Pensieri e riflessioni di una viaggiatrice culturale
DIARIO DI UNA FLÂNEUSE – CINQUE –
Redazione Inchiostronero
La bellezza di una città non si trova nei monumenti più famosi o nelle piazze più frequentate. È nascosta nei dettagli, in quelle piccole cose che non si vedono di sfuggita. Camminare senza fretta è come passare dall’alta definizione di una fotografia alla delicatezza di una pennellata: ti accorgi di ciò che prima ignoravi, perché il tuo sguardo si allarga e si approfondisce.

Mi chiamo Livia, e viaggio per perdermi. Non cerco itinerari precisi, non colleziono check-list di luoghi da visitare. Mi lascio guidare dalle città, dai vicoli silenziosi e dalle storie che si nascondono tra le pagine di un vecchio libro trovato per caso.
A Parigi, ho camminato lungo la Senna al tramonto, lasciando che i versi di Baudelaire si intrecciassero con il rumore dell’acqua. A Praga, ho seguito le ombre di Kafka tra i vicoli della Città Vecchia, mentre nell’aria si diffondeva l’aroma caldo della cannella e del vino speziato. A Lisbona, mi sono persa nei quartieri colorati dell’Alfama, dove le note struggenti del fado si arrampicavano lungo i muri bianchi come sussurri malinconici.
A Edimburgo, una città di storie sospese tra realtà e leggenda, dove ogni pietra racconta un segreto. Qui, tra il vento del Nord e l’aroma antico delle librerie polverose, ho camminato senza fretta, lasciando che fosse la città a scegliere il mio percorso.

San Pietroburgo: Il richiamo di una città
C’è una città che da tempo mi chiama, senza voce e senza fretta. Una città di luce e di ombra, di oro e di gelo, di sogni e di rivoluzioni. San Pietroburgo.
Non so esattamente cosa mi spinga qui. Forse le pagine di Dostoevskij, lette nelle notti insonni, quando il respiro si fa sospeso e le strade brulicanti di anime erranti sembrano più reali della mia stanza. Forse i quadri dell’Ermitage, che immagino come finestre aperte su mondi che non ho ancora attraversato. O forse è solo il desiderio di camminare lungo la Prospettiva Nevskij e vedere se davvero, come scriveva Gogol’, “tutto è illusione”.
So solo che devo esserci. E che, come sempre, lascerò che sia la città a guidarmi.
L’aria è tagliente quando esco dall’aeroporto. Il cielo è di un grigio uniforme, senza traccia di sole. Respiro a fondo, lasciando che il freddo mi entri nei polmoni, come per sentire fin da subito la città sulla pelle.
Il taxi scivola lungo strade larghe e trafficate. Osservo dai finestrini i palazzi dalle facciate imponenti, alcuni restaurati e lucidi, altri con i segni del tempo impressi sui muri scrostati. Non riesco ancora a decifrare San Pietroburgo. Non mi offre un’immagine chiara di sé, si nasconde dietro il vetro appannato della macchina.

Arriviamo all’hotel, un edificio modesto in una strada laterale della Prospettiva Nevskij. L’interno è essenziale, con arredi in legno scuro e tappeti consumati. La mia stanza è piccola, ma ha una grande finestra che affaccia sui tetti della città. Resto qualche minuto a guardare fuori, lasciando che la vista mi dia un primo assaggio di San Pietroburgo.
Scendo quasi subito, con l’istinto di chi non vuole perdere tempo a sistemarsi. Il vento mi sferza il viso non appena metto piede in strada. Avvolgo meglio la sciarpa attorno al collo e inizio a camminare.
La Prospettiva Nevskij è un fiume di movimento: gente che cammina veloce, stretta nei cappotti, taxi che sfrecciano, il suono intermittente dei tram che scorrono sulle rotaie. Vetrine illuminate mostrano libri, orologi d’epoca, scatole di cioccolatini dalle confezioni raffinate. Un aroma dolce, misto a caffè e qualcosa di speziato, mi sfiora mentre passo accanto a una pasticceria.

