Zelensky parla. Non fa che parlare, rilasciare dichiarazioni, lanciare proclami…
I DELIRI DI ZELENSKY E LA REALTÀ
Andrea Marcigliano
Zelensky parla. Non fa che parlare, rilasciare dichiarazioni, lanciare proclami…
E promesse, soprattutto. Promette infatti ottocentomila uomini in armi alla NATO. Se questa, naturalmente, accoglierà la “sua” Ucraina, salvandola dalla rapacità moscovita.
Ovvero… salvando la sua pelle. Che è, poi, l’unica cosa che gli importi davvero. La pelle, e le enormi fortune che ha nascosto all’estero.
Non gli importa nulla, invece, degli ucraini. Giovani e meno giovani che sta, spesso forzatamente, mandando al massacro. In una guerra lenta, estenuante, ma senza speranza. Perché i russi avanzano, occupando territorio. Ormai di fatto padroni di tutto il Donbass. E pronti a prendere la stessa Kiev. Se Putin, dal Cremlino, deciderà che è venuto il momento.
Ed è questo l’unico enigma. Perché è evidente a tutti – tranne, forse, politici e stampa italiana in palese malafede – che Mosca ha ormai vinto.
Ed è palese ad ogni analista onesto – ne esistono ancora, per fortuna – che Trump ha, ormai, abbandonato l’Ucraina di Zelensky al suo destino.
Non vi è alcun bisogno che lo dica apertamente. Anzi, non lo dirà mai. Ma di fatto ha tagliato soldi e rifornimenti al piccolo gaulaiter di Kiev. Abbandonandolo al suo destino.
E i proclami di Zelensky sono, palesemente, prodotto di follia e disperazione.

Ottocentomila uomini? E dove pensa di trovarli? Con ogni probabilità, Zelensky ne ha perduti, mandandoli inutilmente al macello, già quasi altrettanti. Ora sta, nella disperazione, grattando il fondo della botte. Ma delira, vantando una forza militare di cui non dispone. E lo sanno tutti. In primo luogo, americani ed europei.
L’Ucraina, da un punto di vista militare, è alla frutta. O peggio. E il, cosiddetto, “fronte interno” completamente allo sbando.
Il destino del paese appare, ormai, segnato.
Certo, molto dipenderà dagli accordi, per ora segreti, fra Trump e Putin. E questo deciderà se l’Ucraina tornerà a sparire dalla carta geografica. Redistribuita fra Russia, Polonia, Ungheria ed altri.
O se resterà in piedi, come cuscinetto fra Oriente russo e Occidente americano. Senza più, naturalmente, il Donbass. E senza alcuna possibilità di decidere il suo destino.
A questo l’ha portata non la rapacità di Mosca, bensì il folle servilismo del comico divenuto presidente a Kiev.
