / rimproverò le onde sollevate dal vento del Nord, / gemette e, tendendo le doppie palme verso le stelle: / “O tre volte e quattro volte beati…” ( Eneide , I, 94-

Il cuore di Enea è il centro della sua sofferenza, ma anche della sua determinazione e del suo senso del dovere. La pietas, la virtù romana che unisce devozione, responsabilità e lealtà, nasce proprio dal cuore del protagonista, che affronta il dolore con fermezza e dedizione.

Anche nella tragedia latina, come nelle opere di Seneca, il cuore è spesso evocato per rappresentare il conflitto interiore dei personaggi. Ad esempio, Fedra e Medea parlano del proprio cuore come di una forza incontrollabile, che arde di passione e di tormento.

Il cuore tra medicina e simbolismo

Oltre alla filosofia e alla letteratura, anche la medicina antica attribuiva al cuore un ruolo centrale. Galeno, medico del II secolo d.C., pur riconoscendo al cervello un’importante funzione nel sistema nervoso, considerava il cuore l’organo responsabile del calore vitale e della circolazione sanguigna. Il cuore era visto come il fulcro della vita stessa, una concezione che avrebbe influenzato profondamente il pensiero medievale.

Nonostante nella cultura classica il cuore non avesse ancora il significato morale e spirituale che assumerà nei secoli successivi, esso era già strettamente legato alle emozioni, al coraggio e alla profondità dell’animo umano. Sarà con il cristianesimo e con la letteratura medievale che il cuore inizierà a rappresentare la bontà assoluta e la purezza interiore.

L’eroe troiano piange e prega con le mani al cielo, segno di un cuore sensibile e pieno di pietas. Tuttavia, nel mondo antico, il cuore è più legato alla passione e alla forza interiore che alla bontà assoluta.

Medioevo e Cristianesimo: il cuore come sede della purezza e della carità

Se nell’Antichità il cuore era simbolo di passione, coraggio e forza interiore, nel Medioevo esso acquisisce una connotazione morale e spirituale sempre più marcata. L’avvento del cristianesimo trasforma il cuore nel fulcro dell’amore divino e della compassione, mentre la letteratura cavalleresca e quella poetica lo collegano alla purezza, alla nobiltà d’animo e all’amore cortese.

Il cuore nella spiritualità cristiana: fede, amore e sacrificio

Con il cristianesimo, il cuore diventa il simbolo dell’amore divino e del sacrificio di Cristo per l’umanità. Il Vangelo di Matteo (6,21) contiene una delle prime espressioni che associano il cuore alla dimensione spirituale:

“Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.”

Quest’idea viene sviluppata dalla teologia medievale e trova la sua massima espressione nel culto del Sacro Cuore di Gesù, che si diffonde a partire dal XII secolo con le visioni di Santa Geltrude di Helfta e di altre mistiche cristiane. Il cuore di Cristo viene rappresentato come un simbolo di amore e misericordia infinita, destinato a redimere il peccato umano.

Anche San Francesco d’Assisi usa spesso l’immagine del cuore nei suoi scritti. Per lui, il cuore è la sede della compassione e dell’umiltà, una metafora della totale dedizione a Dio e al prossimo. Nei suoi Fioretti, il cuore ardente d’amore per Dio è un motivo ricorrente, e si racconta che Francesco stesso, durante le sue visioni, sentisse il suo cuore infiammarsi di amore divino.

Nel XIII secolo, San Tommaso d’Aquino, nella Summa Theologiae, rafforza l’idea del cuore come sede della volontà e del bene. Il cuore, secondo Tommaso, è il luogo in cui si compie la scelta morale: la carità nasce dal cuore, e senza un cuore puro non si può raggiungere la vera virtù.

Il cuore nella letteratura cavalleresca: lealtà, purezza e coraggio

Parallelamente alla tradizione cristiana, la letteratura cavalleresca medievale fa del cuore un simbolo di nobiltà e purezza interiore. Nei romanzi del ciclo arturiano, il cuore è strettamente legato alla lealtà e all’onore del cavaliere.

