In occasione del centenario della celebrazione del Milite Ignoto, tutto quel che c’è da sapere sulla storia e l’istituzione di un simbolo controverso

DAL FANGO ALL’ALTARE: I CENT’ANNI DEL MILITE IGNOTO

L’Altare della Patri

Nel 1921 il governo italiano conferiva al Milite Ignoto la medaglia d’oro al valor militare, con queste parole come motivazione:

   Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senz’altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della patria.

Non possiamo sapere se, quando era ancora in vita, il ragazzo a cui appartenevano i resti ora tumulati all’Altare della Patria (1) si riconoscesse in tutto questo, se avesse mai potuto lontanamente immaginare che un giorno sarebbe diventato un simbolo. Simbolo di cui i popoli europeisconvolti dal Primo conflitto mondiale, avevano un disperato bisogno dopo aver visto morire padri, fratelli, figli, in una mattanza che unì gli italiani anche spiritualmente forse per la prima volta nella loro giovane storia. Una guerra così sconvolgente da spazzare via ogni illusione romantica sugli eroi al di sopra delle genti, di cui l’Ottocento era stato costellato, così simili ai soldati di alto grado che nella maggior parte dei casi si erano tenuti ben lontani dal macello delle prime linee e dei bombardamenti. Alle Nazioni sconvolte serviva una persona qualsiasi da celebrare, simile agli affetti perduti al fronte.

Guardia d’onore alla tomba del Milite Ignoto sovrastata dalla statua della dea Roma presso il Vittoriano

Chi è il Milite Ignoto? Istituzione di un simbolo

Il Milite Ignoto è per definizione una persona non identificata, necessaria a commemorare tutti quei caduti in guerra a cui non è stato possibile dare un nome, soldati di cui qualcuno avrebbe aspettato vanamente in eterno il ritorno o almeno la conferma di un decesso, di un luogo in cui recarsi a piangerli: la massiccia presenza di vittime senza nome accomunava tutti i popoli europei che avevano preso parte alla Grande Guerra. I primi a cogliere e concretizzare il bisogno furono inglesi e francesi, che nel 1920 seppellirono i rispettivi Unknown Warrior a Westminster e Soldat Inconnu sotto l’Arc de Triomphe. Anche gli italiani, con 650.000 soldati morti – oltre ai 600.000 civili – avevano le loro lacrime da versare: su insistenza del generale Giulio Douhet (che non era comunque un filantropo, essendo tra i maggiori sostenitori dell’utilizzo dei bombardamenti strategici sulle città nemiche per stroncarne la produttività industriale) nel 1921 la Camera approvò il progetto di scegliere un caduto ignoto da onorare con una sepoltura nel Vittoriano a Roma. L’incarico fu affidato a una commissione, che si recò nelle undici sezioni in cui era suddiviso il fronte italiano durante la Guerra, dall’area di Rovereto alle coste del Carso, e da ognuna prelevò una salma senza nome da trasportare prima a Gorizia e poi nella basilica di Aquileia. Era il 28 ottobre 1921.

Giulio Douhet
Antonio Bergamas

A questo punto era il momento della delicata scelta: solo una delle salme avrebbe avuto l’onere di rappresentare i compagni caduti viaggiando fino a Roma. Ancora una volta si procedette per vie solenni: a scegliere il Milite Ignoto tra quegli undici sarebbe stata Maria Blasizza, madre di Antonio Bergamas, un giovane irredentista di cittadinanza austroungarica che si era arruolato tra le fila italiane, e il cui luogo di sepoltura era stato devastato da un bombardamento di artiglieria rendendone impossibile ogni successiva identificazione. Pare che Maria, in quel momento in cui idealmente stava rappresentando anche le centinaia di migliaia di madri orfane di figlio, si sia accasciata sulla decima bara, con un mazzo di fiori in mano.

