Una forza, infinite declinazioni: dalle emozioni alla fisica, dall’arte alla biologia, l’attrazione regola il mondo visibile e invisibile.
DALL’AMORE ALLA GRAVITÀ: IL MONDO SECONDO L’ATTRAZIONE
Dalla chimica dei sentimenti alla fisica dell’universo, esplorando le leggi che ci avvicinano
Redazione Inchiostronero
“Come funziona l’attrazione?” è un saggio divulgativo che esplora in profondità le molteplici forme di attrazione che attraversano la nostra esistenza: sentimentale, fisica, chimica, estetica, sociale e culturale. Ispirato al numero monografico dell’Almanacco della Scienza del CNR, il testo accompagna il lettore in un viaggio affascinante tra neuroscienze e poesia, tra strategie riproduttive animali e sindromi da sovraccarico estetico come quella di Stendhal. L’articolo indaga cosa ci spinge gli uni verso gli altri e verso ciò che desideriamo: le dinamiche neurochimiche dell’amore, il comportamento delle zanzare attratte dal nostro odore, le leggi della gravitazione universale, le dipendenze alimentari e psicologiche, fino all’arte che ci commuove e ai meccanismi che rendono irresistibile un prodotto sullo scaffale. Attraverso citazioni letterarie, riferimenti scientifici e contributi di ricercatrici e ricercatori del CNR, si costruisce un racconto che mostra come l’attrazione non sia solo una forza fisica, ma anche un motore narrativo, una pulsione vitale, un legame invisibile che connette ogni elemento dell’universo. Un invito alla meraviglia e alla consapevolezza, per riscoprire le forze che ci muovono — dentro e fuori.
L’attrazione è una forza primordiale, una spinta invisibile che tende naturalmente all’incontro, all’unione, alla prossimità. È il principio che fa convergere due corpi nello spazio, due anime in una relazione, due particelle in una reazione chimica. Si manifesta nei moti planetari e nei battiti accelerati del cuore innamorato, nei campi magnetici e nei profumi che ci seducono. È ovunque, spesso senza che ce ne accorgiamo: nella scelta di un libro, nel richiamo di un volto, nella danza silenziosa tra molecole e neuroni.
Per esplorare questa forza tanto universale quanto sfuggente, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) ha dedicato un intero numero dell’Almanacco della Scienza al tema dell’attrazione, coinvolgendo ricercatrici e ricercatori di diversi ambiti. Il risultato è un affascinante mosaico di riflessioni e scoperte che attraversano le neuroscienze, la fisica, la biologia, la chimica, la sociologia e perfino l’estetica. Un viaggio multidisciplinare per capire cosa ci attira, perché ci attira, e come l’attrazione influenzi ogni aspetto della nostra vita — dalla biologia alla cultura, dalla quotidianità alle galassie.
“Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.”
— Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe
L’amore e il cervello: chimica del desiderio e ormoni della connessione
L’attrazione sentimentale, contrariamente a quanto si tende a credere, non nasce nel cuore, ma nel cervello. Il batticuore, le farfalle nello stomaco, la sensazione di “essere travolti” da un incontro — sono manifestazioni fisiche e poetiche di processi profondamente biologici, innescati da una fitta rete di neurotrasmettitori, ormoni e circuiti cerebrali. Come spiega Antonio Cerasa, direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche del CNR, il desiderio, l’innamoramento e l’attaccamento non sono un mistero insondabile, ma una danza perfettamente orchestrata tra chimica e psiche.
Helen Fisher, antropologa e una delle maggiori esperte mondiali di biologia dell’amore, ha individuato tre sistemi cerebrali distinti ma intrecciati che regolano le fasi dell’amore umano (Why We Love, 2004):
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Desiderio sessuale: è il primo motore, legato alla dopamina e alla serotonina, e ha lo scopo evolutivo di spingere l’individuo alla riproduzione. È attrazione fisica pura, spesso immediata, ma fugace.
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Amore romantico: è più intenso e focalizzato, coinvolge dopamina e norepinefrina, e può generare euforia, ossessione, perdita di appetito e sonno. È la fase dell’idealizzazione dell’altro, dell’“effetto droga” dell’innamoramento.
