”Sfidare i limiti è l’imperativo di quest’epoca. Andare oltre è l’emblema di un’idea di mondo “videogioco” inteso come unico e universale il cui obiettivo è il dominio assoluto delle forze selvagge del mercato e dell’accumulazione.
La cultura può essere definita come “l’insieme dei valori che determinano le frontiere di un gruppo umano” (Serge Latouche). Si costruisce dunque con riferimento allo statuto di limite: ogni civiltà si è caratterizzata per i limiti che si è assegnata. Tutte, tranne la civilizzazione dell’Occidente contemporaneo. Sfidare i limiti è l’imperativo di quest’epoca. Forzare i confini del possibile, passare il segno, trasgredire nel senso letterale di spingersi più in là. L’andare oltre contemporaneo è l’emblema di un’idea di dominio, un modello esistenziale inteso come unico e universale la cui regola è ignorare ogni limite, superare qualsiasi confine, territoriale, culturale, geopolitico, morale, antropologico, simbolico. La resistenza è considerata un’insignificante remora passatista della quale liberarsi. In realtà, come cercheremo di dimostrare, l’obiettivo è consentire alle forze selvagge del mercato e dell’accumulazione di dispiegare tutto il potenziale messo a disposizione da un doppio dominio, finanziario e tecnoscientifico.
È una novità assoluta, uno scenario che contraddice millenni di storia delle civiltà umane. La nostra nasce da una precisa cosmogonia, descritta nel Genesi, secondo cui Dio “maschio e femmina li creò”, quindi “prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: tu puoi mangiare da tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare” (Gen, 2,15). Quella conoscenza è il privilegio di Dio usurpato dall’uomo con il peccato originale, il quale altro non è che la volontà di passare il segno, decidere da sé sul bene e il male, la rivendicazione di autonomia morale attraverso la quale l’uomo rinnega la sua condizione di creatura.
[stextbox id=’download’ mode=’undefined’ color=’eb1313′]Il limite è momentaneamente vincente, come il principio di realtà, a sua volta sconfitto dall’ assenza di distinzione tra reale e virtuale. Il mondo è un videogioco, una scacchiera che libera dal vincolo spaziotemporale e relazionale.[/stextbox]
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La prima trasgressione è l’attentato di Adamo ed Eva alla sovranità di Dio. Non diversa fu la concezione del mito greco. Prometeo(1) è punito per aver rubato il fuoco agli dei. La vendetta di Zeus, scontata dall’umanità intera, è affidare il vaso contenente tutti i mali del mondo a Pandora(2), che non tarderà ad aprirlo. Prometeo incarna
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oggi l’ideale del progresso, perfino la rivolta contro il potere, ma in realtà la sua figura è il simbolo della nostra inquietudine rosa dall’incessante desiderio, dalla perenne insoddisfazione. Riflette il tormento, il rovello esistenziale dell’uomo in lotta con la caducità della sua presenza nel mondo. Sarà Goethe(3) a esprimerla in grande poesia nel celebre brano in cui Faust supplica “fermati, attimo, sei così bello”, un grido straziante di angoscia senza speranza. Icaro è punito con la morte per aver tentato ciò che all’uomo non è dato, volare come gli uccelli del cielo.
Ancora più stringente è l’idea di limite nell’Islam, la religione il cui significato sta nell’accettazione attiva della volontà di Allah, la ferma fiducia nel governo divino sulle cose umane, contenuta nel primo dei cinque “pilastri”, la professione di fede. La spiritualità orientale esprime la medesima accettazione del limite sia nell’idea della “via di mezzo” proposta da Budda, sia nell’armonia e organicità del Tao, “la via”, iconograficamente iscritta in un cerchio a sua volta diviso nello yinge nello yang, il bianco e il nero, ciascuno dei quali contiene una parte del suo opposto.
