L’atto crudele non può essere assolto

Sacrificio di Ifigenia (1740-1742)

GLI EFFETTI COLLATERALI DEL DELIRIO MISTICO:

DAL MITO ALLA REALTÀ

di 

Rossana Sorrentino e Sara Ricci

L’empietà della religio può fare danni anche fuori dalla realtà mitologica: non solo il battagliero Agamennone si è macchiato di un atroce omicidio perché sedotto da un dettato non religioso, ma anche Giovanni Barreca e Arne Cheyenne Johnson, uomini in carne ed ossa, hanno ucciso perché spinti da una negativa forza soprannaturale.


Il morbo della superstizione ferina, protagonista del mondo omerico, schiavizzò voracemente la coscienza di Agamennone, capo supremo degli achei. Bisognava annichilire Paride, il rapitore della bellissima Elena, moglie di Menelao, e bisognava partire per Troia. Ma il mare appariva egoisticamente pacato da mesi e il vento vittima di un’avida condizione di mutismo. Il fanatico battagliero non avrebbe di certo potuto attribuire la bonaccia a consuete cause meteorologiche: indebolito dalle circostanze, percepisce la collera di una divinità decisa a fermarlo e pronta a punirlo. Per placare la collera della divinità, l’uomo compie qualcosa di estremo: uccide sua figlia, la vergine Ifigenia. Sacrificio doloroso, il cui veicolo non è altro che il dettato di una non-religione che spolpa il raziocinio dell’uomo.

Nel De rerum natura di Tito Lucrezio Caro, il poeta latino scrive:

« […] troppo spesso quella superstizione ha dato luogo ad azioni scellerate ed empie. In questo modo in Aulide i capi scelti dei Danai, fior fiore degli eroi, macchiarono orribilmente l’altare della vergine Trivia con il sangue di Ifigenia ».

L’atto crudele non può essere assolto: Agamennone perde lo status di padre per timore del niente. La religione esercita un fondamentale ruolo nel consorzio umano, è questo è innegabile. Essere umani non è roba da poco, siamo spesso schiavi di un frustrante vagabondaggio emotivo, timorosi di ogni azione perché coscienti del fatto che la vita non è che un susseguirsi di tentativi ed errori. A scontrarsi con l’incerto è proprio la religione, una parabola dell’intangibile, che nonostante tutto pare consolare gran parte di umanità.

Il culto religioso, se è salubre, legittima un positivo processo di umanizzazione. In quell’apertura, l’uomo riconosce la sua fallace essenza e si rivede nell’immagine dell’impacciata pecorella smarrita pronta a farsi recuperare dal proprio Sommo Pastore. Affidarsi a qualcosa di più grande non è sintomo di debolezza: il culto che arricchisce tende spesso a garantire riposo, speranza, resilienza.

Tuttavia, quando diventa fanatismo, il culto cessa di essere supporto per l’uomo. A distanza di secoli, infatti, un altro uomo – che potremmo definire incarnazione ideale di Agamennone – compie lo stesso atto estremo, sterminando la sua famiglia in nome di Dio. Facciamo riferimento alle recenti tragiche vicende di un muratore cinquantaquattrenne, ben fuori dal teatro mitologico, ad Altavilla Milicia, comune palermitano. L’11 febbraio 2024, l’uomo in questione uccide moglie e figli, tutti giovanissimi, soggiogato dal dettato pseudo-religioso di due santoni social che per hobby praticano esorcismi fai-da-te.

In questo caso, la religione si annulla in quanto Dio è escluso dal culto che legittima e il risultato di tale lacerazione non è altro che una pratica idolatrante che promuove l’ossessività, un dogma che annichilisce l’idea di qualsivoglia Dio, sostituendolo. È un simulacro di religione quello dei due santoni che avrebbero presumibilmente condizionato il carnefice, seducendolo e avvicinandolo ad una surreale idea di purificazione dell’anima alimentando il terrore del debole uomo nei confronti del demonio che pare contaminasse tutto, tanto da necessitare una devastante sanificazione di ogni spazio precedentemente occupato dalla famiglia infetta. L’assassino è dunque un’ideale incarnazione di Agamennone: negli occhi dei suoi figli e di sua moglie ha individuato l’ostacolo della sua ascesi.