Le undici bare nella basilica di Aquileia

Cominciò così il viaggio del Milite Ignoto, su un treno che possiamo immaginare amaramente simile alla tradotta che l’aveva portato a morire. La bara era posta sul marziale affusto di un cannone e portata in processione insieme a reduci decorati, attraversando le stazioni a passo d’uomo tra ali di folla silenziosa. Le testimonianze del viaggio sono state raccolte in un Fondo presso l’archivio del Museo del Risorgimento di Roma.

Madri e vedove di caduti seguono il carro funebre

Terminata la traversata, il 2 novembre la salma venne accolta trionfalmente nella Capitale, benedetta da un vescovo e depositata nella basilica di Santa Maria degli Angeli. Due giorni dopo, a tre anni dal cessare delle ostilità, il Milite Ignoto partì per il suo ultimo viaggio verso l’Altare della Patria, che accoglieva così simbolicamente nel suo grembo tutti i figli della nazione morti senza nome. Nelle maggiori città della Penisola altre celebrazioni accompagnarono la tumulazione.

Le contraddizioni della celebrazione

Fin da subito le contestazioni fioccarono: tutti quei politici e alti ufficiali solenni, compostamente commossi e ripuliti per l’occasione, stridevano con il massacro a cui avevano condannato i figli della Patria sulle montagne. Socialisti e anarchici sostenevano che gli stessi che ora si mostravano trionfi in parata non avessero visto nulla della Grande Guerra e che non potesse essere un militare a rappresentare le vittime del conflitto che aveva fatto della leva obbligatoria di massa la sua principale e forse unica strategia a lungo termine. A morire erano state persone comuni più che soldati di vocazione.

Peraltro istituzioni e piazze brulicavano già dei fascisti che di lì a un anno avrebbero marciato su Roma o sarebbero saliti sul carro dei vincitori, con buona pace delle vittime innocenti della Guerra. Il fascismo avrebbe fatto del Milite Ignoto uno dei suoi simboli di maggiore successo, con la sua compostezza, il suo severo ritegno, morto nel più estremo e cieco dei sacrifici, quello per una Nazione che gli chiedeva solo di lanciarsi contro il fuoco di una mitragliatrice dopo aver vissuto per mesi o per anni nel fango ghiacciato, senza chiedersi nemmeno perché. E il Milite non poteva – e non può tuttora – rispondere, contestare, rispondere che forse veder morire tutti quei giovani sui vent’anni non era la sua principale aspirazione da figlio del secolo. Era l’inizio dello storpiamento di una figura martoriata, che solo in un mondo illusorio poteva essere capace di assumere su di sé tutti quei lutti. E non sarà di certo l’esaltazione della guerra che continua ad avvenire ogni 4 novembre, festa delle Forze Armate, a dare un senso alla morte di quel ragazzo, avvenuta chissà dove.

 Cimitero di noi solda’
Forse un giorno ti vengo a trova’

 

 

Daniele Rizzi

  

 

(1) Breve accenno alla sua costruzione (f.d.b.)

Il Monumento nazionale a Vittorio Emanuele II o (mole del) Vittoriano, chiamato per sineddoche  Altare della Patria, è un monumento nazionale italiano situato a Roma, in piazza Venezia, sul versante settentrionale del colle del Campidoglio, opera dell’architetto Giuseppe Sacconi. È situato al centro della Roma antica e collegato a quella moderna grazie a strade che si dipartono a raggiera da piazza Venezia. La sua costruzione iniziò nel 1885 e i lavori si conclusero nel 1935: tuttavia, già nel 1911, il monumento fu inaugurato ufficialmente ed aperto al pubblico, in occasione delle celebrazioni del 50º Anniversario dell’Unità d’Italia. Da un punto di vista architettonico è stato pensato come un moderno foro, un’agorà su tre livelli collegati da scalinate e sovrastati da un portico caratterizzato da un colonnato. (Wikipedia)

 

 

Daniele Rizzi Nato nel ’96, bisognoso di sole, montagne, musei e drink dai nomi bizzarri. Specializzato in storia economica, sociale e culturale del Medioevo, interessato a un po’ troppe cose. Credo nel ruolo sociale dell’umanesimo e mi turba chi si prende sempre sul serio. Mi fermo sempre ad accarezzare i gatti per strada.

 

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