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Attaccamento: è il legame che si sviluppa nel tempo, favorito da ossitocina e vasopressina, ormoni che promuovono la fiducia, la connessione profonda e la stabilità a lungo termine.
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“Ci innamoriamo con il corpo, restiamo legati con la mente.” — Helen Fisher, Why We Love
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A ogni fase, corrisponde un assetto neurochimico specifico. Quando siamo innamorati, l’attività del nostro cervello cambia: si attivano aree legate al piacere e alla ricompensa (come il nucleo accumbens), mentre si “spengono” in parte le aree preposte al giudizio e alla valutazione critica. L’amore ci rende vulnerabili, ma anche straordinariamente creativi, come se il cervello sospendesse la razionalità per favorire l’intimità e il rischio emotivo.
Ma l’amore non è solo biologia. È anche cultura, narrazione, memoria. Le esperienze pregresse, i modelli relazionali appresi, i valori interiorizzati, influenzano profondamente chi ci attrae e come viviamo il legame. La chimica, da sola, non basta. È come una scintilla che può accendere il fuoco, ma senza ossigeno — cioè senza condivisione, cura, reciprocità — quel fuoco si spegne.
In questo senso, l’attrazione è una fusione tra istinto e costruzione, tra imprinting evolutivo e immaginario personale. Un gioco complesso in cui la biologia suggerisce, ma l’esperienza — e l’umanità — scrivono la storia.
La chimica dell’attrazione: zanzare, feromoni, fiori
Come spiega Diego Fontaneto, dell’Istituto di ricerca sulle acque del CNR, anche i più piccoli e semplici esseri viventi si affidano a forme sofisticate di attrazione per sopravvivere e riprodursi. Insetti, piante e microrganismi hanno sviluppato nel corso dell’evoluzione strategie basate su segnali chimici e sensoriali per comunicare, orientarsi e scegliere. Le zanzare, ad esempio, non pungono a caso: sono attratte da composti organici volatili emessi naturalmente dal nostro corpo, come l’acido lattico, l’ammoniaca e l’anidride carbonica. Alcuni studi hanno persino dimostrato che il gruppo sanguigno, la temperatura corporea e la flora batterica cutanea influenzano la probabilità di essere scelti come “bersaglio”.
Il mondo vegetale, dal canto suo, ha trasformato l’attrazione in un’arte evolutiva. I fiori emettono una combinazione di segnali visivi — colori vivaci, simmetrie ipnotiche — e messaggi olfattivi, veri e propri feromoni vegetali, capaci di attirare impollinatori specifici come api, farfalle, colibrì. Alcuni fiori imitano addirittura l’aspetto di insetti femmina per attrarre i maschi di quella specie e garantirsi l’impollinazione. È un meccanismo finissimo, in cui l’attrazione diventa strumento di dialogo biologico: un linguaggio non verbale che unisce specie diverse in un equilibrio funzionale.
Questa chimica silenziosa è una delle forme più antiche e raffinate di comunicazione tra viventi. Dimostra che l’attrazione non è solo emozione o impulso, ma può essere anche strategia, codice, forma di intelligenza naturale.
L’attrazione al supermercato e il neuromarketing
Luca Pappalardo, ricercatore dell’Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione del CNR, ci accompagna nel mondo affascinante — e spesso invisibile — delle nostre scelte quotidiane. Il supermercato, in apparenza un semplice luogo di approvvigionamento, è in realtà uno spazio studiato nei minimi dettagli per guidare il comportamento del consumatore attraverso forme sottili di attrazione multisensoriale.
Colori caldi nelle corsie del pane e della frutta, profumi dolci e rassicuranti diffusi artificialmente, musica lenta in sottofondo, carrelli con ruote che scorrono più facilmente verso determinate direzioni: ogni elemento è calibrato per prolungare la permanenza, stimolare l’acquisto impulsivo e suggerire un’esperienza “emozionale” più che razionale. Anche il posizionamento dei prodotti sugli scaffali segue precise logiche di attrattività visiva e accessibilità motoria: i prodotti più redditizi sono a livello degli occhi, mentre quelli base (e meno lucrativi) sono in basso o in alto.
