”Nel corso del XVII secolo la Chiesa ortodossa russa ha vissuto periodi forte tensione a causa del rinnovamento religioso voluto dal patriarca dell’epoca
GLI SKOPCY: I ‘CASTRATI’CHE DIVENNERO
UNA DELLE PIÙ INFLUENTI LOGGE RUSSE
Storia degli skopcy: come i ‘castrati’ divennero una delle più influenti sette russe
Nel corso del XVII secolo la Chiesa ortodossa russa ha vissuto periodi forte tensione a causa del rinnovamento religioso voluto dal patriarca dell’epoca Nikita soprannominato “il bigotto” dai suoi detrattori. Le riforme , – con il termine Raskol (traducibile con “strappo” o “scisma”) – non furono accolte positivamente da tutto il mondo religioso, molti preti in contrasto con il potere ortodosso vennero messi al rogo. Questa instabilità provocò inevitabilmente scissioni e la nascita di numerose sette cristiane fortemente osteggiate dal potere religioso. Tra le sette più fanatiche vi era senz’altro quella dei Skopcy, il cui termine può essere tradotto in “castrati”.
L’origine della setta
Nella seconda metà del XVII secolo il patriarca della Chiesa ortodossa russa Nikita procedette ad una profonda riforma dei riti religiosi che fu ampiamente e fortemente osteggiata soprattutto dall’arciprete Avvakum (1621–1682), che finì sul rogo per la sua opposizione.
Si originò così un folto gruppo di dissidenti religiosi chiamati “vecchi credenti”(L.C.) che nel ‘700 si frantumarono in sette tra le quali si diffuse quella degli Skopcy che predicavano ai fedeli di praticare la mortificazione del corpo fino a giungere all’automutilazione del pene per gli uomini, del seno per le donne in modo da “divenire bianchi”, ossia angeli, ed entrare così di diritto nel regno dei cieli. La mutilazione poteva avvenire «asportando lo scroto (piccolo sigillo) o l’intero pene (grande sigillo o sigillo imperiale), mentre per le donne si praticavano la clitoridectomia, l’amputazione dei capezzoli, delle mammelle, delle piccole e delle grandi labbra.»
Ancora una volta il sesso tornò ad essere vissuto come il più terribile dei peccati, frutto proibito offerto dal demonio, tentazione irrinunciabile a cui potersi sottrarre solo mutilando e così estirpando organi e desiderio dal corpo e dall’animo. Quella fede trasse la propria identità da una alterata interpretazione del Vangelo di Matteo, precisamente dal passo in cui è descritto il dialogo sul divorzio tra i discepoli e Cristo. Mentre loro asseriscono che per evitare la separazione, forse sarebbe meglio per l’uomo non sposare la donna, Gesù risponde: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca» (Matteo 19:11-12)
Ci sono stati dei russi che hanno scelto la morte piuttosto che rinunciare alla propria fede. La tradizione dei suicidi collettivi con il fuoco nacque tra i Vecchi Credenti russi nel XVII secolo e proseguì fino al XIX.
“Per il boato dell’esplosione, il terreno tremò e tutti sentirono lo spostamento d’aria. Il fumo apparve tra le fessure del tetto e poi si fece sempre più denso… Le fiamme iniziarono a farsi largo tra i tronchi della capanna. Quando i soldati sfondarono la porta, un uomo avvolto dalle fiamme cadde ai loro piedi. La sua testa era già carbonizzata. Rotolò sulla neve come un verme. All’interno della casa di preghiera, il fumo e il fuoco vorticavano e le persone in fiamme vacillavano avanti e indietro. Il fuoco veniva dal seminterrato. […] I soldati fecero qualche passo indietro perché la temperatura era insopportabile. Apparentemente, nessuno poteva essere salvato. I soldati si fecero il segno della croce, dopo essersi tolti i cappelli a tre punte. Alcuni piangevano. […] E non si poteva scampare all’odore della carne bruciata.” Ecco come Aleksej Tolstoj (1883-1945) descrive un episodio di auto-immolazione nel suo romanzo “Pietro il Grande” (1929–34; Premio Stalin nel 1941).
