”Fu bellissima e amata dai suoi discepoli, pur respingendoli sempre
IPAZIA, UNA MARTIRE DEL PAGANESIMO
Sedici secoli ci separano da questa figura di giovane donna, maestra di filosofia neoplatonica, astronoma, inventrice di macchine scientifiche, fulcro di cultura, donna carismatica e popolare, sapiente filosofa, influente politica, sfrontata e carismatica maestra di pensiero e di comportamento
Fu bellissima e amata dai suoi discepoli, pur respingendoli sempre. La sua femminile eminenza fu fonte di scandalo e accese l’invidia. Questa donna, figlia di Teone un filosofo che studiava e insegnava ad Alessandria dedicandosi in particolare alla matematica e all’astronomia si chiamava Ipazia. Essa fu l’ultima predicatrice del neoplatonismo nel mondo che si andava cristianizzando. Ipazia era solita indossare un mantello, usato dai filosofi del tempo, e andare nel centro della città. Lì, per tutti coloro che desiderassero ascoltarla, commentava pubblicamente Platone, Aristotele, o le dottrine di qualche altro filosofo. Oltre alla sua esperienza nell’insegnare riuscì a elevarsi al vertice della virtù civica. La mancanza di ogni suo scritto, rende problematico stabilire il contributo effettivo da lei prodotto al progresso del sapere matematico e astronomico della scuola di Alessandria. È dall’allievo Sinesio che possiamo apprendere ciò che, in effetti, fece Ipazia. Ella costruì e perfezionò un astrolabio(foto), già usato da Ipparco e Tolomeo, ma non nel modo teorico e pratico che lei perfezionò. Cercò di misurare il peso dei liquidi, ed ecco inventato un idroscopio, semplice ma ingegnoso. Le fonti antiche le attribuiscono sicuramente un Commentario sull’Aritmetica di Diofanto di Alessandria (padre dell’algebra, vissuto tra il III e il IV secolo d.C.) e un Commentario sulle Coniche di Apollonio di Perga (matematico e astronomo greco antico, famoso per le sue opere sulle sezioni coniche). Inoltre fu proprio Ipazia a curare l’edizione di un’opera di suo padre: “Commentario sull’Almagesto di Tolomeo”.
Damascio, un filosofo neoplatonico dell’Accademia di Atene scriveva: «Era pronta e dialettica nei discorsi, accorta e politica nelle azioni, il resto della città a buon diritto la amava e la ossequiava grandemente, e i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da lei, come continuava ad avvenire anche ad Atene. […]». Ipazia dunque era una donna amata e rispettata dalla sua gente. E dunque, come fu possibile che essa divenne una martire laica, preda di un agguato e un orribile assassinio infertole a soli 45 anni nel 415 dopo Cristo?
Vediamone dunque le ragioni.
Alla morte dello zio Teofilo, patriarca di Alessandria avvenuta nell’ottobre del 412 salì al trono il nipote Cirillo. Nonostante l’opposizione di molti che lo giudicavano violento e autoritario al pari dello zio, (per non smentirsi fece distruggere la colonia ebraica di Alessandria). Egli si accinse a rendere l’episcopato molto più simile a un dominio, pretendendo di padroneggiare anche la cosa pubblica oltre il limite consentito all’ordine episcopale. Inimicandosi in tal modo il prefetto di Alessandria Oreste, che difendeva le proprie prerogative. Cirillo e i suoi sostenitori, cercarono di occultarne la vera natura, adducendo che si trattava di una questione religiosa, un conflitto tra paganesimo e cristianesimo. Lo storico della Chiesa Socrate Scolastico dice:
«Ipazia s’incontrava alquanto di frequente con Oreste. L’invidia mise in giro una calunnia su di lei presso il popolo della chiesa, e cioè che fosse lei a non permettere che Oreste si riconciliasse con il vescovo.»
Questo fu l’antefatto dal quale scaturì l’omicidio di Ipazia.
Così accadde che un giorno il vescovo Cirillo, passando presso la casa di Ipazia, vide una grande folla di persone, di carri, lettighe, cavalli e guardie nei pressi della sua casa. Alcuni stavano arrivando, alcuni partendo, e altri sostavano.
«Di chi è quella casa?» chiese «Che cosa sta succedendo?»
«È la casa della filosofa Ipazia», gli rispose uno del seguito «quelli che vedi, sono i curiali del prefetto, lui deve essere venuto con altri a salutarla e ad ascoltarla».
Il vescovo a tali parole trasalì, una fitta penosa lo penetrò nell’anima. Di sicuro il nome di quella donna, famosa in città, non gli era ignoto. Ignoto invece, fu per lui scoprire che il prefetto si degnasse di farle visita, dopo che aveva rifiutato l’offerta di una riconciliazione, fatta da lui, Cirillo, che era un uomo e un vescovo. Ora, proviamo a immaginare il pensiero che seguì a quell’angoscioso ma umano sentimento: invidia, rabbia, stizza, livore; forse gelosia:
«Ad Alessandria le cose andrebbero meglio se io e il prefetto fossimo amici. Non lo siamo per colpa di Ipazia, che si è messa di mezzo, e ha attirato Oreste nella sua cerchia.»
Esternò convinto Cirillo.
Questo fatto fu interpretato calunniosamente dal popolino cristiano che si convinse fosse lei a impedire a Oreste di riconciliarsi con il vescovo.
Fu così che, nel marzo del 415, un gruppo di cristiani fanatici e bigotti, sotto la guida di un lettore chiamato Pietro, sorpresero la filosofa mentre ritornava a casa. La tirarono giù dalla lettiga e la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario. Qui all’interno, le tolsero tutte le vesti e, una volta completamente nuda, la scorticarono fino alle ossa (secondo alcune fonti utilizzando le ostrakois (letteralmente “gusci di ostriche”), ma il termine era usato anche per indicare cocci o pezzi di vetro. Dopo che l’ebbero smembrata, i pezzi del suo corpo li portarono in una località chiamata Cinarone, una specie di discarica, dove vi gettavano materiali di scarto ai quali davano fuoco, lo stesso che usarono ber bruciare quei poveri resti.
Ipazia, dunque, a causa della rivalità tra due uomini Cirillo e Oreste, che rappresentavano l’uno il potere ecclesiastico, l’altro quello imperiale, impedendo loro di trovare un compromesso per una conveniente alleanza, perse la vita.
Dopo l’assassinio di Ipazia i suoi allievi abbandonarono la città. Alessandria perse definitivamente il suo ruolo di centro culturale.
Il fondamentalismo ancora oggi uccide e ci si fa uccidere in nome della religione. Anche nei nostri civili e materialistici paesi industrializzati avvengono assurde manifestazioni di oscurantismo, come in alcuni stati della civilissima America in cui si proibisce di insegnare nelle scuole la teoria dell’evoluzione di Darwin e s’impone l’insegnamento del creazionismo.
Copertina: Charles William Mitchell, la morte di Ipazia (1854–1903) [Wikipedia P.D.]