Il neuromarketing — disciplina che unisce neuroscienze, psicologia cognitiva e strategie commerciali — ha mostrato come le scelte di consumo siano fortemente influenzate da stimoli sensoriali e affettivi che agiscono a livello inconscio. I nostri cervelli rispondono in modo immediato a stimoli visivi, olfattivi e acustici che evocano emozioni arcaiche: la sicurezza del nido, il desiderio di abbondanza, il bisogno di riconoscersi in un gruppo.
“Comprare non è solo soddisfare un bisogno. È rispondere a un richiamo emotivo, a volte ancestrale.” – L. Pappalardo
Anche i packaging raccontano storie: forme tonde evocano morbidezza e maternità, mentre quelle squadrate richiamano ordine e razionalità. Un semplice cartone del latte può diventare un oggetto di attrazione psicologica se associato a valori come naturalità, infanzia, autenticità.
In questo contesto, l’attrazione è un’interfaccia tra cervello e mercato, un linguaggio sottile tra desiderio e strategia, tra emozione e decisione. Non ci innamoriamo solo delle persone — ci innamoriamo anche, senza accorgercene, dei prodotti che parlano la lingua invisibile delle nostre emozioni più profonde.
L’arte che toglie il fiato: la sindrome di Stendhal

Uno degli esempi più spettacolari dell’attrazione emotiva è l’esperienza estetica intensa. Alcune persone, di fronte a opere d’arte straordinarie, manifestano una condizione psicosomatica nota come sindrome di Stendhal: tachicardia, vertigini, allucinazioni visive o uditive. Prende il nome dallo scrittore francese che, visitando Firenze nel 1817, scrisse:
“Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti e i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere” — Stendhal, Roma, Napoli e Firenze
La psicologa Graziella Magherini negli anni ’80 studiò oltre 100 casi a Firenze, spesso davanti agli affreschi di Santa Croce o agli Uffizi.
Questa forma di attrazione non è razionale. È una scossa interiore, un’epifania. L’arte ci attira perché parla direttamente a quell’istinto estetico che Platone chiamava eros il desiderio del bello, una forza dell’anima che ci spinge a cercare ciò che ci eleva, che risveglia meraviglia e sete di verità. Non si trattava solo di attrazione fisica, ma di un impulso profondo verso la conoscenza, la bellezza spirituale, l’armonia delle idee. L’eros, nella sua visione, è il motore dell’innalzamento dell’essere umano: dal corpo all’anima, dall’apparenza all’essenza, dall’amore sensibile all’amore per il sapere.
Attraverso l’attrazione per il bello, secondo il filosofo, impariamo ad amare non solo ciò che è gradevole ai sensi, ma anche ciò che nutre l’intelletto e lo spirito. In questo senso, l’attrazione è molto più di una reazione istintiva: è una tensione creativa, un ponte tra il finito e l’infinito, tra ciò che siamo e ciò che potremmo diventare.
Natura e animali: strategie dell’attrazione
Nel mondo naturale, l’attrazione non è mai casuale: è strategia, linguaggio, adattamento. Come racconta Ester Cecere, già ricercatrice dell’Istituto di ricerca sulle acque del CNR, molte specie animali – soprattutto quelle marine – hanno sviluppato meccanismi sorprendenti per attirare i propri simili, sia in funzione riproduttiva sia per costruire relazioni cooperative, come quelle tra prede e protettori, o tra simili che si riconoscono e si aggregano.
Nei fondali marini, la seduzione assume forme quasi poetiche: le danze nuziali dei cavallucci marini, per esempio, sono veri e propri rituali coreografici in cui i partner si sincronizzano, si toccano, cambiano colore e si muovono all’unisono prima dell’accoppiamento. Un corteggiamento che, oltre a rafforzare il legame, serve a testare la compatibilità biologica.
Ancora più spettacolari sono le bioluminescenze dei calamari e di altri animali abissali, che sfruttano la luce prodotta da reazioni chimiche per comunicare, disorientare predatori, attrarre partner. In un ambiente dove la luce del sole non arriva, la luce “prodotta” diventa un messaggio visivo potentissimo.
