”Bello non era, e si lavava anche poco
LA “BELLEZZA” DI SOCRATE, E IL CONCORSO DI CRITOBULO
di A. MASSARENTI
La filosofia va studiata non per amore delle risposte precise alle domande che essa pone, ma piuttosto per amore delle domande stesse; perché esse ampliano la nostra concezione di ciò che è possibile, arricchiscono la nostra immaginazione e intaccano l’arroganza dogmatica che preclude alla mente la speculazione. Bertrand Russell
Bello non era, e si lavava anche poco. Socrate aveva altro a cui pensare. Rifletteva, pensava, appunto. Ammaliava giovani e vecchi con i suoi ragionamenti e, soprattutto, dialogava. L’oracolo di Delfi gli aveva rivelato, con il suo solito stile enigmatico, che proprio lui era il più sapiente degli uomini. Al momento gli era apparso assai strano. Ma, poi, verificato, attraverso il dialogo, quanto poco sapevano di fatto coloro che ostentavano i più diversi saperi, si accorse che lui, rispetto a quelli, almeno sapeva di non
“Domande che aprono la mente
È con questo spirito che Socrate poneva le sue domande, e con lui tutti i filosofi che si sono susseguiti nei secoli a venire. Di che cosa è fatto il mondo? Da che cosa ha avuto origine? Perché le cose cambiano? La vita ha un senso, magari un destino, o è un futile agitarsi per nulla? Siamo veramente liberi? Esiste Dio? E una giustizia al di sopra degli uomini? E delle norme per orientare la nostra condotta nella vita quotidiana, tali da aiutarci a rispondere a un ulteriore domanda – posta per la prima volta proprio da Socrate – su «come uno deve vivere»? nessuno di questi quesiti avrà mai una risposta definitiva. Eppure sono domande irrinunciabili per tutti coloro con un briciolo di raziocinio. Da loro deriva il fascino irresistibile della filosofia.
“Il concorso
Un giorno, brutto e trasandato come si presentava di solito, fu sfidato a un concorso di bellezza dall’amico Critobulo. «Partecipo, d’accordo – rispose – ma dimmi: che cosa intendi per bellezza? Credi che il bello si trovi solo nell’uomo o anche in altre cose». «Anche nel cavallo, nel bue e in molti oggetti inanimati – rispose – . Uno scudo può essere bello, e una spada, un’asta». «Cose così diverse tra loro, com’è possibile che siano tutte belle?». «Se sono ben fabbricate rispetto agli usi per i quali le acquistiamo o se sono per natura adeguate a ciò di cui abbiamo bisogno, queste cose sono belle».
«Bene – chiede allora Socrate – sai perché abbiamo bisogno degli occhi?». «Per vedere». «Se è così i miei occhi sono più belli dei tuoi». «E perché?». «I tuoi guardano dritto innanzi a loro. I miei, invece, sporgenti come sono, guardano anche di lato». «Dunque, gli occhi più belli sono quelli del granchio?». «Certo». «E che dire del naso, è più bello il mio o il tuo?», soggiunse Critobulo. «Gli dèi ce l’hanno dato per odorare – risponde Socrate – . Le tue narici guardano verso terra, le mie verso l’alto e possono così accogliere gli odori da ogni dove».
E via dialogando, finché Critobulo si arrende e, ammettendo lo svantaggio, chiede che si voti pensando di avere la peggio. A perdere, invece, è ovviamente Socrate. Ma da questa testimonianza di Senofonte, suo grande ammiratore, avrete capito quanto era ironico e spiritoso. Autoironico, soprattutto. Il suo era un modo per scherzare sulla sua stessa bruttezza, per il divertimento proprio e dei presenti. Neppure per un istante aveva preso sul serio l’idea di poter essere davvero considerato bello. Aveva semplicemente adottato, in una situazione così frivola, il più classico dei suoi metodi, il meccanismo complesso dell’ironia che porta il suo nome.
Socrate sa di non essere bello. E sa che la definizione di bellezza data da Critobulo non porta molto lontano. Proprio per questo finge di prenderla massimamente sul serio, perché così, passo dopo passo, riesce a dimostrare artatamente il proprio vantaggio. Sembra uno degli stratagemmi che Aristotele e, molti secoli dopo Schopenhauer, descriveranno nel contesto dell’eristica, l’arte di ottenere ragione anche quando si ha torto, incuranti dei più elementari principi di correttezza.
Ma il bello è che Socrate qui non sta affatto cercando di aver ragione. Non vuole certo vincere la gara. Sta solo approfittando della situazione per divertirsi un po’ e, nello stesso tempo, fare un po’ di buona filosofia. Vuole almeno che l’ovvio vincitore si renda conto di quanto è lontano dal cogliere la vera essenza della bellezza, che non può essere definita solo in termini di convenienza e utilità, pena il dover considerare bello uno come Socrate. Il quale, peraltro, ha sempre negato di sapere alcunché su qualunque argomento gli capitasse di discutere: la virtù, la giustizia, la bellezza. Era il suo marchio di fabbrica. Al pari della sua bruttezza, della sua ironia e della sua intelligenza.
Giuseppina
12 Ottobre 2019 a 21:39
Bellissima illustrazione nel senso filosofico di Socrate, con la sua provocazione oratoria, una specie di duello, che per lui era un gioco verbale,dove la realta’ piu’ importante era prolungarlo, non come sfida, ma come un equilibrismo verbale di diversi concetti