”«Chi avrebbe creduto pochi mesi fa che la luce, essere penetrabile, intangibile, imponderabile, privo insomma di tutte le proprietà della materia, avrebbe assunto l’incarico del pittore […]»
FOTOGRAFIA E NUDO: L’EROTISMO D’EPOCA
CHE HA DOMINATO GLI ANNI ’20
«Chi avrebbe creduto pochi mesi fa che la luce, essere penetrabile, intangibile, imponderabile, privo insomma di tutte le proprietà della materia, avrebbe assunto l’incarico del pittore disegnando propriamente di per se stessa, e colla più squisita maestria quelle eteree immagini ch’ella dianzi dipingeva sfuggevoli nella camera oscura e che l’arte si sforzava invano di arrestare? Eppure questo miracolo si è compiutamente operato fra le mani del nostro Dagherre» (Macedonio Melloni, Relazione intorno al dagherrotipo, 1839) [Wikipedia]
Il dagherrotipo, antenato della macchina fotografica, viene presentato per la prima volta al pubblico nel 1839: funzionava tramite un procedimento molto complicato, che prevedeva l’esposizione alla luce di una lastra di rame placcata d’argento per 10-15 minuti. Certamente non fu una tecnologia subito impiegata nella vita di tutti i giorni e anche quando, non molto tempo dopo, cominciarono a comparire le prime macchine fotografiche propriamente dette, molti continuarono a preferire i vecchi dipinti. Ma i primi a impiegare la fotografia furono, neanche a dirlo, proprio i pittori e tra i loro soggetti preferiti c’erano, ovviamente, i nudi femminili; così in pratica le origini della fotografia erotica coincidono con le origini della fotografia stessa.
Il fatto che già nell’Ottocento esistessero fotografie di donne nude o, comunque, decisamente poco vestite in un primo momento può stupire molto, ma non è poi così strano. In effetti, il nudo artistico esisteva da secoli ed era, anzi, considerato un modo molto nobile di rappresentare la persona: lo scandalo era impedito dalla visione idealizzata che si aveva del corpo dipinto in un quadro e a nessuno avrebbe disturbato una bella versione di Leda e il cigno in un salotto vittoriano. Apprezzato da persone di ogni stato sociale, il nudo – quasi esclusivamente femminile – era stato studiato fin dagli inizi della storia dell’arte e ogni artista ne aveva prodotti, cercando di avvicinarsi il più possibile alla realtà. Ora la primitiva fotografia offriva la possibilità di “stampare” la realtà, senza più bisogno di una modella che posasse per ore.
In questa accezione le fotografie di nudi erano accettate senza troppi problemi: gli unici destinatari erano gli artisti, che le utilizzavano come “aiuto” per compiere i loro studi di anatomia e realizzare poi le loro opere. Molto presto, però, ci si accorse che fotografare un nudo era molto diverso dal dipingerlo. Un artista che dipinge un nudo si frappone con la sua personale interpretazione tra la sua modella e chi guarda l’opera completa e, in qualche modo, “spersonalizza” il soggetto del dipinto; lo spettatore non ha mai l’impressione di trovarsi davanti a qualcosa di reale. La fotografia, invece, elimina il mezzo (cioè l’artista) e rappresenta il corpo della modella esattamente com’è, senza possibilità di altre interpretazioni: da qui nasce l’erotismo delle prime fotografie. Le modelle, che dapprima ricalcavano le pose tradizionali dei dipinti rinascimentali, presto iniziano a posare in modi che esplicitamente vogliono suscitare desiderio, con gli organi genitali in vista o con sguardi provocanti lanciati allo spettatore; la possibilità di colorare a posteriori la fotografia aggiungeva un ulteriore tocco di realismo.
La fotografia erotica intraprese subito molte e diverse strade. Nata in Francia, patria dell’inventore del dagherrotipo, agli inizi del ‘900 si spostò negli Stati Uniti e soprattutto in Inghilterra, dove la rigida morale dell’epoca vittoriana si accompagnava anche a un forte interesse per la sessualità. In molti Paesi erano vietate la produzione, l’acquisto e la circolazione di fotografie di questo tipo, che dunque iniziarono a essere stampate su scatole di fiammiferi, francobolli e cartoline per passare più inosservati; ma, a dimostrazione dell’inefficacia della repressione, presto comparvero anche i calendari e i cataloghi, che trovavano un loro impiego pratico nelle case chiuse.
Nel frattempo in Francia si sviluppava un altro genere di fotografia, divenuta celeberrima: la cartolina Francese. La dicitura “cartolina” era giustificata in realtà solo dalle dimensioni, perché era proibito spedire immagini così esplicitamente osé. Si trattava di fotografie che raffiguravano i corpi nudi senza veli e in pose esplicite, lasciando davvero poco all’immaginazione. Sia gli artisti sia le modelle si impegnavano ancora a mantenere il loro anonimato per evitare guai con la giustizia, ma ormai il proibizionismo poteva fare ben poco: gli anni ’20 segnarono il successo delle cartoline, che, vendute sottobanco nelle tabaccherie e scambiate segretamente nelle stazioni, raggiunsero ogni angolo del mondo occidentale. Grazie al perfezionamento della fotografia, poi, molti artisti iniziarono anche a farsi conoscere esclusivamente come fotografi; tra questi, Julian Mandel (si sospetta che sia uno pseudonimo), divenuto famoso per le sue cartoline en plein air.
Quello che colpisce – e che rende oggi le cartoline francesi oggetti da collezione ricercatissimi – è l’enorme varietà dei tipi di fotografie. Nella storia dell’arte, come già detto, il nudo femminile è sempre stato quello più apprezzato e così è ancora anche nella fotografia erotica, ma nel periodo tra le due guerre si iniziò a vedere anche “oltre”. La fotografia iniziò a lasciare spazio a donne che oggi definiremmo curvy, a straniere, alle ballerine, a uomini giovani, alle coppie impegnate nel gioco della seduzione reciproca; si ritornò perfino in parte al disegno, realizzando cartoline “più simpatiche”, ma anche più esplicite, che alludevano a pratiche sessuali come la fellatio. Gli anni ’20 furono il periodo d’oro della fotografia erotica ed è a quest’epoca che gli artisti si rivolgeranno, una volta terminata la Seconda Guerra Mondiale, per recuperare un genere che, fin dalla sua prima apparizione, ha avuto molto più successo di quanto chiunque sarebbe disposto ad ammettere.
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Silvia Ferrari Classe 1990, nata a Milano, laureata in Filologia, Letterature e qualcos’altro dell’Antichità (abbreviamo in “Lettere antiche”). In netto contrasto con la mia assoluta venerazione per i classici, mi piace smanettare con i PC. Spesso vincono loro, ma ci divertiamo parecchio.