Il nome di Stephen King non manca mai di suscitare accesi dibattiti

HOLLY DI STEPHEN KING

RITRATTO DI UN AUTORE FUORI TEMPO MASSIMO


Il nome di Stephen King non manca mai di suscitare accesi dibattiti tra i lettori che non riescono a trovare un accordo sulla figura di questo scrittore che, nei suoi tempi d’oro, fu soprannominato il “Re dell’Orrore”.

Tra chi pensa che sia un genio e chi una meteora sopravvalutata, persino i suoi lettori più affezionati continuano a discutere animatamente, confusi e sbatacchiati qua e là dalla qualità altalenante delle sue opere, cercando costantemente di stabilire un canone dei suoi libri e non riuscendo a comporre un ritratto chiaro e univoco di questo prolifico autore che nel bene o nel male ha lasciato il suo segno nella cultura contemporanea.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’opinione comune sembra però d’accordo nell’affermare che qualcosa dopo il 1999, anno dell’incidente quasi mortale che ha coinvolto King, è cambiato e questa data spartiacque ha diviso i fan dell’autore in maniera netta e chiara, per la prima volta, tra chi ha visto la rinascita di una fenice autoriale e chi invece pensa di stare osservando solo il lento declino di uno scrittore stanco che ricicla vecchie idee e non riesce più a dire nulla di nuovo nel suo campo, un uomo un tempo al picco del successo letterario che adesso cerca di portare a casa solo il prossimo assegno.

Quale dei due campi abbia ragione è una questione che però non dibatteremo direttamente in questa sede, concentrandoci invece sull’ultima opera dello scrittore uscita in Italia il 5 settembre dal titolo Holly (Sperling & Kupfer, 2023, 21,90€, traduzione di Luca Briasco).

King ritorna a narrare nuovamente le avventure dell’investigatrice Holly Gibney, alla sua quinta apparizione in una storia di King, dopo la sua prima comparsa nella trilogia di Bill Hodges ed essersi conquistata ruoli sempre più prominenti nei libri dello scrittore del Maine fino ad arrivare nel 2020 a prendersi il ruolo di protagonista assoluta nella novella Se Scorre il Sangue.

La storia prende il via quando Holly, ancora al lavoro per l’agenzia Finders Keepers, accetta il caso di una signora di nome Penny Dahl, interessata a ritrovare sua figlia Bonnie e a chiarire le circostanze della sua scomparsa. La Gibney, in un momento estremamente delicato della sua vita dopo la recente scomparsa della madre e privata del suo socio Pete, ammalato di Covid, si imbarca nella ricerca di Bonnie che la porterà infine a scontrarsi con gli anziani coniugi Harris, classici cattivi kinghiani tanto apparentemente “normali” quanto spietati, nel tentativo di sabotare i loro perversi piani e portare finalmente alla luce l’orrendo segreto che si nasconde sotto la loro immagine di persone perfettamente rispettabili.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La trama segue gli stilemi classici del thriller di stampo kinghiano, con un mistero che non vuole essere il nucleo centrale della storia (i fan dei mistery più classici potrebbero seccarsi di attendere che la protagonista arrivi allo stesso punto in cui loro già si trovano dall’inizio del libro), bensì la scintilla che dà il via all’analisi e al lento disvelarsi dell’orrore che si cela dietro il quotidiano della sonnacchiosa provincia americana. I coniugi Harris vanno quindi a unirsi al roster dei cattivi più conosciuti e meno sovrannaturali dello scrittore come, ad esempio, la famigerata Annie Wilkes di Misery: persone dietro la cui patina di apparente normalità si celano le più aberranti psicosi e segreti.

Dunque, dopo tre anni dalla sua ultima apparizione, Holly torna nuovamente nei panni della protagonista centrale in quello che è il primo vero romanzo interamente dedicato alla sua figura, tanto da avere il suo nome anche per titolo. King sembra amare particolarmente il personaggio della Gibney, non mancando di sottolineare in ogni intervista come ella abbia “conquistato il suo cuore” e come si sia ritagliata uno spazio notevole di apprezzamento all’interno della variegata schiera di fan del Re.

Tuttavia, forse per la prima volta in maniera così esplicita (le prime, sottili avvisaglie si potevano osservare già ai tempi della trilogia di Bill Hodges), si avverte il peso dell’età di King tra le pagine del suo romanzo.

Dove un tempo l’autore di Bangor si muoveva perfettamente a suo agio nel mare della cultura pop contemporanea, adesso i suoi riferimenti sono a dir poco “scricchiolanti”, privi del mordente che avevano nei suoi tempi d’oro, risultando nei peggiori dei casi quasi patetici e imbarazzanti, come quando da adolescenti si sente parlare i propri genitori anziani.

 

 

 

 

 

 

Anche il tentativo di scrivere un romanzo andando a toccare il difficile periodo del Covid risulta “fuori posto” e, a tratti, forzato. È innegabile che con il tempo questo momento storico entrerà anche nell’immaginario narrativo, ma la sensazione che si ha leggendo Holly è che non sia ancora il momento giusto per poterlo lucidamente affrontare e analizzare, quasi trasformando il fatto in un trucco che l’autore vuole usare per cercare di sentirsi ancora rilevante e “al passo con i tempi”.

In sintesi ci ritroviamo di fronte ad un’opera nella media, solida nella sua costruzione e che non scontenterà i fan più accaniti di King e potrebbe solleticare la curiosità degli appassionati di thriller psicologici più incentrati sui personaggi che sul plot ma che risente in maniera forte dell’età del suo autore e potrebbe lasciare l’amaro in bocca a chi, fidandosi del titolo in copertina, spenderà venti euro pensando di trovarsi di fronte il King di Misery o Dolores Claiborne, titoli decisamente più consigliabili.

Andrea Marcigliano
Stefano Morello

 

 

 

 

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