E poi c’è il canto: quello delle balene megattere,(1) ad esempio, può durare ore ed estendersi per centinaia di chilometri. Non è solo un mezzo per richiamare un partner, ma anche una forma di narrazione sonora: complessa, ripetitiva, a volte improvvisata. Alcuni studiosi parlano di vere e proprie “composizioni musicali” sottomarine.
Ma non sono solo gli animali a parlare il linguaggio dell’attrazione. Il mondo vegetale è maestro in questa arte silenziosa. Come ricorda il botanico Francis Hallé, “i fiori sono strumenti di seduzione architettonica”. La loro forma, il colore, la simmetria, la fragranza: tutto è progettato dall’evoluzione per rendere la pianta irresistibile agli occhi – e agli apparati sensoriali – degli impollinatori.
Alcune orchidee, per esempio, imitano perfettamente l’aspetto e il profumo delle femmine di specifici insetti, attirando così i maschi che tentano un accoppiamento e, involontariamente, trasportano il polline. È inganno biologico, sì, ma anche ingegno: una seduzione tanto efficace quanto innocente.
In natura, l’attrazione è un codice relazionale che si rinnova e si perfeziona. È sopravvivenza travestita da bellezza, adattamento mascherato da danza. E noi, esseri umani, non ne siamo affatto esclusi: siamo attratti dai paesaggi, dai colori autunnali, dal canto degli uccelli, dal profumo del bosco dopo la pioggia. Anche qui, qualcosa ci chiama. Ci attrae. Ci lega.
Gravità, poesia e mito: l’attrazione nella fisica e nel pensiero umano
Dalla caduta della mela che ispirò Isaac Newton fino alla recente scoperta delle onde gravitazionali, la gravità è probabilmente la forma più pura, invisibile e onnipresente di attrazione. È una forza fondamentale, responsabile della coesione dell’universo: mantiene i pianeti in orbita, regola i movimenti delle galassie, tiene ancorati i nostri corpi alla Terra. È ciò che impedisce al cosmo di disperdersi nel caos.
Ma la gravità non è solo una legge della fisica: è anche una potente metafora esistenziale. Da secoli, poeti e filosofi la evocano per parlare di amore, destino, nostalgia, senso di appartenenza. La gravità diventa simbolo di ciò che ci lega — non per costrizione, ma per attrazione profonda, silenziosa, naturale.
In molte culture, la gravità è stata interpretata come manifestazione del divino: la forza invisibile che tiene insieme il cielo e la terra, l’anima e il corpo. Nella mitologia greca, l’ordine cosmico era mantenuto da forze armoniche; nel pensiero orientale, è lo yin a esercitare una forma di attrazione contenitiva sullo yang. La scienza moderna, in questo senso, non ha fatto che tradurre in formule ciò che l’intuizione antica già riconosceva: l’universo tende all’unione, non alla dispersione.
“Tutto se strigne, tutto se vole bene / ‘na calamita che nun la vedi, ma ce tiene.” — Alessandro Moriconi, “Sonetto sulla gravità”
Nel suo sonetto in dialetto romanesco, il ricercatore Alessandro Moriconi riesce a condensare in pochi versi l’essenza poetica della gravità: una forza che non si vede, ma si sente — come l’amore, come l’appartenenza, come il dolore per chi ci manca. La “calamita” è l’immagine perfetta: un oggetto semplice, quotidiano, ma capace di trattenere senza toccare, di attirare senza gridare.
Anche in letteratura la gravità diventa metafora dell’attrazione umana. In Shakespeare, l’amore ha il peso delle stelle; per Emily Dickinson, è una “solennità leggera”. In fisica, la gravità curva lo spazio-tempo; in poesia, curva le emozioni, piega il desiderio verso chi ci attira.
E poi c’è la meraviglia dell’ignoto: le onde gravitazionali, previste da Einstein e rilevate per la prima volta nel 2015, sono increspature nello spazio-tempo generate da eventi cosmici estremi — come la fusione di due buchi neri. Queste onde non emettono luce né suono, ma trasportano informazione e memoria: sono il racconto silenzioso di ciò che accade lontanissimo da noi, eppure capace di influenzarci.
