”Vi è uno strano modo di pensare le guerre
GUERRE… GEOGRAFICHE
Vi è uno strano modo di pensare le guerre. E, a ben vedere, di combatterle. Perché la cultura, o anche più semplicemente l’informazione, quando si fa propaganda, diviene un’arma. E un’arma estremamente temibile.
E un modo di combattere le guerre, anzi una ben precisa arma, è la geografia. Più esattamente sono le carte geografiche, che non rappresentano, come comunemente si crede, la realtà oggettiva. Bensì una sua interpretazione, spesso falsificante, sempre faziosa.
Non è necessario inventarsi carte immaginarie di terre fantastiche. Basta prendere la cartografia di un territorio, e leggerla in un’ottica particolare. Le montagne, i laghi, i mari e le pianure restano quelle che sono. Ma il loro significato cambia. Molto.
Perché le carte geografiche sono, nella loro essenza, narrazioni. Narrazioni della storia o delle storie. Quindi… miti. E, nelle guerre, nei conflitti spesso si scontrano diverse, e antitetiche, “mitologie”.
Prendiamo lo scontro tra israeliani e palestinesi. Che è conflitto storico ed ormai abbastanza vecchio. Se non proprio antico.
Tutti coloro che, in buona o cattiva fede, invocano una soluzione pacifica e pacificante, non fanno che rievocare la formula “Due popoli, due Stati”.
Formula, diciamolo senza esitazioni, trita e ritrita. Nonché priva di contenuti. Vuota.
Che significa “due Stati”? Uno stato si fonda su un ben preciso spazio geografico. Determinato, e delimitato, dai confini. Lo Stato non può esistere senza un suo territorio. Dove è la Terra a determinare lo spazio della legge. Il Nomos della Terra condiziona e circoscrive il Nomos, la legge dell’uomo.
Ma lì, non vi sono due Terre. Divise e distinte da confini storici chiaramente identificabili. Basta guardare la carta geografica.
E si vede come la Palestina, o meglio lo Stato Palestinese, sia una costruzione artificiale. Di risulta. Con la Cisgiordania, a spese della Giordania che, storicamente, governava quelle terre. E la, famosa/famigerata, Striscia di Gaza. Una enclave sovrappopolata. Economicamente non autonoma in nessun campo. Separata dal resto della Palestina da Israele.
Era inevitabile che accadesse quello che è accaduto già dal 2005. Che Gaza divenisse altro dal resto dell’ipotetico Stato Palestinese. Gli esempi storici di entità statali separate territorialmente, avrebbero dovuto mettere sull’avviso. Senza tornare con la memoria sino al Corridoio di Danzica – causa scatenante della Seconda Guerra Mondiale – basta pensare al Pakistan e a quello che, poi, è divenuto il Bangladesh. Con un travaglio sanguinoso, anche se abbiamo voluto dimenticarcelo.
Gaza separata dalla Cisgiordania è caduta nelle mani di Hamas. Divenendo la base operativa non di uno Stato, ma di una organizzazione che persegue altri fini. In primo luogo, conseguire l’egemonia sulla Cisgiordania palestinese. E, partendo da lì, arrivare al controllo di tutta la Giordania. Costruendo un nuovo stato islamista a spese dei paesi arabi, più che del nemico dichiarato, Israele.
L’ipotesi di trasferire gli abitanti di Gaza nel Sinai, con costi umani apocalittici, non risolverebbe il problema. Semplicemente genererebbe caos in Egitto. Inserendo una enclave incontrollabile nella sua regione asiatica.
La questione, purtroppo, non è ideologica, politica o religiosa. In primo luogo, è una questione di Geografia. La scienza crudele per eccellenza, la definiva il maggior geopolitico italiano, Ernesto Massi.
Due popoli, certo. Israeliani e arabo-palestinese… ma un’unica terra. Che viene contesa anche a colpi di carte geografiche.
Non esisteva Israele fino al 1947, dicono i Palestinesi mostrando vecchie cartine.
Non esisteva la Palestina, asseriscono gli israeliani, con carte che riportano l’antica, e leggendaria, distribuzione delle tribù di Israele.
In questa direzione, però, non si va che contro un muro. Perché, volendo, si potrebbe sostenere che quelle terre non sono né Palestina, né Israele. Sono l’antica Canaa. Ma i cananei non possono rivendicarle.
Non ho una soluzione al problema. Non credo che alcuno possa averla, a meno di non pensare a genocidi di una parte o dell’altra.
Soltanto, da un punto di vista realistico, ritengo che si debba smettere di farsi schermo della formula “due popoli, due stati”.
Prima lo si farà, prima si comincerà a ragionare in base alla realtà. E non in astratto.