Una volta era la Festa del Lavoro. Ora è solo un giorno libero… per chi il lavoro ce l’ha ancora.
HANNO FATTO LA FESTA AL LAVORO
Il Simplicissimus
Un tempo c’era un giorno, uno solo, in cui chi lavorava poteva alzare la testa, contarsi, rivendicare dignità. Oggi quel giorno sembra un ricordo stanco, sepolto sotto calendari pieni di “day” colorati e vuoti. Tra la fine della guerra, il suicidio dei tiranni e i traguardi dei potenti, resta poco spazio per una festa che era nata per gli ultimi. Questo pezzo è il tentativo di riascoltare quella voce, tra il rumore del presente. (f.d.b.)
Ieri si sono celebrati diversi anniversari, quello della fine della guerra del Vietnam, del suicidio di Hitler, quello dei primi 100 giorni di Trump. Oggi invece si ricorda che una volta c’era qualcosa che si chiamava “Festa del lavoro” che non era uno dei tanti “day” (dire giorno pare ormai impossibile) dedicati a qualunque cosa e che infestano la mente con il loro stupido ronzio. No, era una giornata per ricordare che il lavoro aveva dei diritti e per rivendicarne la centralità sociale, una specie di contraltare rivoluzionario rispetto al capitale che di fatto celebra se stesso negli altri 364 giorni. La festa, come è noto, nacque in Francia su iniziativa di diversi partiti che chiedevano la riduzione della giornata lavorativa a otto ore e poi si diffuse dovunque a partire dal 1889, grazie alla Seconda internazionale che venne fondata proprio in quell’anno e che scelse il primo maggio in ricordo della rivolta di Chicago del 1886, conclusasi con una sanguinosa repressione.

Era un segno di modernità perché proprio in quell’anno furono inaugurati a Parigi la Tour Eiffel e il Mulin Rouge, il Giappone si dotò di una Costituzione, a Roma venne inaugurato il monumento a Giordano Bruno e a Torino la Mole Antonelliana. Uscirono contemporaneamente Mastro don Gesualdo di Verga e il Piacere di D’Annunzio che rappresentavano due idee di letteratura, realismo contro estetismo, ma entrambi in un simile e consapevole contesto di cambiamenti epocali. E fu anche l’anno in cui venne inventata la pizza Margherita, segnando così uno spartiacque nella cucina italiana introducendo l’uso popolare del pomodoro. Insomma, dentro questa dinamica di trasformazione che si stava svolgendo in quasi tutti gli ambiti, la Festa del Lavoro ebbe fin da subito una grande forza simbolica tanto che non fu abolita nemmeno dai fascismi: in Germania continuò ad essere celebrata come Festa dei Lavoratori tedeschi, in Italia fu anticipata al 21 aprile, Natale di Roma, riprendendo un’antica tradizione imperiale risalente al 40 dopo Cristo, ma sostanzialmente rimase Festa del Lavoro, sia pure in ambito corporativo. Gli Stati Uniti fecero di peggio: nel timore che questa data simbolica potesse incoraggiare i movimenti socialisti, la spostarono al primo lunedì di settembre, facendone di fatto una sorta di fine ufficiale dell’estate, l’ultimo giorno di vacanza dalle scuole con tutte le connessioni commerciali e turistiche del caso. Una specie di black monday tanto per immergerci negli orrori contemporanei.

Ma l’attacco più decisivo alla Festa del Lavoro, c’è stato a partire dalla metà degli anni ’80 e al declino dell’Unione Sovietica, causando la perdita delle connotazioni simboliche che erano rimaste intatte per un secolo. Anzi si potrebbe dire che oggi cade il 35° anniversario della trasformazione del primo maggio in una festa da ponte primaverile: non più rivendicazioni, ma il primo Concertone organizzato in piazza San Giovanni dai tre sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil che così iniziano la loro trasformazione in impresari di spettacolo. Soprattutto di pessimi spettacoli di resa senza condizioni. Forse non è un caso se proprio dal 1990 l’Italia è l’unico Paese europeo e forse del mondo dove le retribuzioni reali non soltanto sono rimaste al palo, ma sono addirittura diminuite del 2% a fronte di un costo della vita più che triplicato. Adesso i concertoni si sono moltiplicati in modo da dare in pasto robaccia da coatti alla plebe che accorre festante e ignara che le stanno facendo la festa. Niente panem, ma circenses come se piovesse. Del resto così come il 1889 anche il 1990 è stato un anno simbolico, sia pure se in senso regressivo: la Germania si riunifica (anche qui l’occasione venne festeggiata con un concertone) decretando di fatto la sottomissione della parte orientale del Paese, Bush padre lancia l’operazione Desert Storm, madre di tutte le guerre successive, la Microsoft, di proprietà del futuro “filantropo” dei vaccini Bill Gates, lancia Windows che sarà poi la base per l’espansione di Internet. E infine parte la liberalizzazione dei flussi di capitale tra gli Stati membri della Cee attraverso l’abolizione di ogni restrizione alla loro libera circolazione. Il primo passo verso l’euro che tante soddisfazioni ha dato alle oligarchie continentali.
E il lavoro? Quello manca o è misero, privo di reali diritti, sottoposto ad ogni forma di ricatto, sempre più spesso precario e di fatto a cottimo come all’inizio dell’era industriale. Adesso sì che il capitale sotto la forma estrema del neoliberismo, si è ripreso anche quel giorno che gli sfuggiva, ora festeggia 365 giorni all’anno e 366 nei bisestili.
