”Ricordo un compito di maturità di tanti anni fa
EMMA E LE ALTRE
Ricordo un compito di maturità di tanti anni fa. Uno dei miei primi anni di insegnamento. Quando ancora esistevano i temi scritti, una breve traccia sulla quale lo studente doveva dimostrare le sue capacità di scrivere e argomentare. Un ultimo brandello di educazione retorica. E allora, poi, l’esame era di Maturità. Non, come oggi, di Stato. Penserete che siano solo questioni di etichetta formale. Invece cambia, e cambia molto. Oggi si certifica un atto notarile. Burocratico. Un tempo si cercava, o si sarebbe dovuto cercare di accertare non la preparazione soltanto, ma una maturazione della coscienza. Una cultura dell’anima. Cosa ben diversa. E specchio di una società molto diversa dall’attuale, nella quale vi sono ministri che dicono che non serve studiare Manzoni, Dante ecc… Perché al paese servono digital manager. Qualunque cosa questo significhi. E non gente con un senso estetico. Soprattutto non esseri pensanti.
Comunque, quel tema mi è restato impresso. “Figure femminili del Romanticismo italiano”. Mandò in crisi chi doveva farlo. E anche molti di quelli che dovevano correggerlo. Perché tutti, o quasi, si misero a parlare della Lucia manzoniana. Che è tante cose, ma assolutamente non una eroina romantica. Nei Promessi Sposi la figura di questo tipico è semmai la Monaca di Monza. Che, però, per la morale di Manzoni è si eroina, ma eroina negativa.
Poi vi sarebbe la Pisana, nelle Confessioni di Nievo. Ma quelle non le legge e spiega più nessuno. E poi la febbrile follia del personaggio, la sua perenne inquietudine, i suoi slanci erano già allora qualcosa ben difficile da capire. Figuriamoci oggi, dopo quasi duecento anni….
Però dell’eroina romantica qualcosa, nella letteratura e nella vita, è rimasto anche dopo. E certi, diciamo così, archetipi letterari li possiamo ancor oggi vedere. Incarnati. Anche se, quasi sempre, in maniera volgare. Parodistica.
Quello che, forse maggiormente ricorre, oggi, è Emma Bovary. L’eroina, o meglio l’antieroina con cui Flaubert sconvolse il canone della Donna ottocentesco. Piccolo borghese annoiata, fatua. Sostanzialmente ipocrita. Ma prima di tutto con se stessa. Perché il suo recitare una parte in commedia (il significato di ipocrita) avviene soprattutto a beneficio di se stessa. E solo in seconda istanza degli altri. Marito e amante. Di qui il finale tragico. Il cianuro. Che però non riscatta il personaggio. Flaubert è un anatomista spietato dell’animo umano. Ed Emma è, e resta, una mediocre anche nella morte. Proprio quello che per tutta la vita aveva cercato di non essere. Paradossi dell’ingannare se stessi.
Spietato è anche Federico De Roberto [Scrittore italiano (Napoli, 1861- Catania, 1927)]. Che seppe coniugare l’analisi psicologica alla Bourget con il crudo e crudele verismo di Verga.
Teresa Uzeda non è uguale ad Emma. Non è una piccola borghese fatua e annoiata. E invidiosa. Appartiene ad una grande casata aristocratica. A quel mondo che la Bovary poteva solo sognare. Ha tutto. Ma le manca… l’amore. O almeno così vede le cose. E insegue disperatamente l’essere amata. Passando da un uomo all’altro. Da un adulterio all’altro. La sua è, in fondo, una visione romantica. O almeno così crede. Così pensa, o meglio si illude di essere. Ma gli altri la vedono ben diversamente. Un’adultera, una ipocrita, una…
Come ti illudi di essere, e come gli altri ti vedono. Il paradosso pirandelliano per eccellenza. Marta Ajala, ne “L’esclusa”. Accusata ingiustamente di avere un amante, viene scacciata dalla famiglia e dalla società. Diventa una reietta. Cade addirittura in miseria. E allora, stanca, disgustata, si concede davvero all’uomo che tutti avevano creduto essere il suo amante. Una triste storia borghese di provincia. Ma il genio di Pirandello rovescia d’improvviso il tavolo. E Marta, dopo che ha consumato davvero l’adulterio, viene improvvisamente ritenuta da tutti una innocente, ingiustamente calunniata. Il marito la riaccoglie, travolto dai sensi di colpa. Tutta la società circostante le tributa gli onori di una santa martire. Ciò che credi essere la tua verità, è altro dal modo in cui il mondo ti vede.
Figure femminili di fine Ottocento, certo. Eppure, archetipi di quelle di oggi. Perché di Emma se ne vedono davvero tante in giro. Che, magari, cercano di apparire moderne, trasgressive, alla moda politicamente corretta. Ma sono solo piccole borghesi annoiate che recitano una parte. In commedia. O meglio, in farsa.
E si vedono ancora tante Terese, che voglio sentirsi amate. E che chiamano amore ciò che è ben altra cosa. Illudendosi.
Marta è diversa, naturalmente. Marta sta lì a dimostrare che l’esistenza è paradosso. Non una cosa seria…
Ma che ti prende oggi? Mi chiederà qualcuno. O probabilmente qualcuna…
Ce l’hai su con le Donne? Chi? ti sei presa qualche fregatura?
Per carità… non ho più l’età per prendere fregature di questo tipo. Almeno spero…
E non ce l’ho su con le donne. Anzi. Perché vedete, io la penso esattamente come Francesco De Sanctis, il massimo storico delle nostre lettere.
Che, nelle lezioni su Leopardi, dice (più o meno) che il modo in cui un’epoca rappresenta la figura femmine è emblematico di come quell’epoca pensa se stessa. E queste figure di fine Ottocento in realtà rappresentano il nostro mondo. L’ipocrisia, la finzione che in oltre un secolo non è mutato. È andata, invece, incontro a una deriva sempre più precipite.
Le eroine romantiche rappresentavano ben altro mondo. E anche le allegre Dame libertine del ‘700… preferibili entrambe.
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