La Cattedrale di Kazan’

Mi lascio trasportare dal flusso della città finché, sulla destra, appare la facciata gialla e bianca della Cattedrale di Kazan’. La sua forma a mezzaluna, con le imponenti colonne che si aprono verso la strada, mi attira come un abbraccio di pietra. Attraverso il colonnato e spingo la pesante porta di legno.
Dentro, l’atmosfera è completamente diversa. Il brusio della città scompare, sostituito da un silenzio denso, interrotto solo dal lieve crepitio delle candele e da un sommesso mormorio di preghiere. L’aria è satura dell’odore dolciastro della cera e dell’incenso.
Mi muovo piano, osservando la penombra attraversata dai raggi di luce che filtrano dalle finestre alte. Alcune donne, con il capo coperto da veli scuri, accendono candele davanti alle icone. Le loro labbra si muovono appena, sussurrando parole che non comprendo.
Mi siedo su una panca, lasciando che l’atmosfera mi avvolga. Penso a Dostoevskij, che veniva qui a pregare. Penso ai suoi personaggi tormentati, alla sua ricerca di redenzione.
Forse è per questo che sono venuta a San Pietroburgo. Per cercare qualcosa senza saperlo davvero.
Il caffè e l’incontro
Quando esco, il cielo si è fatto più scuro, anche se non è ancora sera. La luce riflessa sui marciapiedi bagnati crea giochi di riflessi, rendendo la città quasi irreale.
Sento il bisogno di calore. Individuo un piccolo caffè d’epoca, incastrato tra due edifici alti, con una vetrina che lascia intravedere un interno accogliente. Entro, lasciandomi avvolgere subito dal tepore e dal profumo del tè.
Il locale ha tavoli di legno scuro e un grande samovar fumante sul bancone. Mi siedo vicino alla finestra e ordino un tè nero con una fetta di limone.
Mentre sorseggio la bevanda bollente, la porta si apre e un uomo anziano entra, scuotendo la neve dal cappotto. Si siede al bancone, davanti a un bicchiere di tè senza zucchero.
Mi accorgo che mi sta osservando con la coda dell’occhio. Dopo un attimo, rompe il silenzio.

«Prima volta a San Pietroburgo?»
La sua voce è bassa, ma ferma. Alzo lo sguardo dalla mia tazza. Ha la barba bianca e il volto segnato dalle rughe, ma i suoi occhi sono vividi, attenti.
Annuisco. «Sì, sono arrivata oggi.»
Lui sorride appena, come se avesse già intuito la mia risposta.
«San Pietroburgo non si lascia capire subito. Ti osserva, ti mette alla prova. Ma se sai ascoltare, prima o poi si rivela.»
«E cosa dovrei ascoltare?» gli chiedo.
L’uomo guarda fuori dalla finestra, come se vedesse qualcosa che io ancora non riesco a cogliere.
«Il suono dei passi nella neve, quando finalmente arriverà. Il silenzio delle notti bianche, in estate. Il canto del vento sui canali.»
Stringo la tazza tra le mani. «Mi sembra una città malinconica.»
Lui sorride di nuovo, con un’ombra di nostalgia negli occhi. «Tutte le città belle lo sono.»
Resta in silenzio per qualche istante, poi si alza, infilando il berretto di lana.
«Vai a vedere il palazzo sulla riva opposta, vicino alla statua del Cavaliere di Bronzo. Di sera, quando le luci si riflettono sull’acqua. Poi mi dirai se San Pietroburgo è solo malinconica.»
Lo osservo mentre si allontana nel freddo della sera. Non so il suo nome, ma le sue parole mi rimangono addosso. Pago il conto e torno in strada.
La prima sera a San Pietroburgo

Il vento è più pungente ora, ma qualcosa dentro di me si è riscaldato. Cammino lungo la Neva, seguendo le indicazioni dell’uomo.
Quando arrivo alla riva opposta, vicino alla statua del Cavaliere di Bronzo, mi fermo. Il fiume riflette le luci della città come un frammento di cielo stellato rovesciato sull’acqua. Le cupole dorate lontane brillano debolmente, mentre le finestre dei palazzi sembrano occhi accesi nella notte.
San Pietroburgo mi guarda, e io la guardo a mia volta.
Forse l’uomo aveva ragione. Non è solo malinconia. È molto di più.


Pinuccia
17 Marzo 2025 a 15:44
Mi è piaciuto molto leggerò anche gli altri una descrizione della città fantasiosa e ricca di immagini
Riccardo Alberto Quattrini
17 Marzo 2025 a 16:21
Carissima Pinuccia, le tue parole sono un incentivo prezioso per continuare i viaggi di Livia.