”Un tempo la Retorica era un’arte
FIORI DI… RETORICA
Un tempo la Retorica era un’arte. Anzi, per i Romani, era l’arte per eccellenza. La più importante. Perché significava apprendere, e poi esercitare il dominio della parola. E del pensiero, che con questa si salda, come la Spada di Sigfrido. Che solo una volta tornata integra permette all’eroe di uccidere il Drago. E conquistare il tesoro. Interessante simbolismo, in epoca di Draghi che hanno rubato, e nascosto, tesori altrui…
Comunque, l’educazione retorica era cosa complessa. Greci e romani ne avevano fatto una vera e propria scienza. Divisa in varie parti. Si partiva dall’Inventio, la capacità di pensare i temi del discorso. E poi, una volta trovati, si procedeva a dare loro forma. Li si disponeva in un preciso ordine. E li si elaborava nel discorso. Poi si esercitava la memoria. Perché si doveva sapere parlare senza leggere. Ma senza perdere di precisione. E, infine, vi era l’Actio. La recitazione del discorso. Dove contava il tono, o meglio i diversi toni della voce. Ma anche, non meno importante, la capacità di accompagnare il discorso con i gesti, le mani, l’espressione del volto. La postura del corpo.
I grandi oratori di ogni tempo hanno, in qualche modo, sempre seguito queste regole. Questa disciplina. Perché la Retorica questo è: disciplina non solo della parola, ma anche della mente e del corpo. Arte totale, insomma.
Chissà perché, però, oggi, la parola “retorica” viene più che altro utilizzata in una accezione negativa. Addirittura, spregiativa. Dire che un discorso è retorico, equivale a definirlo pomposo, enfatico… fasullo. E si elogia, al contrario, la semplicità, che, spesso, è solo povertà. Povertà di parole. Povertà, o assenza di pensiero.
Crediamo che la nostra sia un’epoca non retorica. E ce ne vantiamo, quasi. Quando, all’opposto, mai, in passato, vi è stato un tale abuso di espressioni enfatiche e melense, fasulle, da cattivi attori di farse di terz’ordine. Un uso della commozione, dei buoni sentimenti, che fa rimpiangere le care, vecchie cose di pessimo gusto, del Gozzano.
Per non parlare della gestualità. Esagerata. Esasperata. Ben oltre il limite del ridicolo e della decenza. Basti pensare a quel inginocchiarsi divenuto di moda. Dal parlamento ai campi di calcio. E a certe manifestazioni di… “orgoglio” sguajate, volgari… Offensive per ogni senso estetico…
Sento spesso dire che, ad esempio, il Fascismo era “retorico”. E vedo professorucoli e studentelli ridacchiare con, saputa, aria di superiorità…
Certo, parole d’ordine come “Volete burro o cannoni?” oggi ci fanno ridere. Però le cose vanno contestualizzate nella loro epoca… e quel discorso era ben altro che uno slogan. Lui… sapeva cosa fosse l’oratoria politica. E la calibrava sull’uditorio che aveva davanti. Lo fece a Roma. Dove, per altro, l’uso del burro è minimale… Mica disse “Volete l’amatriciana o i cannoni?” …
Battute a parte… li avete sentiti i discorsi di Draghi? Gli inviti a non accendere il condizionatore, a non lavarsi per… salvare l’Ucraina?
E vi ricordate la Fornero che piangeva, confortata da un paterno prof. Monti, mentre (scusate l’espressione) fotteva il futuro di intere generazioni di lavoratori?
Avete letto su Repubblica, organo ufficiale delle odierne élite intellettuali, il rimpianto per la mascherina, che ci mancherà tanto? O, il più recente, elogio dell’inverno al freddo, che secondo tali geni ci renderà più felici?
È cattiva retorica quella del burro o cannoni, ridicola, assurda… e questa è invece intelligente espressione di una superiorità culturale? Fate voi…
In fondo, ognuno ha i retori che si merita. O meglio che è in grado di apprezzare. In base alla sua sensibilità, cultura e… intelligenza.