La pelle di cui i macelli non sanno che farsene

ED ORA A PIANGERE È ANCHE L’INDUSTRIA DELLE PELLI
Non solo auto. Non solo vino. Adesso a piangere è anche il settore dell’industria italiana delle pelli. Che si tratti di scarpe, di giacche, di pantaloni o di borse, il calo dei consumi è evidente. E non basta l’alibi della nuova coscienza ambientalista e animalista. Perché a rinunciare all’acquisto di capi italiani in pelle sono anche coloro che non rinunciano ad una fiorentina, intesa come bistecca. Ma evitano accuratamente di comprare i prodotti di abbigliamento in pelle, a partire proprio da quelli toscani.
Ovviamente nessuno, tra gli industriali in lacrime, che provi ad ipotizzare che il calo delle vendite sia legato a prezzi assurdi in confronto alle retribuzioni sempre meno in grado di rispondere alle necessità delle famiglie italiane. La pelle costa, spiegano i lamentosi senza clienti. Compresa quella delle vacche degli allevamenti intensivi.
Cioè quella pelle di cui i macelli non sanno che farsene.
Eppure, negli Anni ’50 e ’60, gli operai andavano al lavoro con giubbotti e giacconi di pelle. Eppure, negli stessi anni, i blouson noir avevano giubbotti di pelle per andare in moto, ai concerti senza bisogno di svenarsi o di derubare i genitori.

Ma adesso gli abiti di pelle devono essere riservati ai fighetti senza problemi economici. E, sorpresa, nonostante le menzogne dei famigli di Giorgia i fighetti senza problemi economici sono sempre meno numerosi. Ed i consumi si riducono. Invece della borsa di pelle andrà benissimo una di tela. Le scarpe italiane in pelle saranno sostituite da calzature cinesi a basso costo. E le giacche in pelle lasceranno il posto a capi in materiale sintetico. Persino i giacconi in materiale tecnico d’avanguardia costano meno.
D’altronde la risposta degli industriali non prevede né aumenti salariali né riduzione dei prezzi. Solo richieste di aiuti pubblici. Come sempre, come tutti.
