Sostanzialmente Nietzsche è un uomo in fuga

Friedrich Nietzsche

AMORE E FOLLIA, UN DIONISO A TORINO

«Dio è morto: ma considerando lo stato in cui si trova la specie umana, forse ancora per un millennio ci saranno grotte in cui si mostrerà la sua ombra.» Friedrich Nietzsche


A Torino, l’aristocratica signora d’Italia che lo fece sentire gentiluomo rispettato, cullato dalla sobria ospitalità della sua gente, la follia scese su Nietzsche gradualmente come una lunga notte estiva, sollevandolo in uno stato di esaltazione, prima di silenziarlo in una demenza lunga dieci anni.

Sostanzialmente Nietzsche è un uomo in fuga, un uomo che adduce di continuo le ragioni della sua strana malattia per eclissarsi e scomparire, affidando alle sue lettere straordinarie ogni sfogo, ogni recriminazione e le implorazioni di un cuore troppo sensibile e vulnerabile. E raramente, invero, egli scorge nella sua malattia qualcosa di connesso a un male più profondo, a un male dell’anima.

Di tutto ciò ne risentì per vari anni la sua filosofia, poiché si formarono due tesi: la prima, in cui si riteneva che il suo pensiero fosse il risultato della malattia, la seconda che sosteneva l’idea secondo cui la malattia fosse il risultato del proprio pensiero. In questo modo, se da una parte al suo filosofare non veniva concessa fiducia, poiché ritenuto malato, essendo il risultato di una malattia, e quindi insostenibile; dall’altra si esaltava, poiché la malattia venne considerata come una condizione creativa del suo filosofare.

Della città sabauda ama l’ordine, i grandi viali ortogonali, il cielo uniformemente grigio, l’innata amabilità delle persone, dal cameriere della trattoria “La Pace”, che lo allieta con maccheroni, ossobuco con broccoli e gelato, alla fruttivendola che sceglie per lui i grappoli d’uva più dolci.

Ha un sarto personale e per l’incipiente rigore invernale provvede di munirsi di un nuovo modello di stufa a carbone, poi rivelatasi insalubre e presto restituita al fabbricante di Dresda.

La vita culturale è quella prediletta dal Nietzsche nauseato dalla pesantezza wagneriana: all’opera preferisce l’operetta e le zarzuelas (l’operetta spagnola) più volgari, i cui protagonisti recitano ruoli da “canaglie”, e sembra profondamente commosso dai funerali di eminenti personalità pubbliche, come il conte Robilant o il principe Eugenio di Savoia, tanto da riferirne ai suoi numerosi corrispondenti con la solennità di un militare in carriera.

Il 21 settembre 1888 prende alloggio in via Carlo Alberto 6 al quarto piano in una camera dell’edicolante David Fino. “stanzetta da studenti”, come scrive nell’ultima lettera di quel periodo estremo, indirizzata al celebre studioso del Rinascimento Jacob Burckhardt.(1)

Torino 3 gennaio 1889. “Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E se guarderai a lungo nell’abisso, l’abisso guarderà dentro di te.” Friedrich Nietzsche

In quel periodo è stato scritto un aneddoto che non si sa se corrisponda al vero. Il filosofo abbracciò pare un cavallo all’uscita del Teatro Carignano di Torino, il 3 gennaio del 1889, e in quel periodo stava in effetti per detonare una follia a lungo incubata, filosofica e clinica. Ma il suo gesto fatale fu tutt’altro che folle. Il cavallo fustigato come emblema di crudeltà era intanto un topos animalista e morale dell’epoca. Infatti la leggenda vuole che dopo l’abbraccio Nietzsche abbia pianto e si sia gettato a terra tra spasmi di dolore. Abbracciare un cavallo non è segno di follia, ma di amore. È, per chi ama questo misterioso e magnifico animale comportamento tra i più normali, direi obbligato.

Tutte le lettere che scrisse in quel periodo, dunque, che va dal 27 settembre 1888 al 6 gennaio 1889 sono un documento importante per penetrare nella mente misteriosamente deragliante di Nietzsche. Esse fanno da contrappunto alla stagione della “grande vendemmia” quando, prima di sprofondare nella pazzia, Nietzsche scrive gli ultimi capolavori. Nessuna maschera lo nasconde quando, dal giorno del suo compleanno, il 15 ottobre, in poco più di un mese scrive “Ecce homo”. Ma nei due lunghi soggiorni torinesi, tra il maggio 1888 e il gennaio 1889, dalla sua penna escono anche “Il caso Wagner”, “Crepuscolo degli idoli”, “L’anticristo”, “Nietzsche contra Wagner”, i “Ditirambi di Dioniso”. E’ un fiume in piena, è come se la sua forza esplodesse prima di spegnersi per sempre. Dalle lettere traspare dapprima questa dirompente vitalità: scrive come se sentisse di non avere più tempo. Ha piena coscienza di essersi guadagnato la posterità con la sua filosofia di rottura e, forse per la prima volta, rileggendo se stesso si accorge e si compiace di aver fatto “tutto molto bene”. Così scriverà all’amico Carl Fuchs: «Nei prossimi anni il mondo sarà sottosopra: dopo che è stato licenziato il vecchio Dio, sarò io d’ora in poi a regnare sul mondo». Siamo a dicembre, e in lui si mostrano inequivocabili i segni avanzati di un delirio di onnipotenza. La pazzia aumenta con il crescere dei giorni in queste lettere, nelle quali dapprima si riflettono la cura meticolosa con la quale segue i manoscritti, i contatti non sempre idilliaci con gli editori, la ricca corrispondenza con Taine(2) e Strindberg,(3) e infine l’inabissarsi del genio nelle tenebre.