Un esempio emblematico è Parsifal, il giovane cavaliere il cui viaggio alla ricerca del Santo Graal è anche un percorso di purificazione interiore. Inizialmente ingenuo e inesperto, Parsifal deve dimostrare di avere un “cuore puro” per poter accedere alla sacra reliquia. Il suo cuore è dunque il riflesso della sua anima: solo chi ha un cuore libero da egoismo e malizia può raggiungere la verità e la grazia.

In un’altra famosa leggenda arturiana, quella di Lancillotto e Ginevra, il cuore diventa il simbolo dell’amore assoluto e tormentato. L’amore tra i due protagonisti è tanto forte da mettere in discussione la loro lealtà a Re Artù, evidenziando il conflitto tra passione e dovere. Il cuore, in questo caso, è il centro di un’eterna lotta tra desiderio e morale.

Anche nel Roman de la Rose, un poema allegorico francese del XIII secolo, il cuore è un elemento chiave. L’opera, che descrive la ricerca dell’amore come un viaggio in un giardino simbolico, rappresenta il cuore come un fiore delicato che può essere coltivato solo con la virtù e la sincerità.

Dante e lo Stilnovo: il cuore nell’amore e nella virtù

La concezione medievale del cuore raggiunge una delle sue espressioni più alte nella poesia dello Stilnovo. I poeti stilnovisti, come Guido Guinizelli e Guido Cavalcanti, vedono nel cuore il luogo dell’amore spirituale e della nobilitazione dell’anima.

Guinizelli, nel suo celebre sonetto Al cor gentil rempaira sempre Amore, afferma che solo un cuore nobile può accogliere il vero amore:

“Al cor gentil rempaira sempre Amore / come l’ausello in selva a la verdura.”

Questa idea viene ripresa da Dante Alighieri nella Vita Nova e poi nella Divina Commedia, dove il cuore diventa simbolo della nobiltà d’animo e della capacità di elevarsi spiritualmente. Nel canto V del Purgatorio, ad esempio, Dante incontra Bonconte da Montefeltro, il cui cuore, pur macchiato da una vita peccaminosa, si redime all’ultimo istante grazie alla misericordia divina.

Nel Paradiso, il cuore è il fulcro dell’amore divino che tutto muove, fino al celebre verso finale dell’opera:

“L’Amor che move il sole e l’altre stelle.”

Qui il cuore non è più solo il simbolo dell’amore terreno, ma diventa la forza che governa l’universo stesso.

Conclusione: il cuore come principio morale

Nel Medioevo, il cuore subisce una trasformazione profonda: da simbolo delle passioni e delle emozioni diventa il centro della virtù e della spiritualità. Il cristianesimo lo consacra come sede dell’amore divino, la letteratura cavalleresca lo esalta come emblema di purezza e lealtà, mentre la poesia lo rende il fulcro dell’amore nobile e trascendente.

Tutte queste concezioni confluiranno nel Rinascimento e nel Romanticismo, dove il cuore assumerà un ruolo ancora più complesso, diventando il simbolo dell’individualità, della passione e della sensibilità interiore.

Dal Rinascimento al Romanticismo: il cuore e la sensibilità

Nel Rinascimento, il cuore si libera dalla dimensione puramente religiosa per diventare il fulcro dell’esperienza umana. La passione, la consapevolezza di sé e l’amore spirituale convivono in una nuova rappresentazione dell’interiorità. Se nel Medioevo il cuore era stato il riflesso della fede e della purezza, ora diventa la sede dell’individualità e del sentimento, un organo non solo di virtù, ma anche di tormento e desiderio.

Petrarca ne aveva già fatto il simbolo del conflitto interiore tra amore terreno e tensione spirituale. Nei suoi versi, il cuore è inquieto, sempre in bilico tra la passione e la ricerca di una pace impossibile.

“Io non so ben ridir com’io v’intrai, / tant’era pien di sonno a quel punto / che la verace via abbandonai.”

Le sue parole anticipano la concezione moderna di un cuore che non è più puro e saldo, ma fragile, vulnerabile, condannato a una perenne insoddisfazione.