La stessa Caterina II aveva rivolto loro l’invito di ritornare in patria, relegandoli però nelle steppe di Barabinsk, nella lontana e inospitale regione di Novosibirsk, al tentativo di reintegrarli nell’Ortodossia. Lo scisma del 1656 aveva diviso la società in “nuovi” e “vecchi” credenti, e a quest’ultima schiera appartenevano – dopo cento anni – i tanti contadini ridotti in miseria. Il bisogno di certezze esistenziali, la speranza – l’unica – di un riscatto post mortem, la convinzione accesa di una vicina fine dell’umanità, furono i focolai dell’incredibile e devastante ritorno al credo eretico proveniente da un passato che si credeva dimenticato.
Nel bellissimo dipinto del pittore russo Vasilij Surikov (1848-1916) è ritratta Boiarinja Morozova (1632-1675) la monaca cristiana russa della famiglia dell’okolničij Prokofij Fëdorovič Sokovnin. È la più conosciuta sostenitrice del movimento dei Vecchi Credenti, alcuni gruppi dei quali la venerano come santa e martire. Sposata all’età di diciassette anni con Gleb Morozov, fratello del consigliere dello zar Boris Morozov, dopo la morte del marito, avvenuta nel 1662, iniziò a ricoprire un ruolo preminente nella corte russa.
Durante il Raskol (strappo, scisma), venne convertita dall’arciprete Avvakum suo confessore, si unì al movimento dei Vecchi Credenti e prese segretamente i voti monastici con il nome di Teodora (Feodora). Il suo impegno fu determinante nel convincere la propria sorella, la Principessa Evdokija Urusova, a unirsi agli scismatici. Dopo essere cadute in disgrazia a causa della propria fede religiosa, le sorelle furono incarcerate in una cella sotterranea del Monastero di San Pafnuzio a Borovsk, dove Feodosija fu fatta morire di inedia il 1º dicembre, 1675. Nel dipinto la donna tiene due dita tese, a simboleggiare il vecchio rituale ortodosso di compiere il segno della croce, con due dita invece che con tre. (fonte: Wikipedia)
La storia dello scisma
Nel 1596, la metropoli (intesa come suddivisione amministrativa della Chiesa) di Kiev interruppe i rapporti con la Chiesa ortodossa russa ed entrò in comunione con il Papa di Roma. Le chiese ortodosse della Confederazione polacco-lituana divennero chiese greco-cattoliche. Questo fu un duro colpo per la Chiesa ortodossa russa che perse parrocchie, territori e denari. Verso la metà del XVII secolo, il patriarca russo Nikon decise che era ora di riformare la Chiesa ortodossa russa.
Il patriarca Nikon invitò gli studiosi cattolici di Kiev a correggere i libri liturgici russi che avevano molti errori rispetto agli originali greci: erano stati copiati e ricopiati dai monaci russi per secoli e necessitavano di un aggiornamento. Gli storici non sono sicuri di quale fosse l’obiettivo finale di Nikon, ma forse voleva che anche la Chiesa ortodossa russa rientrasse in comunione con il Papa. Questa riforma portò al Raskól (lo Scisma) della Chiesa ortodossa russa. Due dita per fare il segno della croce (al posto delle tre degli ortodossi) divennero il simbolo degli scismatici. Perché?
Nel 1653, lettere del Patriarca furono inviate a tutte le chiese di Mosca e, successivamente, a tutte le eparchie (le chiese provinciali) dello Zarato di Moscovia. Queste lettere introducevano nuove regole per i servizi liturgici, e nuovi libri liturgici corretti vennero stampati e distribuiti nel Paese. Nikon usò la riforma per rafforzare la sua autorità come capo della rinnovata Chiesa russa.
Tra i più importanti cambiamenti liturgici, il segno della croce passò da due a tre dita, il nome di Gesù cambiò l’ortografia sulle icone e così via. Per la mentalità di oggi, questi cambiamenti potrebbero sembrare non così importanti, ma nel XVII secolo erano cruciali.
