Servilismo imbarazzante del giornalismo italiano
EUROPA SENZA FUTURO. SE NE ACCORGE ANCHE DRAGHI
CHE È UNO DEI RESPONSABILI
La crisi, irreversibile, del giornalismo italiano è tutta nel servilismo imbarazzante che ha accompagnato la presentazione del dossier di Mario Draghi sulla situazione europea. “Finalmente qualcuno che ha osato dire che il re è nudo!”. Patetico. E indecente. Perché a dirlo, da tempo, sono in molti. Basterebbe starli a sentire. Gli ultimi, in ordine di tempo, gli elettori di Turingia e Sassonia. E prima i francesi, sia a destra sia a sinistra. E gli ungheresi, gli slovacchi. Ma i media italiani erano sordi e muti. Se parlavano era solo per stroncare gli elettori e le loro idee. Per sostenere che erano dei poveracci semianalfabeti.(1)
Ma ora che lo dice Draghi, tutto cambia. Certo, l’analisi coincide mentre le ricette – quando l’ex banchiere le presenterà – divergeranno. Perché, ad esempio, Draghi segue le indicazioni dei suoi padroni e vuole la guerra mentre gli altri pensano ad un rilancio dell’Europa attraverso la pace e la collaborazione.
Però i disastri combinati dall’amministrazione europea sono evidenti a tutti, tranne che ai giornalisti ed al governo dei maggiordomi.
Il Vecchio Continente ha perso competitività. Perché ha rinunciato all’energia russa a basso costo per pagarla 4 volte di più per far contenti i padroni di Washington. Ma l’ha persa anche perché ha investito troppo poco nell’innovazione, nella ricerca. Perché ha abbandonato settori industriali strategici lasciando spazio alle multinazionali statunitensi. Perché, a partire dall’Italia, gli imprenditori hanno venduto le aziende a chiunque si presentasse con la valigetta piena di soldi: cinesi, arabi, indiani, messicani, indonesiani. E andava bene se ad acquistare i marchi storici erano francesi, tedeschi, spagnoli.
Poi si sono aggiunte le politiche lassiste in termini di formazione. Una quota troppo alta di studenti italiani ottiene il diploma pur avendo difficoltà nella comprensione di un testo in italiano. Ma non bisogna stressare i giovani, neppure all’università. Però poi non si comprende perché non riescano a competere con i laureati asiatici.
Anche la gestione del mondo del lavoro non aiuta. Sfruttamento, precarietà e la pretesa che, su queste basi, ci sia qualità. Meno qualità significa minor competitività. Se si aggiunge la politica suicida delle sanzioni, che ha cancellato molti mercati di sbocco, si capisce perché il sistema non regga più. Così il mercato interno ha prezzi folli, insostenibili per la maggioranza della popolazione con redditi insufficienti, e si utilizzano dazi per impedire che arrivino prodotti stranieri a basso costo che potrebbero essere acquistati dai lavoratori sottopagati. Il caso delle auto è emblematico: gli italiani e gli europei non possono permettersi una vettura nuova prodotta in Europa e, con i dazi, si impedisce di acquistare un’auto cinese. Meglio mandare tutti a piedi, e chiudere le fabbriche, piuttosto di alzare i salari o abbassare i prezzi.
Ma vale anche per il cibo, per l’abbigliamento.
E poi ci sono i problemi di rapporti internazionali. Si finge di non capire che il servilismo nei confronti di Washington sta alienando le simpatie del Sud globale. L’Europa poteva far dimenticare il colonialismo solo diventando l’interlocutrice privilegiata di Asia, Africa, America Latina. Invece si è ridotta a fare da maggiordomo per i padroni d’oltreoceano. E non ha voluto vedere che il resto del mondo si muoveva in direzione opposta, rifiutando il doppiopesismo occidentale. Un Sud globale che cresce anche in termini economici, che si trasforma in un grande mercato alternativo, che sviluppa un ceto medio in grado di acquistare quei prodotti che il ceto medio europeo non può più permettersi poiché impoverito da politiche economiche assurde se non criminali.
Approfondimenti del Blog
(1)