Viviamo un’epoca in cui l’essere si è frantumato in mille frammenti

DOVE RITROVARE LA CHIAVE SMARRITA DELLA NOSTRA VITA

Marcello Veneziani

Dove si è nascosta la nostra vita da quando ha smarrito il contatto con il cielo e la terra, con l’origine e il destino, con la ricerca della verità e il senso della realtà? Come può l’uomo, disperso nel labirinto della modernità, ritrovare la chiave che un tempo apriva le porte della sua autentica esistenza? Viviamo un’epoca in cui l’essere si è frantumato in mille frammenti, riducendosi a una corsa senza sosta verso mete sempre più evanescenti. Abbiamo perso la direzione perché abbiamo smarrito la domanda fondamentale: chi siamo? Il legame con il trascendente si è allentato, il senso del reale si è dissolto in illusioni, e il cammino della conoscenza si è smarrito in un sapere privo di saggezza. Eppure, la chiave non è perduta per sempre. È lì, nascosta nelle pieghe del tempo, nel silenzio delle domande essenziali, nei sentieri dimenticati della filosofia, della contemplazione, dell’ascolto profondo. Ritrovarla significa riscoprire il nesso tra il visibile e l’invisibile, tra il finito e l’infinito, tra l’uomo e l’Assoluto. Questo viaggio non è solo una ricerca intellettuale, ma un ritorno alle radici stesse dell’essere. Solo interrogandoci su ciò che ci è più proprio – la nostra origine, la nostra meta, il nostro posto nel cosmo – potremo forse un giorno riaprire la porta di quella dimora interiore che non abbiamo mai smesso di abitare. (f.d.b.)


Dove si è cacciata la nostra vita da quando ha perso i contatti con il cielo e con la terra, con l’origine e il destino, con la ricerca della verità e il senso della realtà? È caduta nel mezzo, nel vuoto che si è aperto quando si sono divaricate le due sponde, allontanandosi fino a sparire al nostro sguardo. Così l’uomo contemporaneo, secondo Nietzsche, cade da tutte le parti, non essendoci più un sopra e un sotto, una destra e una sinistra, e non sa nemmeno se sta precipitando o volando, come sembra suggerire lo sviluppo prodigioso della tecnologia. Scenario apocalittico ma nella sua drammatizzazione rende l’idea della condizione d’oggi e del suo profondo spaesamento.

Permettetemi di uscire talvolta dal seminato dei giorni per toccare i temi che riguardano la nostra vita e il suo senso. È difficile, mi rendo conto, dedicare a questa visione una riflessione e ancor più un dialogo, ma ancora più difficile è rendere visivamente questa condizione e i suoi presupposti in una mostra.

A Bologna, la Fondazione Golinelli ci ha provato ed ha allestito un’importante esposizione che potremmo definire archeofuturista, sull’origine e il destino, accompagnata da un catalogo di testi e immagini, icone, opere d’arte e oggetti simbolici, affiancandolo con una serie di dialoghi che si sono aperti ieri. Vi ho partecipato col presidente della Fondazione Golinelli Andrea Zanotti, il curatore della Mostra Antonio Danieli e Adriano Fabris che insegna filosofia morale e filosofia delle religioni all’Università di Pisa. La Fondazione da anni si propone un cammino sul confine tra arte e scienza, ma a cercare la sintesi o l’osmosi tra la rappresentazione artistica e la ricerca scientifica non può essere che un pensiero, magari inteso vichianamente come scienza nuova e proteso oltre la filosofia, verso la teologia e un sapere organico che connette mito e teologia, storia e filosofia, scienza e arte. Vico indagò sulle origini dell’umanità e sul suo destino, in relazione alla provvidenza divina. La mostra, scrive Zanotti, “vuole richiamare l’irrinunciabilità a quella scintilla divina che abita in noi, che ci spinge a chiederci incessantemente quali siano la mèta del nostro andare e il senso di marcia del nostro procedere”. E poi aggiunge: “Nel divorzio tra origine e destino abbiamo perso il cielo”; ma si potrebbe aggiungere, come si diceva agli inizi, che in quella separazione perdiamo pure la terra, ovvero la natura, la realtà, la vita concreta e l’orizzonte biologico. La cultura, non mi stancherò di ripeterlo, nasce dalla sintesi tra culto e coltivazione, ossia tra lo sguardo rivolto al cielo e il passo ben piantato sulla terra e proteso verso i suoi frutti. Se perdi l’uno finisci col perdere l’altro. E se perdi l’origine, perdi il destino.