Dante, immenso poeta e grande filosofo, scrisse versi straordinari sulla necessità del limite e l’assurdità di superarlo. “State contenti, umana gente, al quia/che se potuto aveste veder tutto/mestier non era parturir Maria”, dice Virgilio, simbolo della ragione umana, riguardo l’insufficienza costitutiva della conoscenza umana. Le sue parole, pronunciate con gran turbamento nel Purgatorio, sono precedute da una terzina che è un trattato di teologia e filosofia morale: “matto è chi spera che nostra ragione/possa trascorrer la infinita via/che tiene una sustanza in tre persone.” Parole forti che Dante fece precedere, nel canto XXVI dell’Inferno, da quelle di Ulisse, simbolo della tensione umana verso l’infinito. L’uomo di Itaca esorta i compagni alla scoperta poiché “fatti non foste a viver come bruti, ma a seguir virtute e canoscenza”, ma riconosce che il viaggio oltre il limite è “un folle volo”. Ciononostante il destino dell’uomo – è la lezione di Dante, poeta cristiano – è lo stesso di Ulisse, mettersi “per l’alto mare aperto”, “infin che ’l mar fu sovra noi richiuso.” Solo l’abbandono, la constatazione che non possiamo “veder tutto” può farci accettare la nostra condizione imperfetta.
Dante ci consegna un’altra verità bruciante, l’arbitrarietà del limite, il cui rispetto si basa sull’idea di trascendenza, sul collocare l’Oltre in una dimensione altra e assoluta. La civilizzazione occidentale moderna è la prima ad aver rinunciato alla trascendenza, per questo non sa e non può riconoscere un limite, accettare una barriera invalicabile. Vani e patetici sono i richiami di diversi intellettuali all’autolimitazione. Uno fu Ivan Illich(4), che pure era un sacerdote cattolico, con il suo debole richiamo a riconoscere la profondità della crisi dell’uomo moderno accogliendo “il solo principio di soluzione che è offerto: stabilire, per accordo politico, una autolimitazione”. Uguale è la ricetta di Cornelius Castoriadis(5), per il quale “abbiamo bisogno di eliminare questa follia di espansione senza limite, abbiamo bisogno di un’ideale di vita frugale”, occorre la “padronanza del desiderio di controllo, una autolimitazione.”
Corrette diagnosi e prognosi, del tutto impraticabile la terapia, come curare il cancro con impacchi e tisane. Più penetrante l’analisi di Emile Durkheim(6), per il quale i bisogni e desideri umani possono essere soddisfatti soltanto se orientati da un’autorità morale riconosciuta legittima, in mancanza della quale gli uomini precipitano in quella che definisce anomia, assenza di regole, cioè di limiti. Ma quale autorità è moralmente legittima se il criterio di fondo è negare la legittimità stessa, una delle infinite varianti culturali del limite? Solo il richiamo ad un giudizio esterno che eccede e trascende l’essere umano può persuadere a non oltrepassare la soglia, convincendolo innanzitutto che la soglia esiste.
[stextbox id=’download’ mode=’undefined’ color=’eb1313′]Sfidare i limiti è l’imperativo di quest’epoca. Andare oltre è l’emblema di un’idea di mondo “videogioco” inteso come unico e universale il cui obiettivo è il dominio assoluto delle forze selvagge del mercato e dell’accumulazione.[/stextbox]
L’uomo occidentale moderno si è abbandonato a una sorta di caccia all’infinito, il programma di Francis Bacon nella Nuova Atlantide(7) “far arretrare i confini dell’impero umano per realizzare tutte le cose possibili”, giacché, scriveva il pensatore inglese, sapere è potere. Abbandonati i limiti, varcata la frontiera, prestata fede alla concezione di Dio di Feuerbach(8), invenzione consolatoria dell’uomo, una nuova fervida credenza si è impadronita del Faust d’Occidente: la scienza e la tecnica forniranno ogni risposta, risolveranno “tecnicamente” qualsiasi problema. Il limite, la morale, la stessa precauzione diventa così una camicia di forza di cui liberarsi, la trasgressione diventa un imperativo per la cui via siamo entrati nell’ipermodernità, il trionfo dell’illimitatezza.
Ha vinto il pessimismo pratico di Hobbes(9). Lasciato a sé stesso, l’uomo diventa un feroce predatore, è la guerra di tutti contro tutti dell’homo homini lupus, il cui rimedio è il potere assoluto del Leviatano, un demone oggi sostituito dalla scienza e dalla tecnica onnipotenti, irrefrenabili, imperativo di sé stesse, sciolte da qualsiasi precetto etico. Ciò che si può fare tecnicamente, si fa, anzi si deve fare; per le conseguenze, la soluzione si troverà e proverrà dalla tecnica. Vittoria dell’immanenza su tutta la linea, più una fiducia superstiziosa nella potenza infinita della ragione tecnoscientifica.