Dunque in quel breve lasso temporale, si svolge, nei fotogrammi catturati dal corposo epistolario, (Nietzsche scriveva quasi ogni giorno due o tre lettere, e a volte più lettere lo stesso giorno per lo stesso destinatario) il dramma di uno spirito visibilmente teso allo stremo delle possibilità umane, e che tuttavia continua a recitare con i suoi corrispondenti il ruolo del dionisiaco sovrano del mondo, vantando ammiratori influenti tra le corti europee e altrove, dalla russa ai circoli culturali parigini, dalle redazioni delle riviste culturali inglesi agli iperborei salotti del nichilismo scandinavo, in una messinscena di se stesso che prosegue ostinata fino all’impatto finale con la disgregazione psichica del 9 gennaio. Disagiato dice: «Non sono un uomo, sono un destino», e poi, nella celebre lettera a  Burckhardt, professore e maestro di Nietzsche a Basilea, dopo aver sragionato che «domani arriva mio figlio Umberto (re d’Italia) con la graziosa Margherita, ma anche qui li riceverò solo in maniche di camicia», e ancora: «Ho fatto mettere Caifa (il sommo sacerdote ebreo dei vangeli) in catene; e l’anno scorso sono stato crocefisso a lungo dai medici tedeschi: Bismarck e tutti gli antisemiti eliminati», consumate alla goccia le ultime risorse di raziocinio, quasi puerilmente implora  Burckhardt: «Di questa lettera potrà farne qualsiasi uso, purché non mi screditi nelle considerazione dei basilesi».

Alla luce di queste agghiaccianti freddure, è difficile non cadere nella tentazione di interpretare la follia di Nietzsche come l’ultimo tragico, dionisiaco scherzo del filosofo del superuomo e della volontà di potenza,  tirato alla putrescente civiltà politica e culturale del suo tempo, avvinghiata a nazionalismi che nel secolo successivo fomenteranno massacri senza precedenti nella storia, e incubatrice di espressioni artistiche, l’amato-odiato Wagner in testa e il suo decadentismo, che vedranno tra i loro rappresentanti i corifei delle marce in scarponi chiodati.

Carichi di sinistra fama, nel corpo delle lettere, spiccano i cosiddetti fulminanti “biglietti della follia”, concentrati tra il 31 dicembre e il 4 gennaio, spesso poche righe firmate con gli pseudonimi più disparati: l’Anticristo, il Crocefisso, Dioniso.

Come dunque non struggersi di fronte allo scambio delle ultime lettere con Strindberg, nel biglietto in cui Nietzsche gli scrive: «Ho indetto una riunione di principi a Roma, voglio far fucilare il giovane Imperatore », e il drammaturgo svedese, anche lui non estraneo agli squilibri della mente, allarmato, gli risponde il giorno stesso con un celebre passo dal secondo libro delle odi di Orazio: «Vivrai meglio, o Licinio, non spingendoti sempre in alto mare  né rasentando troppo la costa insidiosa mentre prudente temi le tempeste».

Sapere se il Fascismo di Mussolini o il Rock psichedelico di Jim Morrison sono nati nel segno del filosofo tedesco, è coerentemente un altro discorso.

Nietzsche coglie, esprime e anzitutto incarna una caratteristica essenziale della modernità, l’aspirazione collettiva a essere straordinari. Aveva ragione, dunque, sua sorella Elisabeth(4), «Fritz (come lei lo chiamava N.d.A.) voleva diventare famoso, e lo desiderava con la stessa mancanza di decoro di un ammalato di celebrità». In una lettera a Paul Deussen(5) dell’11 dicembre 1888 egli scrive che si sentiva «come se il destino dell’umanità fosse nelle (sue) mani». In un certo senso ci aveva preso. Considerato che oggi siamo ancora qui a parlare di lui, se avesse pensato e agito diversamente forse in questo momento ragioneremmo altrettanto diversamente.

La secolarizzazione ha rimosso il problema dando corso e dignità al nichilismo: anche il «Dio è morto» di Nietzsche è diventato un «Dio superfluo». Il suo pensiero è caratterizzato dalla messa in discussione della civiltà e della filosofia occidentale, ovvero in una distruzione delle certezze del passato che sorgerà in una nuova epoca, quella del super-uomo, con dei nuovi valori.