Il teatro elisabettiano, e in particolare Shakespeare, rafforza questa immagine. Nei suoi drammi, il cuore è la sorgente di nobiltà, ma anche di debolezza, straziato tra il dovere e la passione, tra il bene e l’ombra dell’inganno. In Re Enrico V il re viene celebrato per la sua grandezza morale, e il personaggio di Pistol lo esprime con parole che diventeranno proverbiali:

“Il re ha un cuore d’oro.” Il cuore.

Ma se il Rinascimento esalta il cuore come sede della grandezza umana, è il Romanticismo a trasformarlo nel protagonista assoluto della sensibilità. L’emozione, la ribellione e l’inquietudine prendono il posto della ragione. Goethe ne fa l’emblema di un sentire troppo intenso per essere contenuto, come accade nel Werther, io

“Avevo dentro di me un fuoco che mi bruciava, un’ansia insaziabile di essere amato.”

Anche la poesia inglese raccoglie questa eredità. Byron e Shelley dipingono cuori ribelli, mai domi, pronti a sfidare il destino. In Italia, Foscolo intreccia il cuore con la memoria e il rimpianto, mentre Leopardi lo condanna a un’esistenza di dolore e disillusione. La sua voce è quella di un cuore che pulsa non di speranza, ma di solitudine:

“A me la vita è male.”

Nel Romanticismo, dunque, il cuore non è più soltanto simbolo di amore o bontà, ma diventa il luogo di una lotta senza fine tra passione e tormento, tra desiderio e impossibilità. Una visione che influenzerà profondamente la letteratura dei secoli successivi.

Il cuore d’oro nella modernità e nella cultura popolare

Nel panorama della letteratura italiana, un’opera che ha contribuito in modo significativo a rafforzare l’idea del cuore come sede della bontà è Cuore di Edmondo De Amicis (1886). Scritto sotto forma di diario di un bambino delle scuole elementari, il romanzo esalta i valori del sacrificio, della generosità e del patriottismo. Il cuore, qui, diventa non solo un simbolo di affetto e moralità, ma anche uno strumento educativo: essere persone di cuore significa essere capaci di compassione, altruismo e dedizione al bene comune.

L’opera è attraversata da racconti esemplari che incarnano questa visione. Episodi come “Il piccolo scrivano fiorentino” o “Sangue romagnolo” mostrano bambini che, mossi da un cuore puro, compiono gesti di eroismo quotidiano. In uno dei passaggi più celebri, De Amicis scrive:

“L’amore di mia madre mi entra nel cuore come un raggio di sole.”

Questa frase racchiude perfettamente l’idea centrale del libro: il cuore è il luogo dell’amore più autentico, capace di illuminare la vita e guidare le scelte. Cuore ha avuto un impatto enorme sulla cultura italiana e ha contribuito a rendere ancora più popolare l’associazione tra il cuore e la nobiltà d’animo, tanto da influenzare il linguaggio comune e l’educazione sentimentale di generazioni intere.

Dall’Ottocento in poi, il cuore non è più solo un tema letterario: diventa parte del linguaggio comune, dell’educazione sentimentale, della morale quotidiana. È il secolo del romanzo borghese, della narrativa per l’infanzia, delle storie in cui il cuore rappresenta non solo l’amore, ma anche la bontà e la rettitudine.

Il cuore non è più soltanto il luogo dell’amore romantico, ma anche della dedizione agli altri, della costruzione di un mondo migliore.

Lo stesso accade nei romanzi di Dickens, dove la trasformazione interiore dei personaggi passa attraverso il cuore. Ebenezer Scrooge, l’avaro e cinico protagonista di A Christmas Carol, inizia la storia con un cuore gelido, incapace di provare affetto. Ma nel corso della notte di Natale, grazie alle visioni dei tre spiriti, il suo cuore si scioglie, rivelando una bontà sepolta da anni di indifferenza.

“Porto il Natale nel cuore tutto l’anno.”

Con l’arrivo del cinema e della musica, il cuore si afferma come icona universale della sensibilità e della generosità. Nel 1972, Neil Young incide Heart of Gold, un brano che diventa il manifesto della ricerca di autenticità e purezza in un mondo cinico.