Forse, in fondo, l’attrazione — in ogni sua forma — è proprio questo: una forza che opera nel silenzio, ma lascia tracce. Che non ha voce, ma muove tutto.
Dipendenze, cibo e attrazione gustativa
Nel regno dell’attrazione, poche forze sono tanto potenti e pervasive quanto quella esercitata dal piacere del gusto. Il nostro cervello è biologicamente programmato per cercare ciò che ci gratifica, e il cibo — con la sua combinazione di sapori, odori, consistenze e ricordi — è uno dei principali canali attraverso cui si esprime questa attrazione. Ma come spiega Sabrina Molinaro, dell’Istituto di fisiologia clinica del CNR, non tutti i piaceri gustativi sono innocui.
Sostanze come zucchero, alcol e nicotina possono simulare il funzionamento del sistema di ricompensa cerebrale, attivando i recettori dopaminergici in modo simile a droghe ben più potenti. Il risultato è un’illusione di benessere immediato, che però altera progressivamente i circuiti del piacere e del controllo, creando dipendenza. L’attrazione diventa trappola, il desiderio si trasforma in bisogno.
Questi meccanismi sono noti come “hijacking del sistema dopaminergico”: il cervello, in pratica, viene ingannato e inizia ad associare il consumo di certe sostanze a una gratificazione primaria, difficilmente sostituibile. È per questo che le dipendenze alimentari — soprattutto legate a cibi ultraprocessati, ricchi di zuccheri semplici e grassi — sono oggi al centro dell’attenzione scientifica e clinica.
Eppure, come ci ricorda Concetta Montagnese nella rubrica Salute a tavola, il cibo può essere anche fonte di attrazione benefica, se riscoperto nella sua dimensione naturale e armonica. Spezie e erbe aromatiche, spesso trascurate nella cucina quotidiana, hanno proprietà sensoriali e terapeutiche sorprendenti. Lo zenzero, ad esempio, stimola la digestione e ha effetti antinfiammatori; la curcuma è un potente antiossidante naturale; l’anice stellato favorisce la distensione addominale e dona ai piatti una nota profumata che richiama la memoria e il conforto. In questo senso, l’attrazione gustativa può diventare una forma di educazione emotiva e sensoriale, un invito a riconoscere ciò che ci fa davvero bene, senza rinunciare al piacere.
Il gusto, infatti, non è solo una funzione fisiologica: è anche un’esperienza culturale, affettiva, estetica. Scegliere cosa mangiare significa raccontare chi siamo, da dove veniamo, cosa desideriamo. E ogni piatto può essere un atto di attrazione consapevole: verso il benessere, la memoria, la cura di sé.
Musei, cinema e cultura: attrazione mentale e immaginativa
L’attrazione non si manifesta solo nei gesti fisici o nei legami biologici. Esiste anche un’attrazione mentale e immaginativa, che si insinua nei meandri dell’emotività, della creatività e del pensiero. È quella che proviamo verso un’opera d’arte che ci cattura, un film che ci turba, un’idea che ci affascina fino a ossessionarci. Anche la cultura, in tutte le sue forme, è un campo magnetico — invisibile ma potentissimo — che ci attira, ci plasma e ci trasforma.
Nel film “Misery non deve morire”, tratto dal romanzo di Stephen King e commentato da Flavia Marino nella rubrica Cinescienza, il rapporto tra scrittore e lettrice supera i confini dell’ammirazione, sfociando in un’attrazione malata, morbosa, fatta di possesso e controllo. Annie Wilkes, la fan che tiene prigioniero lo scrittore Paul Sheldon, incarna una forma estrema di dipendenza emotiva: la voglia di possedere l’oggetto della propria fascinazione, di controllarne il destino narrativo e personale. È l’ombra dell’attrazione, quella che non si accontenta del contatto ma esige la fusione, l’annullamento dell’altro.
