Libertà è partecipazione
GENITORI A SCUOLA: TUTTI POTENZIALI INFLUENCER MA FRUSTRATI
Libertà è partecipazione. Era iniziata così, negli anni ’70, l’ingerenza delle famiglie nella gestione della scuola. Volevi non far partecipare madri e padri alle noiosissime riunioni in cui le casalinghe di Voghera spiegavano ai professori come comportarsi con gli allievi? I padri, in genere, preferivano restare a casa. Ma, in ogni caso, anche le mamme erano quasi sempre in soggezione davanti ai docenti.
Poi, però, a gestire la scuola sono arrivati i reduci del ’68. Sia in veste di professori sia come genitori. Ed è iniziato il caos. Però spesso creativo. E ci si è crogiolati nell’illusione che i voti regalati, il confronto, il dibattito avrebbero risolto ogni problema. Così non è stato. Ma il peggio doveva ancora arrivare.
Perché da un lato la fantasia al potere si è trasformata nel trionfo della burocrazia più ottusa, delle regole idiota, della modulistica più opprimente. Sul fronte opposto le famiglie sessantottine sono state sostituite dalle famiglie del pensiero debole. Nel senso che proprio non avevano idea di cosa fosse un pensiero.
Sono le famiglie dei diritti, del voto massimo garantito, il 6 politico è stato abbandonato in nome del 10 per tutti. Ogni ragazzino fancazzista è stato premiato con un certificato di disagio che gli consente di avere voti più alti, percorsi di studio facilitati, aiuti di ogni sorta. In anni lontani i pigri ottenevano una esenzione compiacente dall’ora di ginnastica, ora una sindrome si individua per chiunque ne faccia richiesta.
In caso contrario un bel ricorso al Tar risolve tutto.
La deriva poteva finire qui? Certo che no.
Ed allora dalle pretese e dai ricorsi si è passati alle violenze ed alle aggressioni. Da parte degli studenti e dei genitori. D’altronde il massimo della punizione consiste in qualche percorso socialmente utile per i teppisti (ripulire un muro da una scritta, verniciare una panchina) e in una condanna senza conseguenze per i genitori. Non proprio una grande deterrenza.
Ora, però, i docenti chiedono di allontanare le famiglie dalla gestione scolastica. I genitori pensino ad insegnare educazione e rispetto, al resto provvedano gli insegnanti. Ma le associazioni di genitori non ci stanno. Anche perché si è aggiunto il garante della privacy che, non avendo nulla di più importante di cui occuparsi, impone le regole alle chat delle mamme e dei papà degli scolari. Il grande fratello è ovunque, anche nell’analisi delle notizie sul mal di pancia di bimba o sul ginocchio sbucciato di un bimbo. Le grandi priorità italiane.
Ma come si fa, in Italia, a togliere potere ad una associazione di parenti? Che siano parenti delle vittime (di qualsiasi cosa) o parenti degli studenti, le associazioni non si toccano. Pretendono, organizzano, si mobilitano. Vogliono corsi di formazione per genitori. Ma non per insegnare l’educazione ai propri figli. Quello è un particolare che non interessa. Loro, i genitori, hanno bisogno di ribalta, di protagonismo. Almeno di una platea scolastica. Tutti potenziali influencer, ma frustrati.