”Uno degli argomenti più indisponenti formulati a difesa del Green Pass e della vaccinazione di massa è quello per cui chi si vaccina…
ESERCITAZIONI PRATICHE DI FILOSOFIA MORALE
Uno degli argomenti più indisponenti formulati a difesa del Green Pass e della vaccinazione di massa è quello per cui chi si vaccina, e brandisce orgoglioso il proprio certificato verde di buona condotta, avrebbe agito in modo “generoso” e “altruista”, mentre chi non si vaccina e/o rifiuta il Green Pass sarebbe un egoista mancante di spirito pubblico, di senso civico, ecc. Chi pensa, magari confusamente, in questi termini crede con assoluta fermezza che non ci sia materia del contendere: vaccinarsi è un atto buono, altruista e socialmente benefico, chi vi si sottrae agisce invece in modo malvagio, egoista e socialmente esiziale.
Questa convinzione genera automaticamente un secondo livello normativo, in cui si ritiene che qualunque forma di coazione nei confronti dei riottosi sia accettabile, anzi raccomandabile, perché “l’egoismo del singolo non deve potersi opporre al bene comune”.
Ecco, una volta che ci si sia rimessi dal tramortimento, proviamo, a colpi di pazienza e ansiolitici, a spiegare perché questa distinzione sia un’arrogante, dogmatica, insopportabile sciocchezza.
Visto che dobbiamo discutere di etica, adottiamo per comodità schematica come sfondo le due principali teorie etiche cui ci si rifà nel dibattito contemporaneo (personalmente credo che siano entrambe teorie carenti, ma sono le teorie di gran lunga più diffuse e sono quelle su cui poggiano ordinariamente le politiche pubbliche, per cui giochiamo con queste carte.)
La prima teoria da considerare, meno diffusa dell’altra, è la deontologia kantiana. Se adottassimo una prospettiva kantiana la risposta ai nostri quesiti sarebbe raggiunta molto rapidamente e senza tentennamenti: una delle principali formulazioni dell’imperativo categorico infatti recita: “Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo.”
Secondo questa massima ogni forma di coercizione, velata o manifesta, a vaccinarsi sarebbe semplicemente inaccettabile, giacché si tratterebbe precisamente di una situazione in cui trattiamo l’umanità, in noi stessi ma soprattutto in altri, come un mezzo per fini ulteriori (per evitare la circolazione del virus, per far ripartire l’economia, ecc.) Specificamente per soggetti che corrono pochi rischi personali, come i più giovani, sottoporli a vaccinazione coatta implica esattamente farne dei meri strumenti per benefici altrui (se fosse per beneficio proprio il soggetto lo sceglierebbe spontaneamente, e diverrebbe un proprio fine). Un tale comportamento coattivo è in quest’ottica proprio il Male in sé, la violazione dell’imperativo categorico.
Già questo fatto potrebbe far considerare i pasdaran vaccinisti che la ragione morale non è “ovviamente dalla loro parte”, anzi che in effetti potrebbero avere puramente e semplicemente torto.
Ma andiamo oltre.
Come detto, l’approccio kantiano, pur tipicamente importante nel diritto, è secondario sul piano del senso comune e delle politiche concrete. Molto più diffuso è invece un approccio di tipo “utilitarista”.
Secondo un approccio utilitarista le nostre azioni dovrebbero mirare idealmente alla “massima felicità per il maggior numero di persone”. In un’ottica utilitarista, diversamente da un’ottica kantiana, è possibile concepire il sacrificio del singolo o di una minoranza nel nome di una sommatoria complessiva di “bene” maggiore. Dunque in un’ottica utilitarista la possibilità di costringere un individuo a vaccinarsi per il bene dei più è ammissibile.
Questo tipo di approccio esige tuttavia due condizioni per essere realizzato:
1) Ci dev’essere un accordo intorno a cosa sia il bene comune da perseguire;
2) Ci dev’essere un accordo intorno a quali siano i mezzi appropriati per perseguire questo bene comune.
I fautori del vaccino e del Green Pass aderiscono implicitamente ad una prospettiva utilitarista, e sono apparentemente del tutto convinti che la divergenza nei confronti degli altri consista in una “divergenza nel sentire”, in una diversità nel giudizio intorno a cosa conti come “bene comune”.
Questa diversità per essi non sarebbe naturalmente interpretabile in termini di un “pluralismo dei beni”, in quanto assumono semplicemente di avere il monopolio del bene e che dunque gli altri siano eticamente inferiori.
Anche qui potremmo fare una bella valutazione circa cos’è che li fa pensare in questi termini, manifestamente affetti da rimarchevole arroganza, ma lasciamo cadere anche questo punto. Lo lasciamo cadere perché, per quanto non sia da escludersi in taluni casi una vera e propria “diversità nel sentire”, nella stragrande maggioranza dei casi non è questo il vero oggetto del contendere: nell’attuale fattispecie di norma sia chi sostiene la coazione del Green Pass, sia chi vi si oppone, aderisce ad una visione di massima per cui salvare vite umane, evitare un sovraccarico negli ospedali ed evitare ulteriori blocchi delle attività (lockdown et similia) sono fini desiderabili. Dunque non è davvero su questo terreno che avviene lo scontro.