Riccardo Alberto Quattrini

 

 

 

 

NOTE

  • (1) Jacob Burckhardt.  Il rapporto Nietzsche – Burckhardt è complesso non solo per quanto concerne l’ aspetto culturale – filosofico, ma anche per la dimensione umana, per l’ esperienza di due grandi uomini della cultura che nutriranno e vedranno nell’altro rispettivamente (nel caso di Nietzsche) il proprio io proiettato sotto l’occhio della temporalità (Nietzsche vedrà in Burckhardt una sorta di se stesso più anziano) o addirittura una conoscenza inizialmente formale ed infine scomoda, per non dire fastidiosa.
  • La storia tra Burckhardt e Nietzsche è la storia di un amore non corrisposto, per tutto il corso della sua vita Nietzsche cercherà di entrare nelle grazie del grande studioso svizzero senza raggiungere mai risultati positivi, o addirittura incontrando cocenti delusioni.
  • (2) Hippolyte Adolphe Taine filosofo, storico e critico letterario francese. È stato il principale teorico del naturalismo francese, uno dei principali fautori del positivismo sociologico, e uno dei primi operatori di Critica storicistica.
  • « si può considerare l’uomo come un animale di specie superiore che produce filosofie e poemi press’a poco come i bachi da seta
  • fanno i loro bozzoli e le api i loro alveari »
  • (Hippolyte Taine)
  • (3) Johan August Strindberg drammaturgo, scrittore e poeta svedese.
  • (4)Elisabeth Förster-Nietzsche. E’ un dato di fatto, comunque, che la svolta in senso filo-nazista non si ebbe con Nietzsche, ma con sua sorella, Elisabeth Förster-Nietzsche, che aveva sposato Bernhard Förster, un ex insegnante di scuola superiore divenuto un agitatore antisemita, il quale progettava di creare un insediamento ariano in Paraguay. I due convinsero quindici famiglie tedesche a fondare una colonia che sarebbe stata battezzata Nueva Germania (la colonia esiste ancor oggi) e partirono per il Sudamerica il 15 febbraio 1887. Quando, indebitato fino al collo, Förster si avvelenò, il 3 giugno 1889, Elisabeth rimase in Paraguay ancora per quattro anni, poi fece ritorno in Germania. Al suo ritorno Nietzsche era ormai un malato di mente, del tutto incapace di prendere parte al vivo dibattito che si svolgeva intorno ai suoi scritti. Elisabeth si diede da fare per diffondere la fama del fratello e fondò nel 1893 a Naumburg il Nietzsche-Archiv; inoltre, dopo la morte di Friedrich, avvenuta nel 1900, provvide anche alla pubblicazione dei frammenti che vanno sotto il nome di La volontà di potenza; però, non si sa se per calcolo o per incapacità di comprenderne il pensiero, diede un’interpretazione tendenziosa e distorta delle sue teorie, in linea con l’antisemitismo che aveva condiviso col marito. Nel 1930 Elisabeth iniziò a sostenere apertamente il Partito Nazionalsocialista Tedesco del Lavoro (ovvero nazista), guadagnandosi l’appoggio economico di Hitler per il Nietzsche-Archiv quando, nel 1933, questi prese il potere.
  • Elisabeth, dal canto suo, ricambiò il favore avallando il regime hitleriano con le teorie di Nietzsche, che da quel momento vennero inscindibilmente legate al nazismo.
  • Quanto delle teorie nietzscheane è dovuto al pensiero di Friedrich, e quanto all’indebito intervento di sua sorella?
  • Difficile stabilirlo.
  • Quel che è certo è che Nietzsche lascia intendere che l’avvento dell’Oltreuomo non si può considerare da nessun punto di vista un fatto meccanico ed automatico: bisogna prima creare le condizioni psico-fisiche interne e quelle esterne adatte perché l’Oltreuomo possa apparire, da un lato prendendo a modello il grandioso splendore, culturale e politico, prodotto dalla secolare selezione psico-fisica della nostra passata aristocrazia iniziato nel Rinascimento italiano e culminato nel ‘700 francese, dall’altro rifacendosi all’antica Grecia ed in particolare alla Repubblica di Platone, il cui scopo finale era la creazione del guerriero-filosofo.
  • Quanto tutto questo possa apparire teorico e velleitario è evidente a tutti.
  • (5) Paul. Deussen – Storico della filosofia e indianista tedesco.

 

BIBLIOGRAFIA

  • “LETTERE DA TORINO”
  • Giuliano Campioni
  • Traduzione Vivetta Vivarelli
  • Adelphi (pp.269)
  • “Spettri di Nietzsche”
  • (Un’avventura umana e intellettuale che anticipa le catastrofi del Novecento)
  • Maurizio Ferraris
  • Editore: Guanda
  • Collana: Biblioteca della Fenice
  • Anno edizione: 2014
  • Pagine: 266 p. , Brossura

 

 

 

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