“Sono stato un minatore per un cuore d’oro.”

Anche la narrativa e il cinema costruiscono archetipi su questa immagine. Da Han Solo in Star Wars, il contrabbandiere burbero che nasconde un cuore generoso, a Severus Piton in Harry Potter, il cui cuore d’oro si svela solo alla fine della saga, il tema è sempre lo stesso: dietro un’apparenza dura può nascondersi la più grande delle bontà.

E poi ci sono le fiabe, che da sempre raccontano cuori puri e nobili. Nel Mago di Oz, l’Uomo di Latta sogna di avere un cuore per poter finalmente provare emozioni, e alla fine scopre che la sua gentilezza e il suo altruismo lo hanno reso umano più di quanto credesse.

“Un cuore non si giudica da quanto ami, ma da quanto è amato dagli altri.”

Oggi, l’espressione “avere un cuore d’oro” è diventata parte integrante del nostro modo di parlare. È il retaggio di una lunga tradizione letteraria che ha attraversato secoli, trasformando il cuore da semplice organo vitale a simbolo eterno di generosità, sensibilità e amore.

Conclusione

Il cuore, da semplice organo vitale, è diventato uno dei simboli più potenti e persistenti della cultura umana. Nato nell’Antichità come emblema di coraggio e passione, trasformato dal Cristianesimo in sede della carità e della virtù, raffinato nel Rinascimento come espressione dell’individualità e sublimato dal Romanticismo come centro della sensibilità, ha assunto nel tempo una dimensione morale e sentimentale che oggi diamo quasi per scontata.

L’espressione avere un cuore d’oro è il punto di arrivo di questa lunga evoluzione. Non si tratta solo di un modo di dire, ma di un concetto radicato nella nostra visione dell’essere umano: il cuore d’oro è il cuore che dona senza chiedere, che ama senza condizioni, che incarna la purezza in un mondo spesso imperfetto. È l’ideale che attraversa le fiabe e la letteratura, il cinema e la musica, il segno che distingue l’eroe dal semplice protagonista, il buono dal semplice giusto.

Eppure, questa metafora non è immobile: continua a trasformarsi con il passare del tempo. Oggi, in un’epoca di crescente individualismo, il cuore d’oro è spesso nascosto, custodito dietro corazze di cinismo e disillusione. Nei romanzi contemporanei, nei film e nelle serie tv, i personaggi con un cuore d’oro sono spesso quelli che sembrano duri, distaccati, persino spietati, fino a quando non svelano, nel momento decisivo, la loro autentica natura. È il caso dell’eroe riluttante, del burbero benefico, dell’antieroe che, nonostante tutto, alla fine compie la scelta giusta.

Ma al di là delle sue molteplici rappresentazioni, il cuore rimane il fulcro del nostro immaginario collettivo. Parliamo di “mettere il cuore in ciò che facciamo”, di “seguire il cuore”, di “avere il cuore spezzato” o “un cuore grande”. In ogni cultura, in ogni epoca, in ogni lingua, il cuore continua a essere il luogo in cui collochiamo le emozioni più vere e profonde.

Così, l’evoluzione del cuore nella letteratura e nel linguaggio non è solo una questione di parole, ma il riflesso di ciò che siamo e di come ci percepiamo. Finché l’umanità avrà bisogno di raccontare storie, il cuore rimarrà sempre al centro di esse. E forse, tra le tante metafore che abbiamo creato, quella del cuore d’oro è la più universale e duratura: un simbolo di speranza in un mondo che, nonostante tutto, continua a cercare la bontà.

Riccardo Alberto Quattrini

 

 

 

 

Bibliografia e riferimenti

  • Aristotele, De Anima
  • Virgilio, Eneide
  • Dante Alighieri, Divina Commedia
  • Chrétien de Troyes, Perceval, il racconto del Graal
  • William Shakespeare, Re Enrico V
  • Edmondo De Amicis, Cuore
  • Goethe, I dolori del giovane Werther
  • Neil Young, Cuore d’oro (testo)

 

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