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La democrazia stessa, feticcio della modernità, è darsi dei limiti, organizzare il conflitto degli interessi e dei principi escludendo la violenza ed assegnando a procedure condivise il compito di designare chi detiene il potere per un tempo definito. L’assenza di limiti detronizza anche il libero arbitrio, declassato a volontà ossessiva di fare, correre, sperimentare, negando l’altro suo aspetto, la libertà di giudicare, eventualmente di non praticare, rifiutare come ingiusti, immorali, disumani, atti e principi in contrasto con il sistema di valori che è cornice della civiltà, limite a cui attenersi. Il Faust di Goethe, indicato come personaggio chiave, epitome, simbolo dell’uomo moderno, in realtà conserva un’alta considerazione per i limiti. Vuole conoscere tutto, ma la sua azione ha un fondo di disinteresse, non agisce per sete di dominio, è frenato da Margherita e, nel fondo del cuore, dall’idea di Dio.
Più sincero, più vicino allo spirito contemporaneo, è l’altro Faust, quello del Faust elisabettiano di Christopher Marlowe(10). La sua smania da alchimista di penetrare i segreti fisici è strumentale, volta al dominio, accecata dall’avidità, il godimento cui aspira è il potere, essere Dio in terra, il pentimento finale è tardivo e insincero. Un elemento contemporaneo è nel Doktor Faustus di Thomas Mann, il cui protagonista, il musicista Adrian Leverkuehn aspira al genio della creatività. Il maligno gli appare solo in sogno, ma ciò non significa, sono le sue parole, “che io non esista”.
La differenza con i tanti Faust contemporanei è la presenza della possibilità di scelta tra bene e male assente nell’animo d’oggi, segnato dall’indifferenza etica. Mefistofele non ha più senso, è cancellato perché rammenta la decisone individuale, la responsabilità che l’uomo contemporaneo aborre. Manca del tutto il giudizio, non esiste più una bilancia, un criterio che distingua moralmente. L’unico imperativo è andare avanti, correre, abbattere confini. C’è qualcosa di simile nel gesto rinascimentale di Michelangelo dinanzi al Mosè scolpito. Perché non parli? gli chiede l’artista, consapevole dell’eccezionalità della sua prestazione, creatore in grado di trarre dalla nuda pietra un’immagine più bella, più profonda della realtà, ma inanimata, che non può oltrepassare la soglia della vita.
L’ingegneria ha sostituito in gran parte l’architettura (tecnica versus arte, meccanica contro visione generale) e si è assunta il compito prometeico di elevarsi “oltre”. Abbandonata l’antica tendenza
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alla durata dell’opera, pegno di immortalità terrena, siamo passati dalla verticalità spirituale delle cattedrali gotiche alla dismisura dei grattacieli, gli 829 metri della Burj Khalifa di Dubai, la più elevata struttura mai costruita dall’uomo, monumento all’illimite. Simile è la storia delle costruzioni navali, destinate a mettere in pratica la globalizzazione nella forma-merce, sempre più smisurate, cisterne da 500 mila tonnellate destinate a trasportare il petrolio simbolo dell’energia necessaria per la crescita economica illimitata. Il progetto per navi da un milione di tonnellate è bloccato per i pericoli che, una volta almeno, hanno frenato gli ingegneri e i committenti faustiani.
Il limite è momentaneamente vincente, come il principio di realtà, a sua volta sconfitto dall’assenza di distinzione tra reale e virtuale. Il mondo è un videogioco, una scacchiera che libera dal vincolo spaziotemporale e relazionale. Una liberazione dai limiti fisici – pensiamo ai bombardamenti da remoto, una playstation in cui la tastiera e il joystick inquadrano e colpiscono obiettivi viventi, persone inermi e i loro beni–che si traduce in abolizione delle riserve morali. Tutto si ingrandisce e tracima come un irrefrenabile rizoma: informe, gigantesco, privo di centro.
