Riuscite a immaginarvi Albert Einstein fuori da un’aula universitaria?
EINSTEIN, SEDUTTORE SERIALE DI VEDOVE
Albert Einstein era un «tombeur de femmes». Verso le donne nutrì sentimenti contrastanti di odio e amore: ce lo raccontano le lettere scritte dallo scienziato ai suoi cari
Riuscite a immaginarvi Albert Einstein fuori da un’aula universitaria?
Lo conosciamo come il genio che ha scoperto la teoria della relatività, lo scienziato spettinato che lavorava come perito tecnico nell’Ufficio Federale dei Brevetti di Berna, poi professore all’Università di Zurigo e premio Nobel per la fisica nel 1921, con la teoria dell’effetto fotoelettrico.
Ma com’era nella vita privata? Ce lo raccontano millequattrocento lettere, custodite dall’Università di Gerusalemme per volontà della figlia Margot, e rese pubbliche nel 2006, vent’anni dopo la sua morte. Queste ci hanno rivelato un libertino, ossessionato dalle donne, ma solo dal punto di vista sessuale.
Diversi autori ci presentano un nuovo ritratto di Albert Einstein, uno di questi è Pino Pelloni, con il recente libro Fedifraghi.(1)
Estella, Ethel, Toni, Margarita, M. e L.: questi sono solo alcuni dei nomi delle donne con cui intrattenne una relazione, «e tra tutte queste signore, l’unica alla quale mi sento davvero attaccato è la signora L., assolutamente innocua e decente». Durante i soggiorni berlinesi si racconta trascorresse giorni in camera da letto con l’amante: la segretaria bruttina e intelligente, Helen Dukas, unica tresca accettata dalla moglie. Ma le ragazze con cui aveva relazioni, o come lui le definiva «vizi silenziosi», erano innumerevoli. Fino ai sessant’anni continuò a collezionare avventure con giovani studentesse.
Ma Albert Einstein non aveva una gran considerazione delle donne: una volta scrisse a un amico: «noi uomini siamo creature mediocri e dipendenti ma, paragonati a queste donne, ognuno di noi è un re». Per lui il cervello femminile era incapace di creatività, inferiore e inadatto al confronto e alla scienza. Per questo fu etichettato come fedifrago e misogino. L’unica donna che rispettava era la madre, di cui fu schiavo per tutta la vita, non riuscendo a creare un legame duraturo né con le due mogli, né con i figli.
Sebbene non credesse nel matrimonio, per lui «inventato da un maiale privo d’immaginazione», si sposò due volte.
Il primo matrimonio fu con la sua compagna di università Mileva Maric: una donna forse non molto affascinante, ma (parola di Einstein) forte e indipendente. E anche un’ottima matematica con cui si pensa che Einstein abbia collaborato nell’elaborazione della teoria della relatività. Nonostante le dolci promesse di restare studenti per sempre, presto lo scienziato si stufò. Iniziò a imporre alla moglie una dettagliata lista di mansioni, pena il divorzio.
La famiglia Einstein-Marić crebbe con l’arrivo del terzo figlio, Eduard, nel 1910. In seguito il matrimonio cominciò a deteriorarsi. Albert si allontanò dalla moglie e dai figli e iniziò una relazione parallela con la cugina Elsa Löwenthal, che Marić scoprì nel 1912. Rendendosi conto che la sua infedeltà non era più un segreto, Albert impose a Mileva una serie di condizioni per rimanere “nominalmente sposati”. Tra le altre cose, prescriveva: «Ti assicurerai che i miei vestiti siano in ordine e che mi vengano serviti tre pasti al giorno nella mia stanza», e «rinuncerai a tutte le relazioni personali con me, tranne quando le apparenze sociali lo richiedano, e non ti aspetterai alcun affetto da me». Mileva rifiutò le condizioni e, stanca dei continui rimproveri insieme ai due figli, lasciò la casa comune che ormai non era più sua e il giorno di San Valentino del 1919 divorziò.
Gli scienziati firmarono ufficialmente il divorzio nel 1919. Nel negoziare l’accordo di separazione, Mileva Marić pose la condizione che, se Einstein avesse mai vinto il premio Nobel, le avrebbe dato l’intera somma del premio. Tre anni dopo Albert Einstein ricevette il premio Nobel per la fisica e, come concordato (anche se non senza ostilità da parte di Einstein), Mileva ricevette il denaro. Lo investì soprattutto nella salute del figlio Eduard, a cui venne diagnosticata la schizofrenia.
Per Mileva la vita dopo Einstein non fu facile: dovette occuparsi da sola di due figli, ebbe difficoltà economiche che riuscì a superare dando ripetizioni private di scienze agli studenti e, alla fine, morì nel 1948, all’età di settantadue anni, senza aver ricevuto alcun riconoscimento per la sua carriera scientifica.
Pochi mesi dopo il divorzio lo scienziato sposò sua cugina Elsa, una delle sue amanti. La nuova moglie era conosciuta a Berlino per vanità e miopia. I pettegolezzi ci raccontano che la bionda Elsa non indossava mai gli occhiali, credendosi più bella, così che a una festa mangiò un fiore credendola insalata. Forse grazie alla sua superficialità, riuscì a tollerare le scappatelle di Einstein, felice di un marito che «riesce ad aprire qualsiasi barattolo, per quanto strano o irregolare sia».
Alla morte di Elsa, Einstein scrisse: «mi sento più a mio agio ora, che in qualsiasi altro periodo della mia vita». Il genio non era portato per la vita coniugale: era libero nella mente e nel cuore; infatti, sosteneva di non essere «mai appartenuto ad alcun Paese o Stato, a nessuna cerchia di amici, neppure alla famiglia».
A parte la scienza, Albert Einstein aveva un’altra grande passione: la musica. Sua madre era pianista, ma per il figlio scelse un professore di violino. All’inizio Einstein non dimostrò un grande entusiasmo, finché non scoprì Mozart e Bach e s’innamorò della musica e dello strumento. Sosteneva che la sua predilezione per questi compositori era dovuta al fatto che le loro composizioni avevano un equilibrio strutturale perfetto, quasi scientifico.
Suonare il violino lo aiutava a pensare ed era anche una valvola di sfogo quando s’incagliava nell’elaborazione di una delle sue teorie. Einstein possedeva diversi violini, ma il suo preferito si chiamava Lina e lo portava sempre con sé. Ogni mercoledì sera offriva ai suoi amici un concerto privato, a casa sua o di qualche conoscenza, e niente e nessuno aveva la priorità rispetto a questo appuntamento settimanale. Si racconta che la notte di Halloween, quando i bambini bussavano alla sua porta per il classico “dolcetto o sherzetto”, lui li accogliesse suonando il violino: una delle tante curiosità di questo genio eccentrico.
Un uomo di scienza e di successo, un anticonformista nell’amore e nelle idee. L’inventore di un frigorifero che raffredda senza elettricità, colui che rivoluzionò la concezione della vita e dell’universo con la teoria della relatività. Un inguaribile sognatore, definito da Dennis Overbye (giornalista scientifico e autore di «Einstein innamorato») come un «poeta, violinista e sedicente bohémien, un ciclone impertinente e carismatico che lasciò dietro di sé grande scompiglio, privato e professionale».
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