Hannah Arendt in Vita activa notava che la vita individuale è rettilinea mentre la vita biologica – inserita nel ciclo della natura – è circolare: “Ci muoviamo lungo una linea retta in un universo dove ogni cosa dotata di movimento si muove in un ordine ciclico”. La composizione tra il moto rettilineo e il moto circolare è la spirale; è l’intuizione che ebbe Vico nei suoi “corsi e ricorsi”, quando cercò una sintesi tra storia e natura, ma anche tra la visione cristiana della storia, lineare, e la visione classica del mondo, ciclica e dunque curvilinea. L’uomo percorre la sua vita come una linea retta ma alla fine scopre che l’origine coincide col destino; il cerchio di chiude e trova senso e compiutezza.

Qual è la strada del ritorno, ossia come possiamo risalire all’origine e al destino che abbiamo dimenticato? Origine e destino sono, per dirla con Goethe, “il prologo in cielo” del passato e del futuro; o dal punto di vista umano e terreno, il passato e il futuro sono il cammino storico che l’uomo compie nella sua parabola terrena; ossia la secolarizzazione, la traduzione temporale, ad altezza umana, dell’origine e del destino che richiamano il mistero dell’inizio e il mistero della fine.

Il primo atto per ridestare la nostra coscienza è dunque quello di riammettere nei nostri orizzonti il passato e il futuro, in un’epoca che sembra averli smarriti o rimossi, risolvendosi tutta nel presente, nella vita momentanea. La nostra vita, sostengo da tempo, poggia su cinque dimensioni costitutive della nostra mente: il passato, il presente, il futuro, il favoloso e l’eterno. Noi non siamo solo quel che stiamo vivendo in questo momento, ma siamo il frutto, la memoria, il ricordo di ciò che fummo e di ciò che precedette la nostra vita; siamo l’attesa, la speranza, il progetto che ci “proiettano” appunto nell’avvenire e nelle generazioni future; ma nutriamo anche la necessità di raccontare il mondo, la vita e la storia attraverso il mito, la favola, la trasfigurazione artistica e creativa; e infine, benché mortali, siamo ispirati e sorretti dal senso dell’eterno, di ciò che non tramonta mentre noi tramontiamo.

Sono queste le cinque condizioni dell’animo umano e non possiamo fare a meno di nessuna di esse. Ora, i termini estremi in cui è racchiuso questo spazio di vita così scandito sono l’origine e il destino; entrambi sono situati oltre la nostra portata, oltre i nostri limiti, non dipendono da noi, come da noi non dipende la nostra nascita e la nostra mortalità. Sono i termini estremi che ci riportano per così dire in cielo, oltre l’orizzonte umano, storico-temporale. La nostra esperienza fisica è compresa tra quei due confini metafisici, che sono le porte del cielo.

La riscoperta del passato e del futuro, della memoria e dell’aspettativa, sono dunque il primo passo per scoprire poi le altre due condizioni della nostra mente, tra il mito e l’eternità, fino a ritrovare l’origine e il destino; per accorgersi infine che il nostro cammino lineare, in realtà sorge e tramonta curvandosi, fino a congiungere i due estremi nel cerchio. E questa scoperta non nasce dal nulla, da un atto creativo; ma ritrova nell’arte, nella scienza, nel pensiero, nella storia, nella religione e nella natura, le impronte e i presagi, le figurazioni e le intuizioni che ne confermano il fondamento e la connessione. Il vero pensiero non è “originale” nel senso di inedito e stravagante ma “originario” nel senso che si connette a qualcosa che lo precede, lo fonda e lo guida, quell’origine che conduce al destino. Quanto cammino può indicare una mostra…

La Verità – 14 giugno 2024
La Verità – 12 marzo 2025

 

 

 

 

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