Quei cristiani ortodossi russi che si rifiutarono di adottare la riforma ritenendola “diabolica”, perché i cambiamenti introdotti da Nikon stravolgevano i simboli più sacri della religione, vennero chiamati “di vecchio rito” o, più comunemente, Vecchi Credenti. Nel 1666 subirono un anatema: ciò significava che erano scomunicati e non potevano più prendere parte ai sacramenti ufficiali della Chiesa ortodossa russa. Inoltre, furono tassati doppiamente, banditi dalle riunioni e dall’organizzazione delle cappelle. Queste azioni della Chiesa ufficiale furono accolte dagli Antichi Credenti con la risposta più dura che si potesse immaginare: auto-immolazioni collettive.
Esistono molti modi per attirare e trattenere una persona all’interno di una setta. Tutti però hanno un tratto in comune: la promessa di potere, denaro, o della grazia celeste dopo la morte. Ovviamente, niente viene mai dato per niente; al contrario, agli adepti sono richiesti in cambio enormi sacrifici. Quanto più duri e crudeli essi sono verso se stessi, tanto più si rafforza il loro legame e la loro fedeltà agli ideali della setta. I membri della ricca e potente setta russa degli skopcy (‘castrati’, sing. skopec) rappresentarono un ottimo esempio di tale spirito fanatico di abnegazione e coinvolgimento.
Nella seconda metà del XVIII secolo, quando l’epoca delle persecuzioni contro gli apostati delle religioni canoniche era pressoché giunta a termine, fecero la loro comparsa in Russia un discreto numero di strane sette. Una delle più numerose e misteriose fu quella dei chlysty (lett. ‘scudisci, fruste’), i cui seguaci chiamavano le proprie comunità korabli (‘navi, vascelli’) e si riferivano a se stessi come gente di Dio.
Sotto la coltre di severità che ammantava questa setta si nascondevano rituali molto sui generis. È sufficiente ricordare che le funzioni religiose dei chlysty (radenija) si concludevano con quello che i missionari ortodossi definivano sval’nyj grech, vale a dire, secondo la lingua d’oggi, sesso di gruppo. Alcuni culti contemporanei, fondati da millantatori, hanno fatto propri alcuni singoli tratti di questa setta.
Spinti dal fanatismo più assoluto, i fedeli si convinsero che “il battesimo del fuoco” di Cristo fosse una metafora della sua castrazione, che faceva quindi del Messia il primo tra gli eunuchi. Dalla delirante rilettura dei passi biblici derivò la certezza che Adamo ed Eva fossero stati creati da Dio privi di organi sessuali e che solo dopo esser caduti in tentazione questi si sarebbero sviluppati sui loro corpi.
A indottrinare i proseliti fu il mistico fondatore della setta, Kondratij Selivanov. Dopo qualche tempo, Selivanov lanciò una dura condanna delle pratiche dissolute della setta e iniziò a sostenere con insistenza che l’unico mezzo per dominare le tentazioni fosse l’auto-privazione volontaria della possibilità fisica di commettere atti impuri. «Datemi dunque la mia spada, ché tagli con la destra la testa del serpente.» disse Selivanov, per dare il giusto esempio ai membri della sua comunità, e si castrò con un ferro arroventato, quindi richiese agli altri adepti della setta di fare lo stesso.
Serafico nell’aspetto, dotato di notevole intelligenza e grande magnetismo, segnò la storia delle Russia, terra sempre attratta da personaggi carismatici e scismi religiosi. In breve riuscì a spopolare tra le genti, passando dalla campagna ai salotti alla moda dell’aristocrazia di San Pietroburgo e Mosca. All’interno di quelle stanze, sempre al piano superiore della casa, metafora del Cielo, il santone si presentava disteso su un baldacchino, con indosso paramenti sontuosi, circondato da scenografie mistiche fortemente evocative, ossessive.
I fratelli e le sorelle di Selivanov non erano però pronti a simili gesti di sacrificio e respinsero i suoi insegnamenti. Egli fu perciò costretto ad abbandonare la ‘nave’ che l’aveva raccolto e cercare da solo la via verso il Signore.
