”Il capitalismo, è noto, si configura come un sistema economico volto ad una crescita esponenziale e incessante. È tale perché si basa essenzialmente su due assunti: quello secondo cui le persone provano un desiderio illimitato di godere di sempre più beni e quello che reputa la Terra un pianeta con illimitate risorse che, in quanto tali, non pongono limiti alla crescita.
Il capitalismo, è noto, si configura come un sistema economico volto ad una crescita esponenziale e incessante. È tale perché si basa essenzialmente su due assunti: quello secondo cui le persone
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provano un desiderio illimitato di godere di sempre più beni e quello che reputa la Terra un pianeta con illimitate risorse che, in quanto tali, non pongono limiti alla crescita.
Il Covid-19 e – soprattutto – le sue conseguenze hanno messo in crisi entrambi gli assunti. Le scelte dei consumatori sono diventate, infatti, sempre più meditate, oculate, verificate. Le insicurezze e le inquietudini psicologiche derivanti dalla pandemia nonché le sue ripercussioni economiche nei ménage quotidiani delle persone hanno scoraggiato gli acquisti più impulsivi: il tempo di riflessione prima di comprare qualsiasi bene non necessario si è dilatato.
Non si tratta più di soddisfare il proprio bisogno di sentirsi radical chic acquistando il detersivo alla spina o il cibo biologico per lavarsi la coscienza o diventare vegan per moda. L’inversione di tendenza già in atto, stavolta, è qualcosa di molto diverso.
Il coronavirus ci ha obbligato a vivere una fase “nuova” del rapporto tra persone e merci. Dalla rivoluzione industriale del XIX secolo, d’altronde, i cittadini erano divenuti consumatori ed il consumo si era imposto come stile di vita rispetto alla parsimonia. Un processo che non aveva certo lesinato eccessi: dai mutui chiesti per andare in vacanza alla corsa all’acquisto dei capi firmati dai brand più in voga, dalle file
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notturne per assicurarsi l’ultimo iPhone all’effimera ricerca di Cocoon nella chirurgia estetica. Nell’agosto 2018 Hanna Kozlowska – l’investigative reporter del Quartz – denunciava in un articolo che «Shoppers are buying clothes just for the Instagram pic, and then returning them». [Gli acquirenti stanno comprando vestiti solo per l’immagine di Instagram e poi li restituiscono (ndr)]. Era il mondo pre-Covid-19 e la crisi economica – già in atto – induceva le persone a «buying clothes for a fancy event, tucking in the tags, and returning them to the store the next day» [comprare vestiti per un evento stravagante, infilare le etichette e restituirle al negozio il giorno successivo(ndr)]. Un caso esemplare, insomma, che evidenziava il livello di edonismo a cui il consumismo aveva portato il consumatore.
Il Covid-19, adesso, con la perdita di lavoro di milioni di persone farà da moltiplicatore alla prudenza nello shopping e dagli escamotage per soddisfare la propensione al consumo si passerà ad un’inevitabile “anticonsumismo”. È questa la tesi dell’ultimo libro di Philip Kotler (Brand Activism. From Purpose to Action, Hoepli) che uscirà in Italia a settembre: i consumatori spenderanno di meno, il derivante rallentamento dell’economia porterà altra disoccupazione e molte persone saranno obbligate a cercare migliori equilibri tra famiglia, lavoro (sempre meno) e tempo libero (sempre più). Secondo Kotler molti passeranno dalla dipendenza dal materialismo alla percezione dell’esistenza di altri percorsi per condurre una buona vita. In altre parole al postcapitalismo.
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Esso dovrebbe essere caratterizzato dalla risultante di cinque diverse tipologie di attivisti: i semplificatori della vita, persone che vogliono mangiare di meno e comprare di meno; gli attivisti della
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decrescita, i quali ritengono che troppo tempo e troppi sforzi siano investiti nel consumare; gli attivisti climatici; i selettori alimentari sani, che si sono trasformati in vegetariani e vegani; e, infine, gli attivisti della conservazione, che sostengono la necessità di non distruggere i beni esistenti ma di riutilizzarli, ripararli, riadattarli o distribuirli alle persone bisognose.
È un’analisi che risente di un certo ottimismo di fondo, auspicabile ma difficile da condividere in toto, soprattutto di questi tempi. Ma una cosa è certa, quel che pare al momento plausibile è che tra le vittime del Covid-19 forse non potremo contare anche il capitalismo stesso, ma un suo ripensamento è sicuramente probabile. Se ciò avverrà davvero saremo di certo i primi a ringraziare il coronavirus.
Roberto Bonuglia
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