[stextbox id=’download’ mode=’undefined’ color=’eb1313′]Darsi dei limiti è il gesto che distingue la civiltà dalla barbarie. Il tempo nostro rischia di precipitare nella regressione più sinistra per il rifiuto di prendere fiato, riflettere, fermarsi.[/stextbox]
In un’intervista il banchiere americano Lloyd Blankfein dichiarò con la massima serenità: faccio il lavoro di Dio, creo il denaro. Il ripudio del limite ha nel denaro la sua espressione più schiacciante. La finanza crea dal nulla (ex nihilo, come il Padreterno) il denaro. Basta un clic sulla tastiera del computer che comanda i server delle grandi istituzioni bancarie, e appare qualsiasi somma, sganciata da lavoro dell’uomo, dalla decisione delle istituzioni pubbliche, dal valore intrinseco di beni commensurabili come i metalli preziosi o il sale degli antichi. Ne abbiamo una prova con la pratica della facilitazione quantitativa, quantitative easing, ovvero la messa a disposizione, per un semplice atto di volontà dei banchieri centrali, di somme immense e inesistenti, la prestidigitazione massima, una magia illusionista che fa inginocchiare la folla affascinata dalla meraviglia.
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Non resta, per oltrepassare il limite definitivo, che il gesto di sfida di Thelma e Louise, le protagoniste del film di Ridley Scott del 1991. Le due donne, fuggite da vite poco soddisfacenti e prive di emozioni, affrontano ogni genere di peripezie. Alle fine, circondate dalla polizia (la realtà), con il sorriso sulle labbra lanciano nel precipizio a tutta velocità l’automobile e se stesse. Simbolo di un occidente che non crede più a nulla, se non alle emozioni e alle trasgressioni, Thelma e Louise sperimentano il punto di non ritorno, la morte, tabù rimosso, il limite indicibile. Ci penserà il transumanesimo, dicono, a battere la morte. Prometeo è oggi un ingegnere cibernetico in camice bianco intento a studiare l’intelligenza artificiale e creare la mente alveare.
Darsi dei limiti è il gesto che distingue la civiltà dalla barbarie. Il tempo nostro rischia di precipitare nella regressione più sinistra per il rifiuto di prendere fiato, riflettere, fermarsi. La tracotanza dell’universalismo, il cui motore è il Mercato, abbatte tutto, uomo, natura, creato, regimi politici, principi giuridici, credenze e simboli, in nome dell’illimitato. Ridefinire limiti, tracciare frontiere è l’atto costitutivo dell’umanità autocosciente. In ultima analisi, porre limiti è il gesto morale che procede da una norma, un vincolo diretto o indiretto, esplicito o tacito, posto da una comunità a fondamento di sé stessa. Nessun limite, nessun fondamento, in quanto i limiti geografici, territoriali, politici, giuridici, culturali, ecologici, economici, della conoscenza sono iscritti in un orizzonte di senso definito dalla scelta etica, dall’apertura spirituale, perfino dalla coscienza che esiste un limite concreto infrangibile che la fisica chiama entropia.
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NOTE
- (1) Prometeo (in greco antico: «colui che riflette prima»). È una figura della mitologia greca, questo eroe, amico del genere umano, sono legati alcuni antichissimi miti che ebbero fortuna e diffusione in Grecia. La sua azione, posta ai primordi dell’umanità, si esplicava in antitesi a Zeus, dando origine alla condizione esistenziale umana. Prometeo è un titano amico dell’umanità e del progresso: ruba il fuoco agli dei per darlo agli uomini e subisce la punizione di Zeus che lo incatena a una rupe ai confini del mondo e poi lo fa sprofondare nel Tartaro, al centro della Terra. Ha spesso simboleggiato la lotta del progresso e della libertà contro il potere. Nella storia della cultura occidentale, Prometeo è rimasto simbolo di ribellione e di sfida alle autorità e alle imposizioni, e così anche come metafora del pensiero, archetipo di un sapere sciolto dai vincoli del mito, della falsificazione e dell’ideologia. «Il tuo delitto divino fu l’essere gentile,/di rendere con i tuoi precetti la somma/dell’umana infelicità minore»(George Gordon Byron, Prometeo)
- (2) Pandora,nella mitologia greca (in greco antico: “tutto”, “dono”, cioè “tutti i doni”). È la prima donna mortale, creata da Efesto su ordine di Zeus. Il suo mito è legato a quello del celebre quanto nefasto vaso, che lo stesso Zeus le avrebbe affidato intimandole di non aprirlo mai, perché la sua apertura avrebbe liberato tra gli uomini tutti i mali in esso racchiusi.
