Una settimana di fine marzo

DANTE & GOETHE


Una settimana di fine marzo. Tempo incerto, sospeso tra coda dell’inverno e fioriture primaverili.

E sospeso anche fra due poeti. Grandi. Grandissimi.

Dante. Il 25 cadeva il, cosiddetto, Dantedì. Terribile! L’Alighieri, da buon fiorentino, prenderebbe a scudisciate chi utilizza questo obbrobrio. Giorno di Dante, s’ha da dire… la maiala de…

“se mai continga che ‘l poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra sì che m’ ha fatto per più anni macro, vinca la crudeltà che fuor mi serra del bello ovile, ov’ io dormi’ agnello nimico ai lupi, che li danno guerra; con altra voce omai, con altro vello ritornerò poeta, ed in sul fonte del mio battesmo prenderò ‘l cappello” Dante, par, xxv, 1-9.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E il 22 Marzo ricorre l’anniversario della morte di Goethe. A Weimar nel 1832.

Ora, io non ho mai amato il gioco, e le celebrazioni farlocche, degli anniversari. Mi sembrano roba posticcia, artificiale. Per semplificare, Dante è Dante e Goethe è Goethe 365 giorni l’anno. E se uno ama la poesia, lo sa bene. Se preferisce altro… non c’è una giornata particolare in cui smetta di pensare al centravanti dell’Atalanta, o agli hamburger di McDonald’s.

Però questa volta faccio un’eccezione. Perché siamo in marzo. Ed il 25 marzo di moltissimi anni fa l’Alighieri cominciò il suo Viaggio. La discesa agli Inferi.

E Goethe, nello stesso periodo prossimo alla Pasqua, secoli dopo, andò a verificare quei cieli tersi, dove Padre Seraficus medita e il Femminino Eterno si manifesta. Quei cieli che aveva descritti nel finale del Faust.

Dante e Goethe non sono due poeti, per quanto grandi. Sono i Poeti. Quelli che segnano le vie della nostra modernità. Così come Omero e Virgilio segnarono quelle della civiltà antica.

Goethe nella campagna romana

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella Commedia possiamo contemplare la discesa negli abissi della nostra anima. La, faticosa, risalita verso una conoscenza che purifica e rende liberi.

Infine, la Luce. In tutte le sue gradazioni.

Nel Faust l’irrequietezza dell’uomo moderno di fronte al tempo che fugge.

Il desiderio inappagato e l’orizzonte che sempre si allontana.

Infine, il mistero del tempo ritrovato, della sabbia che risale nella clessidra. Nel paradossale realizzarsi di qualcosa di, apparentemente, normale. Il riscatto della quotidianità. Che si fa, anch’essa, Luce. E libera dagli artigli di quel simpaticone di Mefistofele.

Certo, di entrambi i poeti, vi sono altre opere. La Vita Nova, ed il Sacro Amore. Che è, però, premessa essenziale al Viaggio.

Caspar David Friedrich, Il viandante sul mare di nebbia, 1817-18, Amburgo, Kunsthalle. La figura del Viandante (in tedesco Wanderer, da wandern: vagare, errare) si ritrova spesso nella cultura romantica tedesca. Lo stesso Goethe l’aveva già usata in gioventù, tra l’altro nel famoso Wanderers Nachtlied, Il canto notturno del viandante, celebre poesia composta tra il 1776 e il 1780.

Il Divano Occidentale Orientale. La capacità di afferrare le antitesi. E di portarle ad una sintesi superiore. Che è, però, la ricerca di Faust.

E vi sono, nella nostra tradizione, altri poeti grandi. Grandissimi. Shakespeare, Cervantes… per fare solo due nomi. Che Harod Bloom ha posto al centro del suo Canone Occidentale.

E ci sono altre traduzioni, altre lingue, altri poeti. La mistica sublime di Rumī. L’eros spirituale di Tagore… anche qui per fare solo due citazioni.

William Shakespeare

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma la Commedia e il Faust sono ben altro.

Le vie, forse la stessa, unica via dai due volti… che ci si aprono innanzi. Vie ardue. Ed aspre e forti. Che poco è più morte…

Ma sono le nostre, la nostra via.

Buona Pasqua a tutti.

Ala.de.granha
Andrea Marcigliano

 

 

 

 

 

 

 

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