Dopo un conclave-lampo, il Vaticano sorprende il mondo con un Papa americano. Ma dietro il sorriso della pace si intravedono nuove strategie di potere.
HABEMUS THE POPE
Il Simplicissimus
L’elezione a sorpresa di un Papa statunitense scuote il Vaticano e il mondo intero, tra sospetti di manovre geopolitiche e riflessi di un’epoca in cui religione, potere e comunicazione globale si fondono in nuove forme di egemonia. Dall’immagine virale di Trump in abiti papali fino al conclave-lampo e alla figura di un Pontefice fuori dai radar, questo articolo esplora i retroscena possibili di una nomina che potrebbe riscrivere gli equilibri tra fede e politica. È davvero un segno di pace, come affermato dal nuovo Papa nel suo primo discorso, o il segnale di una strategia più profonda e pianificata per rafforzare l’influenza americana nel mondo e contenere l’ascesa dei BRICS? Una riflessione scomoda ma necessaria sull’ingerenza delle superpotenze nei territori dello spirito. (f.d.b.)
Pareva uno scherzo l’immagine di Trump travestito da Papa che era circolata nei giorni scorsi, ma in realtà è possibile che nascondesse un qualche accordo già fatto, come del resto farebbe credere la breve durata del conclave e l’uscita di un nome che non era tra quelli più gettonati per il soglio di Pietro. Ora comunque abbiamo un Papa americano che per prima cosa ha parlato di pace quando il suo Paese è responsabile del 90 per cento delle guerre che abbiamo visto nel corso della nostra vita, lasciandoci nel dubbio se si tratti di una presa di coscienza o, al contrario, di una permanente inconsapevolezza. Adesso comunque Washington ha una pedina in più da giocare nei suoi tentativi di mantenere il mondo ai suoi piedi e reprimere l’espansione dei Brics. Questo è un dato di fatto oggettivo. Tanto più che l’aumento tumultuoso della popolazione cattolica in Usa a causa dell’immigrazione dall’America latina, rende necessario per i poteri reali gestire questo mondo dopo aver sterilizzato le regioni evangeliche.
Del resto la parola pace arriva nel momento in cui la Russia festeggia la sua vittoria sul nazismo con la grande parata sulla Piazza Rossa, mentre l’Occidente soprattutto quello anglofono, vuole riscrivere la storia assumendosi tutto il merito della sconfitta della Germania nazista, cosa peraltro insensata visto il sostegno a un regime come quello ucraino costruito proprio sulla rivendicazione di un ruolo storico del Paese a fianco di Hitler. Per non parlare di Gaza dove le antiche vittime si sono rivelate i nuovi carnefici. Insomma un Papa americano rischia di essere intrinsecamente ambiguo, specie in un momento come questo in cui la contrapposizione alla Russia si arricchisce di un elemento religioso: com’è noto esiste una millenaria frizione fra la chiesa cattolica e quella di rito ortodosso che domina in Russia, risultato dello scisma del 1054. Per il resto non so chi sia questo Prevost, né se si tratti di un bergogliano, di un trumpiano (ecco che l’elemento politico entra in gioco prepotentemente) o di una via di mezzo, di un compromesso nel quale la Chiesa cattolica vuole evidentemente vivere a lungo vista la relativa giovane età del nuovo papa. Certo ha origini “ecumeniche”, un misto di francese, italiano e spagnolo, quindi non saprei dire se farà cardinale una drag queen, ammetterà in Vaticano il rito del grande hamburger sintetico o si dedicherà a ricostruire un minimo di spiritualità. So però molto bene che la stampa mainstream, in mano al globalismo, lo giudicherà in base a questioni politiche: se seguirà le orme – spropositate ed evanescenti insieme – di Bergoglio verrà esaltato, ma se si rivelerà troppo trumpiano o magari troppo vicino a Benedetto XVI, cercheranno di sputtanarlo in ogni modo e hanno già in mano l’arma per farlo, vale a dire la presunta corrività dimostrata dal nuovo Papa nei confronti di preti pedofili.
In realtà Prevost, nelle sue funzioni di Prefetto del Dicastero dei vescovi, ha bacchettato gli alti prelati svizzeri per aver gestito male la vicenda delle accuse di pedofilia che erano state rivolte ad alcuni personaggi della Chiesa locale e di non aver adeguatamente seguito le procedure previste dal diritto canonico. Dunque, si tratterebbe di una questione controversa e magari tirata per i capelli, anche se la pedofilia nel mondo woke ha perso quel carattere di assoluta “damnatio” che aveva prima, vista l’autodeterminazione sessuale attribuita pure agli infanti. Ma sarebbe impossibile far capire a certa gente le ragioni della coerenza.
Ho comunque apprezzato la cortesia (e l’abilità) di Prevost nello scegliere il nome da Papa: il riferimento a Leone XIII forse non ha tanto a che fare con la Rerum Novarum, enciclica con la quale quel Papa tentò, peraltro senza successo, di ingaggiare la Chiesa nelle questioni sociali, ma con la decisione del Pontefice di allora di rifondare in Italia l’ordine degli agostiniani (di cui Prevost fa parte) per mano di tale Antonio Neno che aveva svolto il proprio apostolato negli Stati Uniti per 25 anni. Dunque, il nome di Leone XIV cerca di andare nel solco di questo rapporto fra due mondi.
