“Le nuvole come riferimento costante e misterioso sul senso della vita, oltre quella bambagia, cosa c’è, già si chiedeva Aristofane? “Le nuvole sono un teatro permanente, uno schermo su cui proiettare le nostre visioni, ossessioni, premonizioni, profili e cornici tra terra e cielo”, disse Fabrizio De André in un intervista al Rockstar Magazine. “Le nuvole sono ciò che ci distanza da quello che ci nascondiamo, il cielo, la luce”.
Si ripete sempre che la psicoanalisi è nata alla fine dell’Ottocento, quando Sigmund Freud iniziò a esaminare le sue pazienti, distese sul famoso divano. Ma se questo è il gesto che inaugura la psicoanalisi, allora tutto è cominciato prima, molto prima.
«Adesso sdraiati qui e tira fuori qualche pensiero sui casi tuoi».
È il marzo del 423 a.C., quando gli Ateniesi si ritrovarono a teatro per assistere alla nuova commedia di Aristofane, Le Nuvole. La storia, eternamente uguale a se stessa, è quella di un padre, Strepsiade che non sa come fare per sbarcare il lunario, con una moglie poco propensa al risparmio (ma viene dalla società bene, lei, mentre il marito è un contadino inurbato), un figlio, Fidippide scapestrato (tutto la madre) e tanti creditori che lo assillano. È l’alba, il momento dei pensieri più angosciosi e delle intuizioni più ardite. Corre voce di un sapientone, si chiama Socrate, che aiuta a risolvere i problemi, insegnando come fregare gli altri. Ecco chi lo salverà! Strepsiade si precipita da Socrate, che lo guarda dubbioso: prima lo vuole conoscere, e c’è un unico modo farlo sdraiare in quel lettino che c’è nel suo pensatoio, pieno di cimici e pidocchi, ma pur sempre un lettino. Strepsiade è invitato a sdraiarsi e ad aprirsi al maestro, conoscere se stesso.
La psicoanalisi potrebbe essere nata così, quel giorno, all’ombra dell’Acropoli di Atene. Il condizionale è d’obbligo quando si parla di Socrate non dimenticando che venne rappresentato in una commedia di Aristofane e che in quegli anni vi era un certo fermento culturale che caratterizzava l’Atene di quegli anni. Filosofi e pensatori stavano dando vita ad una rivoluzione del pensiero che sarebbe stata la base della cultura europea nei secoli e millenni successivi, ma che veniva visti con sospetto negli ambienti più conservatori della città, i quali vedevano minacciati la religione ufficiale di valori tradizionali. Le nuove filosofie sono insomma viste come sistemi di ragionamento, nei quali quello che conta non è più la difesa dei valori e della giustizia, ma il saper rigirare le parole a proprio vantaggio, in modo da avere la meglio anche quando si ha torto.
Quando Freud disse che non siamo quello che pensiamo di essere, scandalizzò l’Europa. Ci crediamo razionali e morali; invece siamo un calderone ribollente di passioni, impulsi, istinti di cui non siamo neppure consapevoli. Questo è, precisamente, quello che il Socrate di Aristofane rivelava ai suoi malcapitati pazienti. Strepsiade, poveretto, è troppo stupido per seguire. Ma suo figlio, Fidippide, capisce, e in fretta. Ci consideriamo superiori agli animali, ma inconsciamente inseguiamo le stesse cose – sesso, sesso, e ancora sesso. «c’est le sexe, toujours le sexe», spiegava Charcot, uno dei maestri di Freud. Le leggi e la morale altri non sono che dei tentativi di contenere la nostra natura profonda. L’uomo nasce libero e molti dei suoi istinti primitivi per nulla sopiti quali: l’istinto assassino, il desiderio sessuale, la violenza, sono chiaramente dannosi per il funzionamento di una comunità umana, perciò la società crea leggi che inibiscono tali desideri proibendo l’uccisione, lo stupro e l’adulterio implementando severe punizioni se tali norme sono violate. Questo processo, infonde sentimenti di insoddisfazione perpetua nelle persone.
Ostacoli, insomma, che ci impediscono di inseguire i nostri bisogni, condannandoci all’infelicità.
È ora di cambiare! Strepsiade e Fidippide si dimostrano ricettivi e ben presto usano argomentazioni capziose l’uno per non pagare i creditori e l’altro per dimostrare di avere tutto il diritto di picchiare il padre. Così Fidippide chiede al padre se da bambino lo picchiava. E il padre risponde di sì, che lo faceva solo a fin di bene. Allora Fidippide gli risponde che anche lui, a fin di bene, lo può picchiare.
Freud, avrebbe potuto chiamarlo il complesso di Aristofane anziché edipico, secondo cui tutti sognano di farlo fin dalla più tenera età: negare il padre.
Freud conosceva molto bene il mondo antico ma di Aristofane, però, non parla mai forse per nascondere il suo debito. O anche per un’altra ragione.
George Steiner (scrittore e saggista francese 1929) lo ha suggerito con una osservazione fulminante: molte delle nevrosi di cui parla Freud sono spuntate fuori solo dopo che lui ne ha parlato, come profezie che si auto avverano.