Selivanov si trasferì nel governatorato di Tambov, dove fondò una propria ‘nave’. Nonostante l’organizzazione simile a quella dei chlysty, la sua setta si distingueva soprattutto per castità e severità. Selivanov iniziò a proclamarsi «figlio di Dio» e «redentore» e a definire come sua missione terrena la salvezza dell’umanità dalla lussuria.
Arma principale per combattere tale battaglia era, secondo il neo-profeta, la «flagellazione del serpente malefico», parole che potevano essere interpretate in modo sia figurato che sia letterale. La lotta contro il «serpente» era da lui chiamata «battesimo di fuoco», espressione che designava nient’altro che un grossolano e barbaro rito di castrazione.
A tale rito dovevano sottomettersi tutti coloro che entravano a far parte della setta. Esso veniva praticato da specialisti (un artigiano per gli uomini e un’anziana per le donne), il cui numero però era limitato, motivo per cui spesso i settari eseguivano autonomamente l’operazione, senza attendere l’arrivo al villaggio di uno specialista.
I tipi di castrazione praticati erano due. Il metodo più semplice era la pervaja pečat’ (‘primo sigillo’), che consisteva nella «recisione dei testicoli assieme a parte dello scroto dopo il preliminare stringimento della base della sacca scrotale per mezzo di uno spesso filo, un nastro o una cordicella» (1)
Il ‘primo sigillo’ non costituiva la forma più estrema di sacrificio per uno skopec in quanto coloro che si sottoponevano all’operazione non si privavano della possibilità di avere rapporti sessuali, ma solamente di procreare. La massima protezione dalle tentazioni mondane era rappresentata dalla vtoraja o carskaja pečat’ (‘sigillo secondo’ o ‘regale’), che prevedeva non solo l’amputazione dei testicoli, ma anche del membro sessuale. Talvolta gli skopcy si spingevano oltre asportandosi anche i capezzoli.
Per evitare il problema delle minzioni involontarie, gli skopcy ricorrevano a vari stratagemmi. Il più delle volte essi praticavano un foro nell’uretra con speciali spuntoni di piombo o stagno, che venivano infilati nel tratto urinario subito dopo l’operazione, anche allo scopo di impedirne la cicatrizzazione.
Alle donne che entravano a far parte della setta venivano asportati il clitoride e le labbra vaginali, mentre l’asportazione del seno era molto più rara. A differenza dell’uomo, le donne non perdevano la possibilità di procreare e sono noti casi di adepte che, abbandonata la setta, hanno trovato marito e avuto dei figli.
La setta cercava di attirare i contadini più ricchi, i quali, a loro volta, potevano costringere con il ricatto i propri debitori a entrare nella setta promettendo loro di condonare la somma dovuta. In generale, la componente finanziaria era molto importante all’interno della setta. Non avendo figli che avrebbero potuto ereditare i loro capitali, gli skopcy lasciavano i propri averi ai propri fratelli e sorelle; di conseguenza, la comunità si arricchiva e attirava sempre nuovi adepti tramite persuasioni e ricatti.
Gli skopcy erano ben disposti ad aiutarsi economicamente l’un l’altro perché consci che dalla crescita del benessere di ciascun membro dipendeva il potere e l’influenza di tutta la setta. Non erano perciò pochi coloro che decidevano di entrare nella setta per motivazioni economiche, disposti a pagare un simile prezzo pur di uscire dalla povertà. I casi più terribili erano rappresentati dalle castrazioni dei bambini obbligati dai parenti a diventare seguaci della setta.
Il numero di skopcy crebbe rapidamente e sempre più spesso entravano a far parte delle loro reti personalità di rilievo assieme ai loro figli. Tale fenomeno non poteva rimanere inosservato a lungo e presto le autorità iniziarono a perseguitare i membri della setta. Il primo processo contro degli skopcy ebbe luogo nel 1772: la sentenza condannava 300 adepti, insieme al fondatore della setta Kondratij Selivanov, all’esilio in Siberia.