Ma se il cinema esplora spesso i lati oscuri dell’attrazione, i musei ne celebrano la forza educativa e conoscitiva. Al Museo delle Scienze di Trento, la mostra Food Sound invita i visitatori a scoprire l’universo acustico del cibo: lo scricchiolio del pane, il fruscio della frittura, il tintinnio delle stoviglie diventano esperienze sinestetiche che attivano memoria, gusto, udito e curiosità. È una forma di attrazione sensoriale che coinvolge più canali percettivi contemporaneamente, rendendo il sapere un’esperienza fisica, non solo intellettuale.
Il Museo Enrico Fermi di Roma, invece, esercita un’altra forma di richiamo: quella della conoscenza storica e scientifica. Situato nell’edificio dove il celebre fisico lavorò con i “ragazzi di via Panisperna”, è una calamita culturale che attira studiosi, appassionati, studenti e cittadini curiosi. Lì, l’attrazione si fa memoria e ispirazione: la possibilità di entrare in contatto con il luogo in cui sono nate alcune delle scoperte più importanti del Novecento crea un ponte tra passato e futuro, tra sapere e identità collettiva.
In fondo, cultura e immaginazione funzionano come campi gravitazionali: ci attraggono verso ciò che non conosciamo, ma che ci somiglia. Un libro, un quadro, una canzone, un luogo della scienza — tutto può diventare centro di gravità intellettuale, specchio interiore, stimolo all’esplorazione.
Attrazione mentale, quindi, significa anche desiderio di senso, fame di storie, sete di bellezza. È la spinta a capire, ad ascoltare, a cercare connessioni invisibili tra idee, emozioni e saperi.
Conclusione: attratti per natura
In fondo, l’attrazione è il principio invisibile che tiene insieme il tutto: dagli atomi che si aggregano per formare la materia, alle orbite dei pianeti che disegnano l’armonia cosmica; dalle onde elettromagnetiche che ci connettono, ai fili emotivi che ci legano agli altri esseri umani. È una forza antica e misteriosa, ma anche quotidiana, tangibile, profondamente nostra.
Ogni incontro significativo — tra persone, idee, forme, colori, suoni — nasce da un’attrazione. Un movimento spontaneo verso ciò che ci incuriosisce, ci nutre, ci sorprende. Ma l’attrazione non è solo desiderio di vicinanza: è anche tensione verso l’ignoto, verso ciò che ci manca o ci supera. È un atto di apertura, di riconoscimento, e a volte persino di sfida.
Non è solo una reazione chimica, ma una vocazione interiore, una chiamata che può essere biologica, sensuale, estetica, intellettuale o spirituale. È ciò che ci guida nella scelta di una strada, di un volto, di una parola. È la scintilla che accende la creazione, il dialogo, l’empatia. E, forse, anche l’amore.
Comprendere l’attrazione — osservarne i meccanismi, le deviazioni, le bellezze e le insidie — è un modo per conoscere noi stessi e il nostro posto nel mondo. Perché ciò che ci attrae dice molto di ciò che siamo, ma anche di ciò che potremmo diventare. Siamo, in definitiva, ciò che scegliamo di seguire.
“Siamo attratti da ciò che ci completa, ci rispecchia o ci sfida.Senza attrazione, la vita sarebbe statica, incolore, immobile.”— Creative Writing Coach
Attratti per natura, dunque. Non per debolezza, ma per vocazione. Perché l’essere vivi significa anche essere in movimento, orientati, sensibili. E forse il senso più profondo dell’attrazione è proprio questo: non lasciarci mai del tutto fermi.

Bibliografia integrativa
- Fisher, H. (2004). Why We Love: The Nature and Chemistry of Romantic Love. Henry Holt.
- Verhulst, N. O., et al. (2011). “Chemical ecology of interactions between humans and mosquitoes.” PLoS ONE.
- Koob, G.F. (2009). “Dynamics of neuronal circuits in addiction.” Neuropsychopharmacology.
- Magherini, G. (1989). La sindrome di Stendhal. Feltrinelli.
- Platone, Simposio (traduzioni varie)
- Hallé, F. (2002). L’incredibile viaggio delle piante. L’ippocampo.
- Morin, C. (2011). “Neuromarketing: The New Science of Consumer Behaviour.” Journal of Consumer Behaviour.
Approfondimenti del Blog

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