- (3) Johann Wolfgang (von) Goethe (1749 –1832). È stato uno scrittore, poeta e drammaturgo tedesco. Considerato uno dei più grandi letterati tedeschi. Viene solitamente reputato uno dei casi più rappresentativi nel panorama culturale europeo. La sua attività fu rivolta alla poesia, al dramma, alla letteratura, alla teologia, alla filosofia, all’umanismo e alle scienze, ma fu prolifico anche nella pittura, nella musica e nelle altre arti. Il suo magnum opus è il Faust, un’opera monumentale alla quale lavorò per oltre sessant’anni. Goethe fu l’originario inventore del concetto di Weltliteratur (letteratura mondiale), derivato dalla sua approfondita conoscenza e ammirazione per molti capisaldi di diverse realtà culturali nazionali (inglese, francese, italiana, greca, persiana e araba). Ebbe grande influenza anche sul pensiero filosofico del tempo, in particolare sulla speculazione di Hegel, Schelling, e successivamente Nietzsche.
- (4) Ivan Illich (1926-2002). È stato uno scrittore, storico, pedagogista e filosofo austriaco. Personaggio di vasta cultura, libero pensatore, capace di uscire da qualsiasi schema preconcetto e di anticipare riflessioni affini a quelle altermondiste. Estraneo a qualsiasi inquadramento precostituito, la sua visione è strettamente affine all’anarchismo cristiano. Il suo essenziale interesse fu rivolto all’analisi critica delle forme istituzionali in cui si esprime la società contemporanea, nei più diversi settori (dalla scuola all’economia e alla medicina), ispirandosi a criteri di umanizzazione e convivialità, derivati anche dalla fede cristiana, così da poter essere riconosciuto come uno dei maggiori sociologi dei nostri tempi.
- (5) Cornelius Castoriadis (1922 –1997). È stato un filosofo, sociologo, economista, psicanalista e saggista greco naturalizzato francese. Teorico dell’«autonomia politica», intesa come forma d’autodeterminazione giuridico-politica perseguita da ogni singolo costituente all’interno d’una determinata struttura sociale, sulla falsariga dell’ordinamento politico delle antiche polis di stampo ateniese e della prassi organizzativa della democrazia consiliare, Castoriadis fu tra i fondatori e principali animatori, tra la fine degli anni Quaranta e la prima metà degli anni Sessanta, del gruppo politico-filosofico marxista libertario Socialisme ou Barbarie(e anche editore dell’omonima rivista), ideologicamente vicino al comunismo consiliarista.
- (6) Émile Durkheim (1858–1917). È stato un sociologo, antropologo e storico delle religioni francese. La sua opera è stata cruciale nella costruzione, nel corso del XX secolo, della sociologia e dell’antropologia, avendo intravisto con chiarezza lo stretto rapporto tra la religione e la struttura del gruppo sociale.
- (7) La nuova Atlantide (in inglese New Atlantis) è un racconto utopico incompiuto, scritto da Francesco Bacone nel 1624 e pubblicato postumo nel 1627. Bacone narra di un gruppo di 50 viaggiatori che, partiti dal Perù per andare in Asia, naufragano nell’isola di Bensalem, nei mari del Sud. Il nome stesso dell’isola deriva dalla conflazione dei nomi di Betlemme e Gerusalemme. Attraverso il racconto in prima persona di uno dei naufraghi, si conosce la cultura e la vita del popolo dell’isola. Cristianizzati grazie ad un’arca contenente una Bibbia inviata direttamente da san Bartolomeo, i bensalemiti vivono in pace fra loro, coltivando la sapienza attraverso i viaggi che alcuni di loro compiono nel mondo civilizzato per carpirne le invenzioni più utili. Sono in grado di parlare più lingue: l’ebraico, il greco, il latino classico, lo spagnolo ma non sembra l’inglese. La famiglia e il matrimonio sono le basi della società di Bensalem.