Ma era davvero necessario scoprire l’inconscio? Aristofane, un conoscitore dei nostri abissi, ne era convinto. Dunque occorre portare tutto alla luce. Forse c’è un motivo se in noi sono attivi dei meccanismi che occultano le pulsioni più bestiali, ricacciandole nelle profondità dell’Io. Sul lettino di Socrate Fidippide ha guardato nel suo disordine, recuperando ciò che aveva rimosso. Si è conosciuto per quello che è e ha picchiato suo padre, spiegandogli pure che era giusto farlo. Strepsiade, pentito, bastona Socrate e incendia il pensatoio. Nelle Nuvole Aristofane, inconsciamente, ha inventato la psicoanalisi e forse cercò anche di affondarla per sempre.
Se non ci è riuscito è perché ad Atene c’era un Platone la cui benevolenza, bontà e pazienza era solo ciò che appariva, mentre la sua perfidia, con cui sapeva rimettere a posto avversari e rivali, e non erano pochi, e per tutti c’era sempre in serbo qualcosa; questa volta era pronta a emergere per vendicare l’onore di un Socrate la cui macchia, Aristofane aveva gettato su di lui.
Nel Simposio, dunque, il personaggio sarà lui, Aristofane.
È una serata di discorsi in onore di Eros, ma quando arriva il suo turno, Aristofane non riesce a parlare: scoppia in un singhiozzo terribile, incontenibile – saltella, si solletica il naso, starnutisce, ma niente…
Questo singhiozzo irrefrenabile ricorda i tic nervosi delle pazienti di Freud, che erompono tanto più furiosi quanto più si cerca di reprimerli, è il sintomo che rivela il suo punto debole, come la tosse nervosa rivelava quello di Anna O. (è il nome letterario attribuito a Bertha Pappenheim ammalata di isteria), che abbia anche lui problemi con amore e sesso? Inutile illudersi di nascondere quello che abbiamo dentro, perché tanto viene fuori, in un modo o nell’altro. Aristofane, il moralista spregiudicato, in fondo è come le fragili damigelle della borghesia viennese. Magari la filosofia e la psicoanalisi potrebbero aiutarlo a fare chiarezza dentro di sé, a convivere con i suoi problemi.
In Al di là del principio di piacere, le uniche pagine in cui Freud cita Platone è proprio nel Simposio quando finalmente Aristofane liberatosi del singhiozzo in un travolgente epilogo dove in quelle parole c’è la risposta ultima ai misteri della nostra esistenza, controbilanciata da un oscuro impulso verso la morte. Eros e Thanatos generano il ritmo della nostra sussistenza scandito dal conflitto tra queste forze, ma con una sorpresa finale. A prevalere è la seconda, la nostalgia della quiete, l’inerzia perfetta della materia inorganica. La vita è difforme, tragica, un’eccezione che va ricomposta; il compimento della libido è il riposo della morte come racconta Aristofane. Un tempo l’uomo e la donna erano una cosa sola, perfetti e bellissimi ma, Zeus, invidioso, li divise in due e li destinò a cercarsi per tutta la vita. L’amore, dunque, è sofferenza, trovando l’una e l’altra avrebbero trovato l’antica perfezione perduta che, una volta trovata «si lasciavano morire di fame e di inerzia».
La teoria più audace di Freud era stata anticipata da Aristofane nel Simposio. Era il capolavoro di Platone, il cerchio che si chiude: Aristofane, nemico caparbio, è arruolato tra i grandi della psicoanalisi.
Quando simili discorsi giunsero alle orecchie di Aristotele la reazione fu di sconcerto. La Macedonia era una regione colta, che ospitava poeti e filosofi. Era anche una terra ricca di buon senso. Proprio quello che mancava agli intellettuali ateniesi: raffinati, raffinatissimi, ma anche nevrotici, persi in polemiche, invidie e gelosie. Per Aristotele la verità di questo sillogismo risiede appunto nella differenza tra amore e attrazione sessuale con l’implicito presupposto che l’amore sia fondamentalmente migliore del sesso: «amore quindi è preferibile al rapporto sessuale secondo il desiderio erotico». Questa «parte» non ha niente a che vedere con l’amore o il sesso: è quella che sovrintende alle funzioni organiche di base – respirazione, digestione, circolazione del sangue. È la vita che trionfa, incurante dei nostri pensieri. Quanto al resto, passioni amorose incluse, tutto può essere corretto, con un po’ di educazione e un po’ di sana attività fisica. Gli psicodrammi di Aristofane e Platone non servono.
Decisamente sbrigativo e frettoloso per un tema così complesso capace di riempire pagine e pagine di libri, metri e metri di pellicola, suscitare omicidi stupri violenze e guerre.
Certamente è materia molto incerta e oscura è la sfida dei nostri giorni, con medici e scienziati alla ricerca di nuove teorie a spese di filosofi un poco stravaganti che non possono più rispondere.
BIBLIOGRAFIA:
“Il disagio della civiltà”
Sigmund Freud
Editore: Bollati Boringhieri
Collana: Saggi. Psicologia
Anno edizione: 1985
Pagine: 300 p.