Luca Signorelli, Cappella di san Brizio, predica e punizione dell’anticristo

***Cosa accadrà quando quest’uomo realizzerà che tra i fili di cotone della candida camicia da padre e pastore che indossava stagna ormai il sangue di vittime innocenti? Quando tortura, sevizia e uccide, il culto si allontana dalla fede spirituale: polarizzandosi negativamente, si trasforma in letale manipolazione di sé e degli altri, pertanto una questione ai limiti del patologico. La fede non giustifica il senso della nostra esistenza, ma dovrebbe potenziarlo. Appare inutile in circostanze simili chiedersi dove sia Dio, o per quale motivo rechi questo male. Tuttavia, è legittimo chiedersi: che fine avrà fatto l’uomo?

Se da una parte il delirio mistico influenza l’uomo imponendogli di inginocchiarsi davanti ad un Dio crudele e paradossalmente purificatore, dall’altra, agli estremi di suddetta polarizzazione negativa, c’è l’esigenza di sottostare da energie di natura ben più sinistra, che non vogliono purificare o rendere migliore, bensì solo sterminare e creare scompiglio. Un esempio di questa tipologia di delirio è il noto caso di Arne Cheyenne Johnson, che il 16 febbraio 1981 uccise con quattro coltellate il suo padrone di casa, dichiarando di non ricordare nulla qualche minuto dopo i fatti. In The Devil on Trial, documentario basato proprio su questa vicenda, vengono riportate dettagliatamente le circostanze del processo, durante il quale la difesa di Johnson scelse di usare come arma a proprio favore la presunta incapacità di intendere e di volere dell’imputato, che agì influenzato dal diavolo.

 

In questo periodo storico, dopo le vicende di Enfield e Amityville, i casi di possessione erano all’apice della loro popolarità. Reso virale dalle testate giornalistiche che lo presentavano con le parole ripetute dall’imputato: “The devil made me do it”, nonché “Il diavolo me l’ha fatto fare”, così da svincolarsi da qualsiasi tipo di responsabilità per l’uccisione di Alan Bono, il processo si concluse con la resa della difesa di Johnson e la sua scelta di rappresentarsi da solo davanti alla corte, declamando convintamente la sua innocenza. Condannato a una pena da dieci a vent’anni in un carcere di massima sicurezza, ancora oggi Johnson si dichiara innocente.

 

Quello che emerge da questi casi è la mancanza assoluta di umanità nella definizione delle intenzioni di chi agisce: al di là del mito, le vicende di Agamennone, del pastore palermitano e di Johnson hanno alla loro base una matrice farneticante e allucinatoria, mascherata da una certa lucidità anche sensata in quello che è l’emisfero di un delirio mistico. A prescindere dall’entità che scelgono di servire o alla quale non possono non obbedire, in queste vicende l’uomo scompare, di lui non rimane che un involucro inutile, una mera rappresentazione carnale di ciò che in realtà dovrebbe essere. Ma sarà davvero possibile? Cosa ci rende più o meno vulnerabili davanti alla presunta potenza di queste forze incontrollabili? Si tratta di una predisposizione genetica, o davvero da un giorno all’altro una qualsiasi energia a noi inspiegabile può renderci insignificanti burattini e mezzi per azioni indecenti? Sarà possibile svuotare la coscienza per cedere lo spazio ad un’altra, non umana e irrazionale? Non si sa. Quello che è certo è che, tra le cose umane, le cose terrestri, l’unica cosa che rimane di queste obbrobriose vicende è la crudeltà, che da sempre non fa che sminuzzare incurantemente il lungo e danneggiato filo rosso che unisce e dà un senso all’intera esperienza umana.

Rossana Sorrentino e Sara Ricci

 

 

 

https://www.gazzettafilosofica.net/2024-1/giugno/gli-effetti-collaterali-del-delirio-mistico/

 

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