- (8) Ludwig Andreas Feuerbach (1804–1872). È stato un filosofo tedesco tra i più influenti critici della religione ed esponente della sinistra hegeliana. «Siamo situati all’interno della natura; e dovrebbe essere posto fuori di essa il nostro inizio, la nostra origine? Viviamo nella natura, con la natura, della natura e dovremmo tuttavia non essere derivati da essa? Quanta contraddizione!» (Ludwig Feuerbach, Essenza della religione)
- (9) Thomas Hobbes (1588–1679). È stato un filosofo e matematico britannico, sostenitore del giusnaturalismo e autore nel 1651 dell’opera di filosofia politica Leviatano (una creatura mostruosa e temibile presente in diversi contesti culturali). Oltre che di teoria politica si interessò e scrisse anche di storia, geometria, etica, ed economia. La descrizione di Hobbes della natura umana come sostanzialmente competitiva ed egoista, esemplificata dalle frasi Bellum omnium contra omnes(“la guerra di tutti contro tutti” nello stato di natura) e Homo homini lupus(“ogni uomo è lupo per l’altro uomo”), ha trovato riscontro nel campo dell’antropologia politica.
- (10) Christopher Marlowe, soprannominato Kit (1564–1593). È stato un drammaturgo, poeta e traduttore britannico. Perfezionò al massimo livello il blank verse, portandolo a quella forma che adottò lo stesso William Shakespeare. Fu personaggio controverso e dissoluto, sul quale pesavano feroci accuse di militanza nei servizi segreti britannici, libertinaggio ed omosessualità: morì appena ventinovenne in circostanze misteriose nel corso di una rissa in una taverna di Londra. Nei suoi drammi si rispecchia il risultato di una vita così misteriosa ed estrema: i suoi personaggi risentono di una brama insana di potere (come nel Tamerlano il Grande I e II), di una sfrenata sensualità (Edoardo II), di una smodata avidità (L’ebreo di Malta), di una sete infinita di conoscenza (Faustus). Come sottolinea Mario Praz, Marlowe fu “iperbolico nello spingere all’estremo la passione dominante di un personaggio”.
- Fonte: Wikipedia.
Foletti Massimiliano
6 Marzo 2019 a 16:19
Dipende dai Prometei. Quando il ginevrino Victor Frankenstein dà vita alla sua creatura, pensa di creare qualcosa di bello e buono che comunque anche solo perché si è trovata la via di infondere vita ad un corpo morto, gioverà all’umanità. Ma, dio imperfetto, crea qualcosa di più imperfetto che gli suscita orrore e che abbandona terrorizzato; non è (appositamente?) chiaro se la creatura si accorga di questo gesto poiché, come spiegherà più avanti nel colloquio con Victor, la sua presa di coscienza di ciò che lo circonda non è immediata; ma si ritrova solo in una stanza di una città sconosciuta (dimostra un po’ troppe capacità immediate di adeguarsi ad un ambiente sociale che non conosce: per esempio vestendosi) e riesce ad uscirne rocambolescamente. Nascostosi per mesi al coperto in campagna in una struttura di servizio di una casa, osservando ed ascoltando gli abitanti impara a leggere ed anche faticosamente a parlare. Ma il suo aspetto e la sua voce fanno fallire il tentativo di farsi accettare dagli abitanti del villino, che fuggono e non tornano più. Qui comincia la trasformazione della creatura di Frankenstein – Prometeo, che incendia la casa. Non diciamo molto di più, se non che, messo il suo creatore di fronte alla possibilità che la sua creatura divenga “angelo o demone”, ma anche di fronte ai suoi assassini di alcuni fra coloro cui Frankestein più è affezionato, la creatura “precipita all’inferno”. Come si vede, “l’amicizia per l’umanità di taluni prometei è più che altro speranza o sopravvalutazione delle proprie forze (ma, si noti, non nel dare la vita, ma per quel che riguarda il dare la vita a qualcosa di “bello e buono”.
Francesca Rita Rombolà
6 Marzo 2019 a 14:51
Ah se anche ascoltasimo un pò di più la voce dei poeti! Essi, con le loro opere e nei loro versi, ci hanno detto più di quanto si possa mai dire sull’ essenza del mondo, del bello e dei limiti per salvaguardare ciò che Dio ha affidato all’uomo solo in custodia e non in comodato d’uso!
Come sarà fra dieci, venti anni la società(se esisterà ancora)? I sentimenti, la carità, la pietà esisteranno ancora fra gli esseri umani? O Piuttosto ci si sbranerà l’un l’ altro per la brama di possesso, di profitto, di denaro?
Si riuscirà ormai più a percepire una voce lontana che forse viene dai poeti, forse da Dio?