Nel corso del trasferimento al confino, Selivanov riuscì a fuggire e continuò a predicare come se niente fosse. La personalità di questo misterioso personaggio è circondata da numerosissime congetture e illazioni; le più note sono le voci che vogliono Selivanov essere in realtà lo zar Pietro III, il legittimo imperatore estromesso dalla propria consorte, Caterina II.
Il periodo di maggior prosperità della setta coincise con il regno di Alessandro I, durante il quale venne posta fine alle persecuzioni dei suoi seguaci e alle perquisizioni della polizia a casa di Selivanov. Senza più il timore di azioni penali, quest’ultimo si dedicava personalmente alle operazioni di castrazione di uomini e ragazzi direttamente a casa propria. La setta godeva evidentemente dell’appoggio di potenti protettori.
Tutto ebbe fine nel 1820, quando uno dei favoriti dello zar, il conte Miloradovič, eroe della guerra contro Napoleone del 1812, apprese che due suoi nipoti erano stati attirati all’interno della setta. Il caso arrivò in tribunale e Selivanov venne arrestato e condannato all’isolamento all’interno del monastero di Serafimo-Diveevskij, nel governatorato di Suzdal’, dove morì nel 1832.
La morte del fondatore non comportò la scomparsa della setta: il numero di skopcy sul territorio dell’Impero russo continuava ad attestarsi nell’ordine delle decine di migliaia di adepti e le loro file crescevano continuamente. Il posto di Selivanov venne occupato da Maksim Ploticyn, un mercante originario di Moršansk.
Nel 1869, il nuovo leader della setta venne sorpreso mentre pagava una tangente a un pubblico ufficiale. Il reato servì da pretesto per la perquisizione della casa di Ploticyn, durante la quale vennero rinvenuti 30 milioni di rubli, una quantità di denaro incredibile per l’epoca.
Il caso Ploticyn attirò nuovamente l’attenzione delle autorità sugli skopcy e segnò l’inizio di una nuova ondata di indagini e condanne. Sotto Alessandro II vennero deportati in Siberia non soltanto i membri della setta, ma anche tutti coloro che avevano un qualche legame con essi.
Tuttavia, né Alessandro II, né i suoi discendenti riuscirono a sradicare il movimento degli skopcy. La lotta contro la setta verrà portata a termine solamente diversi decenni dopo dalle autorità sovietiche. L’ultimo processo noto contro degli skopcy in Unione Sovietica ebbe luogo nel 1929, dopo la cui conclusione non si sentì più parlare della setta dei ‘castrati’.
Bibliografia.
(1) (Pelikan E., «Studi di medicina legale sulla setta degli skopcy»).
Libri Citati
- I vecchi credenti. Storia dello scisma russo Condividi
- di Alessandro Borelli (Autore)
- Gambini Editore, 2020
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Descrizione
“Una storia dei Vecchi Credenti russi che non si limita ad illustrare le questioni dogmatiche, ma ne segue le complesse vicende storiche dalle origini ai giorni nostri: dalla persecuzione subita in varie epoche, alla tassazione smodata imposta da Pietro il Grande; dai suicidi collettivi col fuoco pur di non cedere alle conversioni forzate, all’esilio in diverse parti del mondo; dall’invito loro rivolto da Caterina II al ritorno in patria, relegandoli nelle steppe di Barabinsk, nella lontana e inospitale regione di Novosibirsk, al tentativo di reintegrarli nell’Ortodossia con la creazione del movimento dell’Edinoverie, e alla discriminazione imposta dalla legislazione imperiale dell’Ottocento che li dichiarava religione non tollerata. Il risultato si concretizza in un quadro completo e suggestivo, dal quale emergono le grandi doti dei seguaci del raskol’: l’attaccamento rigoroso alla fede e ai principi morali, la grande sobrietà e soprattutto l’eccellente laboriosità che, nonostante la discriminazione a cui erano soggetti, li ha portati a diventare leaders nel mondo imprenditoriale, segnatamente nel campo dell’industria tessile.”
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Alcune fonti sono state prese da “Skoptsy Sect” di Luciano Lapula https://theluxon.com/skoptsy-sect-castration/