Nel silenzio colpevole dell’Occidente, una mutazione improvvisa scuote la narrazione ufficiale sul massacro in Palestina. Ma dietro il cambio di tono si cela una verità scomoda, ancora senza volto.

DOMANDE SENZA RISPOSTA

Il Simplicissimus

Domande senza risposta è un pezzo di analisi e riflessione che attraversa uno dei capitoli più controversi e dolorosi della geopolitica contemporanea: il conflitto in Palestina e la sua rappresentazione nei media occidentali. Dopo venti mesi di stragi documentate ma ignorate, o addirittura giustificate da gran parte dell’opinione pubblica e delle istituzioni occidentali, si assiste oggi a un cambiamento repentino nel tono dei grandi giornali e delle diplomazie internazionali. Alcuni Paesi osano finalmente parlare di “condanna”, si rispolvera l’idea di uno Stato palestinese e si fa strada un timido dissenso interno alle redazioni che fino a ieri difendevano la linea ufficiale. Cosa ha provocato questa svolta improvvisa? Il pezzo non offre certezze, ma solleva interrogativi profondi. È forse una strategia per chiudere uno dei due fronti della propaganda – quello filoisraeliano e quello russofobo – divenuti insieme insostenibili? È il segnale di un riposizionamento delle lobby di potere dinanzi al crescente discredito? O è solo l’eco di una battaglia sotterranea, fatta di incendi, dimissioni e gesti simbolici, che si combatte su piani più alti e opachi? Attraverso uno stile incisivo, denso di riferimenti politici e culturali, l’autore traccia un quadro inquieto ma lucido, portando il lettore al cuore delle contraddizioni di un’epoca in cui la verità sembra sempre più un atto di coraggio. (Nota Redazionale)


Dopo 20 mesi di indicibili stragi in Palestina, avvenute davanti agli occhi di tutto il mondo e tuttavia difese dall’Occidente che non solo ha offerto un ombrello politico a Netanyahu, ma lo ha rifornito di armi e denaro, ci si trova di fronte a un improvviso mutare della narrazione dei media unificati. In due settimane o poco più le proteste, prima considerate espressione di antisemitismo e dunque represse in ogni modo, hanno trovato un po’ di spazio, qualche Paese occidentale ha trovato il coraggio di condannare le stragi e persino nei giornaloni ligi alla narrativa padronale serpeggia qualche malumore, come dimostra la vicenda del comitato di redazione di Repubblica. Per giunta si risente parlare di un eventuale stato palestinese dopo oltre 70 anni che avrebbe dovuto essere creato per volontà dell’Onu, senza che però si sia mai fatto nulla contro l’occupazione de facto da parte di Israele. Cosa è cambiato? Nella realtà praticamente nulla: i cento morti al giorno sono assicurati, la pulsione di Tel Aviv rimane focalizzata sulla Grande Israele e l’unica novità rimane l’umiliazione che gli Houthi hanno inflitto alla flotta americana costringendola a ritirarsi.

Allora cosa ha provocato questa mutazione così contemporanea da non poter essere considerata casuale o provocata da un’improvvisa presa di coscienza? Forse i sinedri del globalismo hanno pensato di non poter tenere aperti due fronti, quello della russofobia e della corrività verso il genocidio, cercando di tamponare almeno uno dei due fronti? Le lobby ebraiche occidentali si sono accorte del discredito che si addensa su Israele e dunque su di loro e le parti politiche che finanziano, anzi allevano? Davvero non saprei rispondere, ma qualcosa si sta muovendo e forse sta esprimendo in molti modi e su diversi piani una battaglia che non appare. A cominciare dall’incendio appiccato alla casa di Starmer da tre ragazzi di vita ucraini, proprio il giorno dopo che Netanyahu aveva accusato il premier britannico di stare con Hamas, (tanto per ricordare che Epstein è stato suicidato, ma è ancora vivo), fino ad arrivare all’annuncio delle dimissioni della Lagarde dalla Bce per passare a un più alto incarico ovvero la presidenza del Wef. Cosa che almeno svela chi davvero comanda in questo continente. A meno che non si tratti di una fuga da un posto che sta diventando scottante per ragioni che non sono ancora chiare.

Tutto questo preme sotto la superficie in presenza di un milieu politico occidentale di infimo livello, il peggio che ci si potesse aspettare. Trump è forse uno dei migliori, eppure in pochi mesi possiamo mettere assieme un florilegio pazzesco di contraddizioni così com’è stato sintetizzato da un analista: la Nato e gli Usa hanno provocato la Russia a invadere l’Ucraina. Putin ha invaso l’Ucraina senza essere stato provocato perché vuole conquistare l’intero Paese e forse anche la Polonia. La Russia sta vincendo la guerra e ha tutte le carte in mano. La Russia non sta vincendo la guerra e non ha nessuna carta in mano. Forse l’Ucraina può entrare nella Nato. L’Ucraina non potrà mai entrare nella Nato. Putin vuole la pace. Putin non vuole la pace, quindi colpiremo la Russia con sanzioni schiaccianti. Non ci saranno più sanzioni contro la Russia. Zelensky vuole la pace. Zelensky non vuole la pace. Fermeremo l’invio di tutte le armi all’Ucraina. Invieremo più armi all’Ucraina. L’Ucraina ha bisogno di elezioni. L’Ucraina non ha bisogno di elezioni. Abbiamo un accordo sui minerali. Non abbiamo un accordo sui minerali. Le truppe europee dovrebbero essere in Ucraina. Le truppe europee non dovrebbero essere in Ucraina. Gli Stati Uniti dovrebbero interrompere ogni coinvolgimento in Ucraina. Gli Stati Uniti dovrebbero prendere il controllo delle centrali elettriche ucraine. Sto parlando con Putin. Non sto parlando con Putin. Ho solo parlato con Putin.

Lo stesso zibaldone potrebbe essere compilato sulla questione palestinese o sui dazi o sulla questione cinese. E dire che tutto questo corre sul filo di una guerra nucleare di cui probabilmente i protagonisti non sono nemmeno pienamente consapevoli. Tutto questo è frutto del neoliberismo e del suo sistema che alla fine ha creato un ceto di decisori incapaci di comprendere la realtà, dunque incompetenti, ma convinti di poterla creare. Però è abbastanza evidente che il paradigma economico occidentale del consumismo iper finanziarizzato e indebitato ha fatto il suo corso e che anche il ritornello “Non c’è alternativa” al modello economico anglosassone comincia a sembrare una favola nel momento in cui società più organizzate si dimostrano più efficienti, più capaci di creare futuro e più inclusive, se vogliamo dare a questo aggettivo il significato sociale originale, spogliandolo dalle incrostazioni color fucsia degli ultimi decenni.

Redazione

 

 

 

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