Il vero punto di divergenza è invece il secondo, ovvero quali sarebbero i mezzi appropriati per ottenere quel risultato. Secondo il credo vaccinista la via sola ed unica è la vaccinazione: sistematica, a tappeto, rapida, generalizzata. Non è facilissimo capire la logica di medio-lungo periodo di questa prospettiva, ma si può supporre che due possano essere le opzioni: o si immagina l’estinzione del virus (immunità mondiale di gregge), e questa sembra l’idea che continua ad essere fatta balenare da molti leader mondiali come Biden, oppure si immagina una reiterazione della somministrazione vaccinale in qualche modo continua, finché esso sia scomparso o altrimenti per tutta l’eternità (posizione caldeggiata da Pfizer, da personaggi come Ricciardi e altri).
Abbiamo già avuto modo in più occasioni di spiegare come alla luce dei dati disponibili la prima prospettiva (immunità di gregge mondiale ed estinzione del virus) sia illusoria, e come la seconda sia un gravissimo azzardo in termini di salute pubblica (sia per il rischio legato alla reiterata somministrazione dei vaccini, sia per l’affacciarsi di varianti capaci di invalidare la protezione dei medesimi).
Secondo la controparte – che chiamerei “Free-Vax”, e non “No-Vax”, visto che si oppone non all’uso dei vaccini in generale, ma alla loro imposizione – la strada da prendere sarebbe invece quella di una differenziazione delle strategie: vaccini, terapie precoci, rafforzamento del sistema ospedaliero, endemizzazione morbida del virus attraverso l’esposizione dei più forti (esposizione che in alcune aree del paese è già avvenuta in forma massiva, ad esempio nel bergamasco).
Non faccio nessuno sforzo per nascondere il fatto che io ritengo immensamente più plausibile e sensata la seconda strada, ma non intendo qui soffermarmi sulle ragioni di questa preferenza, che possono essere trovate altrove.
Ciò su cui voglio spendere qualche parola finale è una semplice constatazione. Da quello che abbiamo detto, dovrebbe emergere come non ci sia nessuna ragione a sostegno di un atteggiamento di superiorità morale da parte della “fazione vaccinista”. Invero, al contrario, in una prospettiva kantiana essi sarebbero semplicemente dalla parte del torto, senza se e senza ma, mentre in una prospettiva utilitarista avrebbero una possibilità su due di essere dalla parte della ragione, ma non sulla base di un superiore giudizio morale, bensì sulla base di un’eventuale migliore strategia (conoscenza dei mezzi adeguati ad un fine condiviso).
Metto da parte la mia convinzione che la loro strategia sia gravemente ottusa e fondata su presupposti del tutto erronei, e voglio fare lo sforzo di considerare la possibilità che abbiano ragione.
Ecco, una volta fatto quello sforzo, ciò che mi colpisce in questo quadro è che nel migliore degli scenari per la “fazione vaccinista” le loro ragioni non sarebbero indici di alcuna superiorità morale, ma eventualmente solo di una migliore conoscenza del rapporto mezzi-fini.
Perché questo punto è importante?
È presto detto. Perché l’atteggiamento giudicatorio ed aggressivamente moralistico dei veneratori del Green Pass li mette di per sé, in modo assai pesante, dalla parte del male morale. Qui infatti non c’è traccia di tutta l’eroica rappresentazione di sé come ‘altruisti’ e ‘generosi’, della controparte come ‘egoista’ e ‘gretta’.
Per quanto detto non c’è una ragione al mondo, proprio nessuna, che possa giustificare un senso di superiorità morale nella fazione vaccinista. Nel caso più favorevole, essi si trovano in una posizione di maggiore conoscenza del rapporto mezzi-fini, dunque avrebbero un vantaggio comparativo dal punto di vista cognitivo, non morale: “ne saprebbero di più”.
Negli altri casi essi sarebbero o in una posizione di puro e semplice torto morale (starebbero violando la sfera sacra dell’autodeterminazione personale), o sarebbero dalla parte del torto sul piano cognitivo (ne saprebbero di meno intorno al rapporto mezzi-fini).
Da questo quadro possiamo trarre una conclusione assolutamente chiara: l’atteggiamento di autoproclamata superiorità morale della fazione vaccinista non è semplicemente ingiustificata, ma è una caso di arroganza e hybris da manuale.
Chi si impanca a giudice morale in questo contesto, specificamente dal lato “vaccinista” è automaticamente e gravemente dalla parte del torto, proprio per l’arroganza del proprio atteggiamento. Invece di nutrire tutti i dubbi del caso, invece di muoversi con cautela e problematicità, chi si colloca nella posizione di giudice morale, e su questa scorta si ritiene legittimato alla coercizione altrui, è per ciò stesso nella posizione del prevaricatore, del prepotente, che sulla base della propria (momentanea) posizione di forza (maggioranza) si compiace di esercitarla e di farla pesare su chi è temporaneamente in una posizione di debolezza (minoranza).
E questa, senza girarci tanto attorno, è molto semplicemente l’immagine di una persona eticamente spregevole.